sabato 30 novembre 2024

Scoccio già!



L’Abbronzato è stato chiaro: giammai che a qualcuno sul palco dell’Ariston gli venisse in mente di parlare di guerra, di scempi umanitari, di fasci e contrapposti! Basta con quelle sciocchezze, che trionfi “cuore-amore”! E questo perché la Ciaciotta Furente si potrebbe inalberare! 
Mangiafuoco, Amerigo, La Locomotiva, L’Agnello di Dio? Troppo impegnate, che indurrebbero allocchi a ruminare su l’attuale merdificio associato mondiale. E allora via con le smancerie, le mielose melodie evanescenti più di un pensiero donzelliano! Scoccerò il tasto 1 del telecomando. Già! Tele Comando…

Scoccio già!



L’Abbronzato è stato chiaro: giammai che a qualcuno sul palco dell’Ariston gli venisse in mente di parlare di guerra, di scempi umanitari, di fasci e contrapposti! Basta con quelle sciocchezze, che trionfi “cuore-amore”! E questo perché la Ciaciotta Furente si potrebbe inalberare! 
Mangiafuoco, Amerigo, La Locomotiva, L’Agnello di Dio? Troppo impegnate, che indurrebbero allocchi a ruminare su l’attuale merdificio associato mondiale. E allora via con le smancerie, le mielose melodie evanescenti più di un pensiero donzelliano! Scoccerò il tasto 1 del telecomando. Già! Tele Comando…

Ntangelo

 



Rivolta operosa

 

Addio diritti, scioperare è diventato un “dispetto”
DI DANIELA RANIERI
Ci aspettavamo i soliti parrucconi insorgere dalle colonne dei giornali padronali contro l’esecrabile sciopero generale di ieri, come del resto fanno da settimane dacché il segretario della Cgil Landini ha evocato la “rivolta sociale”. Invece i quotidiani perbene hanno dedicato allo sciopero di Cgil, Uil e sindacati di base giusto un trafiletto nelle pagine di Economia, come fosse “un duello tra ministro e sindacati” (Repubblica) o una blanda “protesta” (Corriere) e non una questione collettiva. La legge di Bilancio che aumenterà la spesa per le armi di 13 miliardi di euro e taglierà quella sociale (Università: 702 milioni in 3 anni; enti locali: 8 miliardi in 10 anni; ministeri: 7,7 miliardi; Sanità definanziata rispetto al Pil) è normale dialettica democratica, e poi Giorgetti è molto amato dall’establishment mediatico in quanto draghiano doc e leghista addomesticato.
Il lavoro duro, diciamo culturale, è stato fatto prima, quando c’era da far passare il richiamo di Landini alla rivolta sociale come un richiamo alla lotta armata (il Corriere intervistandolo: “Ora lei invoca anche una rivolta. Lo sciopero non basta più? Non sta invadendo il campo della politica? L’hanno paragonata ai cattivi maestri che aprirono la strada al terrorismo. Nessun ripensamento?”), tanto che lui ha dovuto chiarire: “Se le persone non si rivoltano… non ci sarà lotta alle diseguaglianze. Certo in forma non violenta, ma lo devo precisare?”. Figuriamoci: non basta a rassicurare i liberali la ormai conclamata rassegnazione dei cittadini di fronte al potere che li porta a non andare manco più a votare, ci manca solo che si rivoltino.
Sono gli stessi che inorridivano per le manifestazioni dei gilet gialli in Francia, consistenti non in azioni terroristiche, ma in blocchi stradali con ruspe e trattori poi sfociati in guerriglia in seguito alla repressione della polizia, e ne riportavano con disgusto le rivendicazioni: aumento del salario minimo, riduzioni delle tasse sul carburante, una forma di patrimoniale, referendum cittadini, retribuzioni adeguate alle ore lavorate (che volgarità); non gli parve vero quando Di Maio, allora capo del M5S, andò a solidarizzare con quelli invece che con un Macron truccatissimo che li redarguiva a reti unificate: praticamente la prova che voleva fare un colpo di Stato. Peraltro i manifestanti ottennero quasi tutto quello che chiedevano, a riprova che erano rivendicazioni giuste e ottenibili solo in quel modo. Quando ai lavoratori si unirono gli studenti, la polizia li fece inginocchiare e gli puntò i fucili addosso: letizia nelle prestigiose redazioni italiane. Sono gli stessi, anche, che di fronte agli scioperi in era Draghi titolavano “L’ira del premier”, come se egli fosse un Giove pluvio che scagliava i suoi dardi sul popolo affamato che osava contestare il governo dei Migliori. Poi raccontavano gli “scontri” della polizia con gli studenti, manganellati a Torino perché manifestavano contro l’alternanza scuola-lavoro che li falcidia (21 studenti morti dal 2017); così oggi è lecito che la polizia carichi i pericolosi quindicenni “pro-Hamas” (Meloni). Riguardo alle rivendicazioni del popolo, vecchio arnese del Novecento, gli esponenti del blocco borghese, atlantisti e anti-Putin (che intendono sconfiggere sul campo per mezzo degli ucraini per difendere “i nostri valori democratici”), sono d’accordo con Foti di FdI, secondo il quale “rivolta sociale e lotta per la pace non vanno d’accordo”, sofisma fallace per celare che il governo sta aumentando i soldi per le armi e diminuendo quelli per lo Stato sociale. Trovano riprovevole che “gli scioperi si facciano sempre di venerdì”, intendendo che i lavoratori, con la scusa della difesa del welfare, vogliono fare il weekend lungo; cercano di spezzare la solidarietà degli altri disgraziati (“Create solo disagi agli altri lavoratori!”). Invocano la “pace sociale”: non vogliono sulla coscienza il peso di lavoratori precari e sottopagati a cui Meloni, d’accordo coi milionari neoliberisti alla Renzi, ha tolto pure il Reddito di cittadinanza; espertissimi di economia e finanza, specie la loro, non sanno che l’Italia è l’unico Paese Ocse che negli ultimi 30 anni ha visto diminuire il livello dei salari, del 2,9%. È sull’avversione allo sciopero, come evento culminante del conflitto sociale, che l’ideologia liberale si sposa con quella destrorsa e fintamente popolare del cosiddetto ministro Salvini, uno da stigmatizzare quando il Frecciarossa parte in ritardo, ma da apprezzare tacitamente come controparte della “frangia comunista” (Il Giornale) aizzata da Landini.
Sono loro che tengono i cordoni della borsa e quindi sono loro che se la fanno sotto quando sentono parlare di rivolta sociale, che spacciano per sparatorie, sommosse e assalti al Parlamento, quando invece si tratta della ben più pericolosa, per loro, coscienza di classe.

Vaffa, Vaffa!

 

Beppe Brillo
di Marco travaglio
Belìn, ragazzi, è successa una cosa pazzesca! Sapete cosa ha detto la Schlein? Che la Commissione Von der Leyen “si è spostata a destra, non la sentiamo come nostra e non daremo per scontati i nostri voti”. Ecco perché il Pd l’ha votata! Perché non ci si riconosce. Se ci si riconosceva, votava contro! Neanche ai tempi dello Psico-nano Testa d’Asfalto! Ma ce n’è una ancora più pazzesca. Vi ricordate quel comico che aveva un blog, faceva i V-Day e si iscrisse al Pd, ma Globulo Fassino gli stracciò la tessera e disse: ‘Se vuol fare politica fondi un partito e vediamo quanti voti prende”, allora lui fondò i 5Stelle? Ecco, quello lì, quello che predicava la politica senza soldi: belìn, tre anni fa ha scambiato Draghi – il banchiere, il privatizzatore, l’Anticristo! – per un “grillino supremo”, e pure Cingolani. Poi, siccome i 5Stelle precipitavano, ha chiamato Conte: quello ha lavorato gratis un anno e mezzo facendosi un culo così, ma l’altro ha cominciato a fargli la guerra, poi s’è fatto dare 300 mila euro l’anno per la comunicazione senza comunicare un cazzo, anzi non andava manco a votare e le rare volte che parlava era per insultare il leader che aveva scelto lui! Una cosa pazzesca. Ma non è finita… state lì… zitti… italianiiii!
Ora ha talmente rotto i coglioni che due iscritti su tre l’hanno abolito. E lui ha fatto ripetere il voto: non gli basta un vaffanculo, ne vuole due! Poi ha mandato avanti i suoi – volete ridere? Sono quelli che lui aveva fatto espellere perché non volevano votare il governo Draghi – a dire che bisogna non votare per far mancare il quorum. Sì, non sto scherzando: chiede di rivotare e poi invita a non rivotare! Ma allora, belìn, ma che cazzo vuoi rivotare a fare? Sembra una battuta, invece è tutto vero. E non è finita. Ha detto che non si fida dei risultati e vuole dei verificatori indipendenti: belìn, e chi sarebbero? Gli osservatori dell’Ocse? I caschi blu dell’Onu? Le teste di cuoio? L’Esercito della Salvezza? Zitti… fermi lì… italianiiii!… Non basta ancora: sapete come si chiamano i quattro gatti che gli vanno ancora dietro? “Figli delle stelle”! Ma chi sei, Alan Sorrenti? Vi dico l’ultima: l’8 giugno 2011, quando era ancora lucido e appoggiava i referendum contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici, il nucleare e il legittimo impedimento dello Psico-pedo-nano, mandava affanculo quelli che invitavano a non votare per far mancare il quorum: diceva che “il quorum è un furto di democrazia, un modo per fottere il cittadino. È inammissibile invitare la gente a non votare, chi lo fa andrebbe denunciato…”. Quindi ora fa un furto di democrazia per fottere il cittadino! Belìn, si denuncerà e si manderà affanculo da solo! Dài, diamogli una mano. Tutti insieme al mio via: tre, due, uno, vaffanculo!

L'Amaca

 

Una megalopoli senza legge
DI MICHELE SERRA
L’idea del governo australiano di vietare i social ai minori di 16 anni ha una sua logica, ma è platealmente inapplicabile: come quasi tutte le leggi proibizioniste, che alla prova dei fatti hanno la tenuta di uncolabrodo. Per altro, se nei social circola liberamente ogni forma di menzogna e ogni genere di porcheria, se il furto di identità è prassi comune, se l’impunità di chi insulta, mente e corrompe il linguaggio pubblico è quasi garantita, perché dovrebbero andarci di mezzo gli utenti nel loro complesso, compresi quelli armati delle migliori intenzioni?
Il vero problema, anzi il vero scandalo, è che della montagna di miliardi che i gestori dei social (pochi oligopolisti) mettono in tasca, solo una parte irrisoria è destinata al vaglio di contenuti che sarebbero impubblicabili anche sui peggiori giornali del mondo. Si affida all’algoritmo (che non percepisce stipendio) un compito che solamente un piccolo esercito di controllori sensibili, acculturati e ben pagati potrebbe svolgere con metodo.
I social sono come una immensa megalopoli che i gestori hanno deciso di non dotare di leggi, di forze dell’ordine, di educatori e insegnanti, perché nell’anarchia guadagnano cifre inverosimili, nella democrazia bene ordinata guadagnerebbero meno. Ma per gli oligarchi del web, il costo del lavoro è oggetto di disprezzo (vedi Musk). Se nuove leggi necessitano, dovrebbero servire a costringere chi si arricchisce anche con l’odio e l’ignoranza a mondare la rete almeno delle manifestazioni più evidenti di odio e ignoranza. Ciò che è reato nel mondo normale, dovrebbe esserlo anche in rete. È l’unica riforma possibile, e non prevede alcun divieto di accesso sulla base dell’età: solo sulla base di come ci si comporta, persona per persona, una volta entrati in quel mondo.

E io pago!

 

Un giorno di ordinaria pirateria: “Tutto ok bro’, non ci beccano”
NON SOLO CALCIO - Dazn, Sky e gli altri a scrocco. 24 ore dopo la retata di Catania, sulle app è tutto disponibile online come prima

DI SAUL CAIA

“Lino Banfi” ci propone un abbonamento stracciato: con 150 euro possiamo vedere Sky, Dazn, Mediaset, Amazon Prime, Netflix, Paramount e Disney+ per 2 anni. “Psn_expert” invece ha diversi pacchetti, dalla musica con Spotyfy, Youtube premium, Apple music, passando per il cinema con HBO, Disney+, Dazn, e persino Linkedin Premium e XBox Gamepass Ultimate. Poi c’è “Il genio dello streaming” che da anni cambia dominio ma nel suo sito si può trovare di tutto. Tra applicazioni e siti web, guardare a prezzi stracciati (e spesso a scrocco) eventi che sarebbero a pagamento, è un gioco da ragazzi.

Pochi giorni fa, la Procura di Catania, coordinata dal procuratore capo Francesco Curcio e dell’aggiunto Sebastiano Ardita, ha disposto 89 perquisizioni tra Italia, Europa e Cina, sequestrando 2.500 canali e server. È emerso che oltre 22 milioni di utenti nel mondo riuscivano a piratare Sky, Dazn, Mediaset, Amazon Prime, Netflix e Paramount, Disney+. “Un guadagno pari al traffico di cocaina”, spiega il procuratore Curcio. Gli introiti mensili arrivano a 250 milioni di euro, il danno per le aziende a 10 miliardi. Ma sequestrati i canali, la macchina resta in piedi e il giorno dopo si trovano subito alternative.

Iniziamo la nostra ricerca con telegram. Appena inseriamo le parole “calcio” e “streaming” nella ricerca, troviamo subito diversi canali. “Pezzotto Dazn Serie A” ha 8.605 membri. Ci iscriviamo e riceviamo un messaggio automatico: “Questo gruppo è pienamente conforme alle linee guida di Telegram e non viola alcuna regola in materia di copyright, spam, contenuti inappropriati o illegali. Tutti i contenuti condivisi aderiscono alle policy della piattaforma”. Siamo sicuri? Contattiamo il suo amministratore per chiedere come funziona. In pochi minuti risponde “Lino Banfi”, con tanto di foto dell’attore pugliese. “Ciao mi dici dove vuoi vederlo, tv, cell o pc e la marca del dispositivo così ti dico l’app da scaricare”. Diciamo che lo useremo su iPhone e abbiamo una smart tv. Ci gira il link dell’app “000 Player” scaricabile dall’Apple Store, sviluppata da “Belal Samir”, mandandoci anche un codice di accesso, mentre per la smart tv ci consiglia l’app “Hotiptv”. Chiediamo quanto ci costerebbe, Banfi spiega che un mese è 10 euro, 3 mesi 30 euro, 6 mesi 50 euro, un anno 90 euro mentre con 150 euro ci abboniamo per due anni. Per vedere cosa? “C’è tutto, Sky, Dazn, Netflix…” Se pago con Paypal, devo mandare i soldi a pendiculoxx@xxxxx.com, anzi no, il giorno dopo un secondo sms in cui dice di inviarli a “tgscampiaxx@xxxxx.com”. “Importante, seleziona amici e familiari prima di inviare, appena inviato mandami una foto del pagamento. Ogni rinnovo chiedimi sempre se l’indirizzo è questo”, scrive Banfi. Chiediamo se ci sono rischi: “No fra’, puoi stare tranquillo. Abbiamo le linee cryptate. Abbiamo i server fuori Europa. Ecco perché siamo irrintracciabili. Se no avremmo già chiuso”, risponde Banfi.

Proviamo un altro canale. “Premium account World”, oltre mille iscritti, diversi pacchetti e piattaforme, tra cui “Dazn”, ma solo 110 iscritti. Troviamo già i pacchetti con i prezzi: “Dazn Unlimited” 6 mesi a 50 euro (prezzo originale 210 euro), “Dazn Pro” 6 mesi a 50 euro (invece di 330 euro), “Dazn Total” 6 mesi a 60 euro (invece di 380 euro). Il pagamenti può avvenire con crypto, stirpe o PayPal. Contatto l’amministratore, per capire come funziona. “Psn_expert” parla in inglese e mi chiama amichevolmente “bro”. “Diamo una garanzia a vita a tutti i clienti. Fratello, se succede qualcosa ti diamo un nuovo account o ripariamo il tuo account, non preoccuparti. Garanzia fino all’ultima data del tuo abbonamento”, mi scrive Psn_expert.

Proseguiamo con “Serie A diretta”, canale gestito da un bot, un software in grado di rispondere automaticamente ai messaggi. Bisogna iscriversi ed essere approvati. Una volta dentro, ti chiedono di registrarsi ad altri due canali (di slot-machine e guadagni online), finché non si apre la finestra: “Calcio streaming serie A”. E subito troviamo i link per le partite.

Ma negli store Apple e Android si trovano decine di app per il calcio a scrocco: “Football tv live streaming HD”, “Live Football Tv Euro APK” e “Live Sport HD TV APK” sono alcune di quelle più gettonate dagli utenti, anche se il sito “Softonic”, portale di recensioni informatiche, segnala che le app “incentivano la pirateria” e “violano di diritti Pay tv”.

Finito? Macché. Si trovano facilmente anche siti specializzati. Rojacalcio e Rojadirecta sono due storici siti che offrono le partite gratis, a cui si sono aggiunti “Calcio.ga” e “Skystreaming”. Spesso le pagine cambiano dominio, ma una volta chiuse tornano operative entro un paio di ore. Il commento è sempre in italiano, rubando il segnale di Dazn, Sky e Prime, ma con la scocciatura dei pop up pubblicitari. Per gli scrocconi appassionati di cinema, c’è “Streamingcommunity”, un portale con la grafica di Netflix, che offre film e serie gratis. Oppure l’eterno “Genio dello streaming”, che pur cambiando spesso dominio, continua a trasmettere film, anime, serie e documentari.

venerdì 29 novembre 2024

Neanche



Neanche se fossi reduce da una cena con Diletta, la Canalis e la schedina del 6 al Superenalotto riuscirei a non dire: 
“Che ti andasse di traverso co###one (beep)” oppure “ficcatela nel c### (beep) testa di ca##o (beep) gigantesca“, o anche “finissi in miseria str###o epico dem##te, sovrano degli imbe###li!” 
No davvero! Credo che non ci riuscirei!

Ah è oggi?

 



Votazioni capestro

 



S'avvicina

 

Mancano circa 10 giorni e poi… “Raga per l’Ultimo cosa fate?”




Natangelo

 



Elena

 

Gli Usa, da Trump a Biden: l’Iran prossimo obiettivo
DI ELENA BASILE
La finanza internazionale sembra giocare l’uno contro l’altro gli schieramenti politici che concorrono a un disegno non molto diverso. Le politiche neo-liberiste con la fine dello Stato sociale e della contrattazione capitale-lavoro si affermano negli Stati Uniti come in Europa. Trump non è molto diverso dalla Harris. Famosa la frase del talento musicale Frank Zappa: la politica è la sezione intrattenimento dell’apparato militare industriale. Oggi più che in precedenza. Non vi sono grandi sfumature tra il bellicismo nazionalista, affetto da suprematismo bianco, dell’Europa di destra come di quella del centrosinistra. I venture-capitalist della Silicon Valley, i petrolieri, i donatori cristiani e la lobby di Israele sono alla base dell’elezione di Trump. La politica estera non mi sembra possa cambiare. Mark Rubio, Segretario di Stato e Michael Walts, Consigliere alla Sicurezza nazionale, rappresentano la continuità con i neo-conservatori. La politica del bastone contro la Cina, sarà il cavallo di battaglia. Si potrebbe passare dal contenimento a una politica di confronto aggressivo che costringa la Cina a fare passi indietro. Protezionismo e tariffe non basteranno. La sfida relativa a Taiwan e le minacce militari nel Pacifico aumenteranno. Si tratta di una strategia rischiosa ed essenzialmente controproducente. La potenza nucleare nemica al fine di proteggere il proprio sviluppo economico e la sovranità sarà infatti costretta a posizioni bellicose che oggi vorrebbe evitare. I neo-conservatori travolti dal loro mito di potenza autistico non si accorgono che non siamo più nel ventennio unipolare.
Similmente, in Medio Oriente gli Usa prenderanno in considerazione la possibilità di colpire i siti nucleari iraniani. Il rischio di un’escalation che sfugga al controllo potrà essere assunto senza una reale contropartita. Teheran sarà confermata nella volontà di possedere al più presto l’ordigno nucleare. L’opportunità di un attacco ai siti nucleari dell’Urss fu analizzata all’inizio della Guerra fredda dagli statunitensi che nel nucleare erano molto più avanti del rivale strategico. L’ipotesi fu scartata in quanto di breve periodo e troppo rischiosa. L’Urss dopo l’attacco avrebbe aumentato i propri investimenti e capacità nucleari. Il risultato sarebbe stato un incremento nella corsa agli armamenti. A quel tempo a Washington ancora si pensava. Gli Stati Uniti oggi si cullano in un film paranoico. Considerano la carta militare il fattore predominante della loro potenza egemone di fronte all’inesorabile avanzare del Sud globale. Di fatto, come i Brics dimostrano risolvendo diplomaticamente i loro contrasti (Russia e Cina in Asia Centrale, India-Cina alle frontiere, Iran-Arabia Saudita in Medio Oriente) soltanto lo spirito cooperativo potrebbe evitare l’instabilità politico-militare di intere regioni. L’accordo sul nucleare iraniano (JPCOA) nel 2015 era sostenuto anche da Cina e Russia. Sarebbe stato un successo se accompagnato da una politica di distensione con Teheran. La minaccia costante, l’isolamento del campo sciita a beneficio dei sunniti alleati, ha eliminato la fiducia essenziale al mantenimento degli impegni. La denuncia unilaterale del Trattato da parte di Trump nel 2018 ha inferto il colpo finale. Non credo la Cina e la Russia attualmente siano inclini a dissuadere Teheran da una strategia mirata al possesso della bomba atomica. Ecco l’obiettivo disastroso raggiunto dalla posizione dell’egemone bullo nella regione.
L’analisi delle dinamiche internazionali non deve esimerci dal giudizio morale nei confronti della classe dirigente statunitense che, permettendo l’impunità dello Stato di Israele, ha assecondato i crimini di guerra e contro l’umanità. Nel mondo cinico e spregiudicato occidentale non si è tenuto conto del fattore etico. Le opinioni pubbliche dei Paesi arabi contano. La lega araba e l’Organizzazione della cooperazione islamica, sunniti e sciiti, hanno chiesto di porre fine all’aggressione di Israele che deve essere costretta al risarcimento dei danni inflitti. Hanno inoltre perorato l’adesione dello Stato di Palestina all’Onu. Il Procuratore della Cpi ha emesso un mandato di arresto contro Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant quali criminali di guerra. Gli Stati europei firmatari del trattato che nel 2002 istituì la Corte sono tenuti a eseguire il mandato. Purtroppo numerose sono le voci di esponenti dei governi Ue contrarie al rispetto del diritto internazionale. Usa e Israele sono ricorsi a minacce mafiose contro i giudici. Sembra impossibile che questo avvenga nel 2024 nell’indifferenza collettiva. Credevamo che il Ventesimo secolo ci avesse messo in guardia contro l’esercizio della forza bruta a dispetto del diritto. La barbarie invece nuovamente trionfa mentre i circhi televisivi intrattengono il pubblico assuefatto a crimini, violenza, ingiustizie.

Kazzo&campana

 

I fatti non esistono
di Marco travaglio
Immaginate se per tre giorni consecutivi i 5Stelle avessero votato con la destra il ripristino-raddoppio dei finanziamenti pubblici ai partiti aboliti in un referendum, la Commissione Ue più destrorsa, guerrafondaia, anti-sociale e anti-green mai vista e la risoluzione che attizza la terza guerra mondiale nucleare con la Russia, cazziando financo Scholz per aver parlato con Putin (cosa che ormai, oltre a Biden e Trump, auspica pure Zelensky). Oggi avremmo le tv e i giornali infestati di titoli, commenti, analisi, interviste contro il M5S che si finge progressista ma resta di destra, sulla Commissione “giallo-bruna”, sull’“ambiguo” Conte che governò con la Lega e col Pd (esattamente come fece il Pd con Draghi, ma questo non si dice). Invece il triplo inciucio con scappellamento a destra l’ha fatto il Pd, quindi non risulta: neppure per dire che è cosa buona e giusta. Non se ne parla e basta. Non è mai avvenuto.
Il Pd spacca il Pse dicendo sì all’Ursula-2 allargata ai meloniani, mentre i socialisti tedeschi si astengono e i francesi votano contro. I suoi 21 seggi sono decisivi al varo dell’obbrobrio. E fanno l’opposto di ciò che avevano giurato agli elettori prima e dopo le Europee, proprio come la Meloni. Ma, stando ai giornaloni, ai tg e ai talk – gli stessi che da mesi accusano i 5Stelle di votare con la destra per la “TeleMeloni giallobruna” (infatti i loro voti alla presidente Agnes non sono mai arrivati) – i seggi a Ursula li ha portati la cicogna. La notizia dell’appoggio determinante non risulta proprio, figurarsi le domande a Schlein, Zinga, Ruotolo, Annunziata, Gualmini, Picierno, Bonaccini, Nardella&C. sul loro voltafaccia (fa eccezione Gori che, senza che nessuno glielo chieda, spaccia il Sì del Pd per uno “spostamento di FdI al centro”: strepitoso). I giornali di destra glissano per non dover dire che la Meloni ha votato col Pd. Sul Corriere la notizia è “Il no a Ursula di Lega, Avs e M5S”, cioè la coerenza di chi ha sempre detto No e vota No. Per Repubblica “Von der Leyen perde i pezzi: i numeri della fiducia sono i più bassi di sempre”, ma non si sa chi glieli abbia dati. La Stampa titola “L’Europa s’è destra” senza dire grazie a chi; dedica una paginata di bava a “Schlein nella sezione romana che fu di Berlinguer accolta da applausi dei militanti tra poesie, nostalgia e speranze”, come se guidasse un altro partito, non quello che inciucia con FdI; e affida l’editoriale sul voto in Ue alla Gualmini, senza precisare che è un’eurodeputata dem. Infatti si fa i complimenti da sola: “Chi ha votato contro ha sbagliato”. È la stessa Gualmini che lunedì dà dei “rosso-bruni” a Sahra Wagenknecht, a Conte e al sottoscritto e mercoledì vota con l’odiata destra. Quindi la rosso-bruna è lei. Anche se, per una così, “rosso” è un po’ eccessivo: non esageriamo.

L'Amaca

 

Più tranquilli e meno liberi
DI MICHELE SERRA
Una lettura distopica, ma neanche tanto, dell’imminente partnership mondiale Trump-Putin, potrebbe essere: più sicurezza e meno guerre in cambio di meno libertà. Gli abboccamenti molto amichevoli tra i due lasciano intendere questo possibile scenario, dal 2025 in poi: una mezza pace mondiale a fronte della sottomissione almeno parziale dell’Ucraina, della rinuncia dei Paesi sospesi tra Europa e Russia a scegliere la prima e voltare le spalle alla seconda, del ridimensionamento dell’Unione Europea, disprezzata in stereofonia dai due grandi capi della destra sovranista mondiale.
Non troppo sullo sfondo, i due troveranno senz’altro un comune sentire sulla questione dei diritti, che entrambi trattano da manie di minoranze chiassose e, nel caso dei diritti sessuali, pure viziose. Per Trump, che si ritrova in casa due secoli di cultura democratica, si tratterà solamente di ignorare o deridere la cosiddetta derivawoke della sinistra americana, con Elon Musk che gli suggerisce le battute. Per Putin sarà più agevole stringere i ceppi attorno a quello che resta dell’opposizione russa, quella politica e quella culturale. E il patriarca Cirillo (si potrà dire che un patriarca è patriarcale?) esulterà: nessuno, mai più, oserà “imporre il gay pride” alla gloriosa Nazione Slava, i cui confini vanno dal Pacifico all’Adriatico. Il fantasma della libertà smetterà di minacciare l’integrità autocratica della Russia imperiale.
Non va ignorata la grande seduzione di un simile patto, specie se la guerra in Ucraina dovesse finalmente cessare. La libertà ha un prezzo che moltitudini di persone non sono disposte a pagare. Meglio tirare a campare, e vivere tranquilli e sottomessi. Anche la democrazia, tutto sommato, potrà essere defalcata a vizio di una minoranza.

giovedì 28 novembre 2024

Una grandissima donna



Una grandissima persona (l’altra è l’attuale presidente del consiglio)

di Lorenzo Tosa

Accade che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni telefoni alla consigliera Ghio per dirle quanto è stata brava, coraggiosa ed esprimerle la sua formale (e ipocrita) vicinanza.

Ghio ha ringraziato, ma non si è fermata lì. Ha fatto di più, ha approfittato dell’occasione per dirle tutto quello che per anni quelli come Meloni e la classe politica che rappresenta hanno negato, minimizzato, cancellato dal dibattito pubblico.

Gliele ha dette tutte, per venti minuti, con una forza e una chiarezza sconvolgenti:

“Cara presidente Giorgia Meloni, ti ringrazio per la vicinanza, ma se ho parlato non è per avere supporto morale. La mia morale è solida e alle mie lacrime ci pensano le mie sorelle. Se ho parlato, è perchè voglio una fine a questo dolore perchè nessun'altra persona debba continuare a passarci attraverso. Se davvero le sono arrivata, presidente Meloni, allora lo dimostri con la potente azione politica che ha nelle sue mani. È una responsabilità, è un privilegio poter usare la politica per risolvere i problemi. Le parole ora risuonano vuote come il buio che ho attraversato. 

Sono morta a 12 anni anche per colpa di persone come lei che, pur avendo il potere nelle mani, pur avendo gli strumenti per cambiare, scelgono di guardare da un'altra parte trovando continuamente un capro espiatorio e deresponsabilizzare le istituzioni, addossando al singolo.

Chiedo una cosa, insieme chiediamo una sola cosa a grande voce: vogliamo l'educazione sessuo-affettiva, all'emozione e al consenso in tutte le scuole del paese per tutti i bambini e le bambine di oggi, che saranno gli adulti di domani per mettere nelle loro mani e nei loro cuori gli strumenti potenti della consapevolezza e dell'amore. 

Sono madre, mi ha detto al telefono. Sono madre anche io, e lotto per mia figlia e anche per la sua, per i figli e le figlie di tutti noi per fare in modo che non ci sia altro dolore evitabile. Dire a me a Gino, a Chiara, a tutti i cuori frantumati e le ossa rotte che vi dispiace serve solo a voi stessi per sentirvi meglio con quello che avete o non avete fatto. A noi serve un cambiamento. Siamo il grido Altissimo e feroce di tutte quelle persone che più non hanno voce".

Se la classe politica italiana avesse un centesimo della forza politica e la lucidità di questa donna a sinistra, avremmo risolto questa emergenza da un pezzo.

Ringraziamenti




Quanto astio!




Proma Pagina

 



Natangelo

 



Urca questa Ursula!

 

Ursula von der Draghen
di Marco Travaglio
Mettetevi nei panni di un elettore dei due partiti maggiori che alle Europee di giugno ha votato FdI contro il Pd o Pd contro FdI. E ora se li ritrova a braccetto ad approvare, con i loro voti decisivi, la Commissione Von der Leyen-2. Che è soltanto omonima di quella nata cinque anni fa all’insegna della transizione ecologica, del salario minimo e delle politiche sociali poi sfociate nel 2020 nei 750 miliardi di eurobond per il Pnrr post-Covid. Ora le parole d’ordine sono opposte: transizione militare, corsa al riarmo, guerra perenne, austerità, nucleare e fossili a spese di Welfare e ambiente. Il programma, anziché i rappresentanti appena eletti dei popoli europei, l’ha deciso un signore mai eletto, incaricato ancor prima delle elezioni e rigorosamente a prescindere da esse: Mario Draghi che, non contento di aver desertificato la Politica in Italia, completa l’opera in Europa per interposta Ursula, una Draghi con più lacca e meno talento. Poi naturalmente tutti a interrogarsi sulla marea montante dell’astensionismo, come se non fosse l’effetto di sceneggiate come quella delle sorelle d’Europa Ursula, Giorgia ed Elly, che confermano tutti i luoghi comuni del qualunquismo da bar: sono tutti d’accordo, se si tratta di poltrone non c’è destra o sinistra, votare è inutile tanto poi fanno come vogliono. Sembra ieri che la Meloni giurava: “Con la sinistra non posso starci né in Italia né in Europa né da nessuna parte. Quando diciamo ‘mai con la sinistra’ vale a Roma e vale a Bruxelles”, “FdI non potrà mai far parte di una maggioranza con i socialisti e i verdi”. Infatti FdI ha votato una Commissione con i socialisti e i verdi.
Sull’altro fronte (si fa per dire) la Schlein tuonava: “Con la famiglia socialista europea abbiamo sottoscritto un impegno chiaro: mai alleanze con le destre nazionaliste. I socialisti europei non sono disposti nemmeno a sedersi a un tavolo di trattativa con chi nega i fondamenti dello stare insieme dell’Ue. Vale sia per i conservatori guidati da Meloni che per il gruppo di Salvini e Le Pen. È un segnale molto forte a Popolari e Liberali per dire basta con la normalizzazione della destra nazionalista. Fino a che punto siete disposti a tradire la vostra stessa storia per queste alleanze politiche che negano alla radice i fondamenti dello stare insieme nella Ue? È una risposta forte alle gravi dichiarazioni di Von der Leyen che ha lasciato aperto ad alleanze con le forze conservatrici e nazionaliste: noi diciamo no”. Infatti il Pd ha detto sì, normalizzando la destra nazionalista e sovranista e tradendo la propria stessa storia. Eppure votare contro si poteva: l’han fatto i socialisti francesi, i popolari spagnoli, i verdi italiani e i 5Stelle. Che avevano detto No e han votato No. I soliti “ambigui”.

L'Amaca

 

Un metodo rozzo ma efficace
DI MICHELE SERRA
È tutto molto complicato, e dunque giova semplificare.
Al di là delle chiacchiere, delle prese di posizione retoriche, delle dichiarazioni pompose di vicinanza al popolo, forse ogni governo del mondo, compreso il nostro, dovrebbe rispondere a due sole domande: hai aumentato le tasse ai ricchi?
Hai operato perché aumentino i salari dei poveri? Se la risposta alle due domande è sì, vuol dire che sei di sinistra. Se la risposta è no, vuol dire che sei di destra.
Capisco la rozzezza del metodo. Molto schematico. Capisco le obiezioni e i distinguo. Ma a un certo punto bisognerà pure rimettere un poco di ordine nelle cose. Il famoso populismo, per esempio, può fornire prove concrete, non solamente ideologiche, della propria vicinanza al popolo? Ha aumentato le tasse ai ricchi? Ha aumentato il salario dei poveri? Se sì, in quale Paese, in quale anno?
La prima amministrazione Trump, Bolsonaro in Brasile, Milei in Argentina, Orbán in Ungheria, e da ultimo il nostro governo che ha il popolo in bocca come il cane il suo osso, hanno messo ostacoli all’arricchimento di troppo pochi e difeso il welfare, che dei poveri è il solo vero scudo?
Vale anche il contrario: i dem americani — Clinton in testa — hanno cercato di intercettare in qualche modo (anzi nel solo modo logico e consentito: il prelievo fiscale) il mostruoso arricchimento di pochissime persone che il boom tecnologico ha prodotto? O sono rimasti a guardare, ammirati, storditi, complici? Bisognerebbe resettare il quadro politico, inquinato da troppi virus. Di sinistra è la condivisione del benessere. Di destra la sua consegna a pochi eletti. Quasi tutto il resto: chiacchiere.

mercoledì 27 novembre 2024

Nefasto tempo



Un giorno gli storici ricorderanno come nefasti questi tempi europei vonderleyeni, ammesso che fra vent’anni vi sia ancora l’Europa cosiddetta unita. Questa Unna ha perseverato nell’accondiscendenza smodata verso la Fetecchia Democratica retta da un Rimbambito, senza accorgersi che i stelle e strisce smaniano da tempo immemore di frantumare la mai raggiunta unità del vecchio continente. Ursula ha profuso inchini e genuflessioni smodate allo zio Tom ed è pronta ad inginocchiarsi a breve al Biondastro, anche se, ne otterrà dinieghi e richieste di immorali acquisti bellici sfamanti le voraci multinazionali guerrafondaie. 
La riconfermata conduttrice della carriola pregna di burocrazia belga smania a forgiarsi un esercito unitario dai costi immani, sorretta dalle bande armate che la idolatrano, sfanculando le necessità primarie dei popoli europei, diritti sociali, lotta alle disuguaglianze, centralità del sistema sanitario. Bazzecole queste per una come lei, omaggiata e riverita in questa amara penisola da una presidente del consiglio una volta recalcitrante, e da una finta opposizione guidata da Elly, un’arzigolatrice confusionaria e supercazzolaria, sempre pronta però a sminuzzare quella vaga idea di socialismo, oramai relegata nei libri e nella musica. 

Sob!




Robecchi

 

Privato è bello. Il verbo smantellare significa solo fare la guerra ai poveri
di Alessandro Robecchi
Se c’è una parola felice, che avanza in ogni dove sul pianeta e miete vittime, è il verbo “smantellare”. Rimbalza ovunque, più o meno rivendicata: dall’Italia all’Argentina, all’America trump-muskiana è tutto uno smantellare, ridurre, cancellare, limare. Tutto ciò che è pubblico viene smantellato – potremmo anche dire martellato – con gran cagnara e applausi dei cosiddetti liberisti, che non sanno più cosa liberare, ma lo “liberano” lo stesso.
Giorgia Meloni che riceve in dono dal signor Milei la statuetta di lui medesimo con la sega circolare in mano e la mostra divertita nelle fotografie ufficiali, rappresenta una specie di accettazione del gioco: massì, sembra goliardia, una spiritosaggine, e del resto qui assistemmo a veri orgasmi e ovazioni quando il presidente argentino urlava come un invasato afuera!: via, via tutto. Istruzione, sanità, sicurezza, assistenza, welfare, tutti settori in cui si ostina a considerare fondamentale la presenza dello Stato, e invece no, che sia il mercato a decidere o meglio – obiettivo e conseguenza – chi ha i soldi pensi per sé e gli altri si fottano. Un’ideologia molto precisa, che storicamente si fa risalire a due iatture antiche, Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e che poi ha preso a scivolare su un piano sempre più inclinato.
Le metafore si sprecano, persino esagerate, come quella della nuova ministra dell’istruzione americana, Linda McMahon, che in decine di video prende allegramente a calci nei coglioni i campioni del wrestling, grande finanziatrice di Trump, promossa per i soldi che ha versato e soprattutto per la volontà di smantellare il suo dipartimento. Cioè: il mandato per la scuola pubblica è distruggere la scuola pubblica, o quel che ne rimane. Che non è diverso da quel che vuol fare Milei quando chiama il ministero dell’Istruzione argentino Indotrinamiento e grida Afuera!. Che è poi lo stesso che vediamo qui, con qualche prudenza in più, ma nemmeno tanta, quando si disinveste sulla scuola pubblica (stipendi infami, docenti che mancano, cattedre ballerine) e si promettono finanziamenti alle scuole private. Il trucco è noto: piano piano si ostacola ciò che è pubblico, gli si taglia l’erba sotto i piedi, lo si fa operare male, gli si crea una brutta nomea e poi – quando finalmente non funziona più – si invoca l’intervento del privato come un toccasana. Lo vediamo ogni giorno con la sanità italiana, non c’è bisogno di esempi eclatanti, anche se è vero che in altre parti del mondo i lavori sono più avanzati. L’incarico all’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, di svuotare il bilancio statale americano con una spaventosa spending review che smantellerebbe il poco di pubblico che rimane laggiù è illuminante. E del resto, perché stupirsi se allo stesso privato viene appaltata la corsa allo spazio, il sistema di comunicazioni satellitari, persino certi segreti militari che una volta lo Stato si teneva stretti stretti?
Può apparire una discreta contraddizione che proprio mentre tornano di moda nazionalismi e sovranismi vari si smantellino sempre più velocemente e violentemente i poteri dei vari Stati nazionali con una cessione di potere – di affari e potere – ai privati. Ma forse non è così. Anzi si precisa sempre più che la competizione non è tra Stati – bandiere, divise, confini, cose così – ma tra componenti della società: chi ha e chi non ha, chi può pagare e chi non può, che è una dimensione globale di guerra ai poveri, cioè agli sfigati che producono ricchezza ma non ne godono, non se lo meritano, afuera!

Spauracchio

 

Avanti il prossimo
di Marco Travaglio
L’idea che con Trump possa scoppiare la pace o almeno la tregua in Ucraina ha gettato nel più cupo sconforto i criminali di guerra americani e gli scemi di guerra europei. Il che la dice lunga su quanto avessero investito nel conflitto con la Russia sulla pelle degli ucraini. Infatti s’impegnano allo spasimo per allungarlo con mine, missili e magari anche truppe; e per allargarlo ai danni di altri Paesi dell’Est. La tecnica è sempre quella collaudata con la cavia Kiev: si annuncia che un Paese entra nella Nato e nell’Ue (tanto ormai coincidono); si appoggiano partiti filo-Nato&Ue; se poi i popoli, volendo restare neutrali per non finire come l’Ucraina, non li votano, si contestano le elezioni gridando ai brogli putiniani, si accusano i vincitori di essere filorussi e si promuovono rivolte di piazza per cacciarli e rimpiazzarli con chi decidono Nato&Ue. In Moldavia si è strillato ai brogli di Putin quando le proiezioni davano i Sì alla Ue in svantaggio, ma poi lo spoglio le ha ribaltate di un pelo, quindi tutto regolare. Ora in Romania, che già fa parte dell’Ue, ha vinto il candidato di destra Georgescu, contrario ad armare Kiev, quindi “ha stato Putin”. E poi c’è la Georgia, l’altro agnello sacrificale issato insieme all’Ucraina nei primi anni 2000 sull’altare dell’agognata guerra fra Nato e Russia.
Nel 2003-04 due “rivoluzioni colorate” a Tbilisi (quella “delle rose”) e a Kiev (quella “arancione”), finanziate da Usa&C., cacciano i presidenti appena eletti Shevardnadze e Yanukovich, rei di volere la neutralità. Si rivota e vincono i “buoni” Saakashvili e Yushchenko. Nel 2008, al vertice Nato di Bucarest, Bush jr. ordina di annunciare l’ingresso di Ucraina e Georgia; Merkel e Sarkozy si oppongono; ma il comunicato finale afferma che “la Nato accoglie con favore le aspirazioni di Ucraina e Georgia a entrare nella Nato”. Però gli ucraini non vogliono e nel 2010 rieleggono Yanukovich: nel 2014 gli Usa finanziano un’altra “rivolta arancione” per cacciarlo e sostituirlo con il fantoccio Poroshenko, che a Minsk firma l’autonomia per il Donbass, poi la nega bombardandolo e cambia la Costituzione per aderire alla Nato. Nel 2019 gli ucraini eleggono il russofono Zelensky che promette la fine della guerra civile, invece la aggrava fino all’invasione russa. Ora ritocca alla Georgia. Il premier neutralista Ivanishvili stravince le elezioni col 54% contro il 37,8 dei pro-Nato. La presidente filoccidentale Zourabichvili grida ai brogli putiniani (del 16%!), invoca la piazza e tenta di impedire che s’insedi il Parlamento eletto: un golpe come quello dei trumpiani a Capitol Hill. Ma Usa e Ue stanno con lei. Se il popolo non vota come dicono loro, non vale. Casomai scoppiasse la guerra pure in Georgia, già sapremmo il perché.

L'Amaca

 

Popolo contro popolo
DI MICHELE SERRA
Il conteggio (quasi) definitivo del voto per le presidenziali Usa dice: Trump 49,8 per cento, Harris 48,3. Solo un punto e mezzo di differenza. Mezza America ha votato dem, una mezza America un poco piùnumerosa ha votato Trump. Si chiama bipolarismo e vede fronteggiarsi — lo dicono i numeri — due grandi blocchi di popolo. Quello che prevale, governa.
Se la partita fosse davvero stata “popolo controélite”,come la moda ideologica del momento fa dire non solamente ai media di destra, ma anche a parecchi commentatori progressisti, i numeri sarebbero, ovviamente, molto diversi. La partita è stata invece, con ogni evidenza, popolo contro popolo, ed è uno scenario profondamente differente. Gli intellettuali e gli artisti, la borghesia colta, i ceti urbani meno spaventati dalla globalizzazione e dai mutamenti dei costumi, sono certamente una componente importante dei dem; ma basterebbero a malapena ad arrivare al 10 per cento del totale. Il resto, il grosso, sono decine di milioni di voti popolari, donne, ragazzi, operai, minoranze etniche che con leélitec’entrano quanto il voto popolare repubblicano c’entra con i miliardari come Musk e Trump: niente.
La menzogna fondativa del populismo va confutata radicalmente. Dire che la sinistra occidentale non ha saputo governare la globalizzazione come avrebbe dovuto è pura verità. Dire che questo errore le è costato il voto popolare quasi al completo è un falso aritmetico e un falso storico. La sinistra, nei Paesi occidentali, è popolare tanto quanto la destra populista, e nelle scelte politiche (difesa del welfare, tasse proporzionali al reddito) lo è molto di più. Se riuscirà a esserlo con maggiore energia, tornerà a governare.

Sono pazzi questi...

 


I tonitruanti dati riportati dalla mitica Gabanelli si riferiscono ad un problema, o meglio, a una vergogna dell'intera nazione: le persone colpite da tumore non sono trattate allo stesso modo. 

Se paghi in 32 giorni riesci a fare tutti gli esami del caso, fattore fondamentale nella lotta contro queste malattie. 

Se ti affidi al sistema nazionale i tempi vergognosamente si allungano: se ti affidi completamente al Cup il periodo per completare gli esami sale a 52 giorni, se paghi e utilizzi meno Cup scendono a 49 giorni, se paghi di meno vanno a 54. 

Chiarisco la mia idea comunista riguardo all'oncologia: il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, i medici dovrebbero essere decorosamente pagati dal SSN, nessuno di loro dovrebbe ricorrere ai classici trucchetti di intramoenia e studi peripatetici affini. E per quelli che trasgredissero? Centro di rieducazione sociale di qualche mese, in puro stile maoista. 

Ma stiamo scherzando? Per cercare di curarti da un male aggressivo nel 2024 devi ancora ricorrere al rapto medico e a pregare l'amico dell'amico per agevolare l'avanzamento nella lista d'attesa? 

Sempre più convinto nel meteorite!      

martedì 26 novembre 2024

Razza malvagia




We trust

 



Natangelo

 



Anamnesi

 

I soliti ignoti
di Marco Travaglio
Se morissero domattina, i 5Stelle potrebbero rivendicare molti record. Ma soprattutto uno: essere vissuti per 15 anni, 4 al governo e 11 all’opposizione, senza che il sistema mediatico capisse chi erano e li raccontassero e giudicassero (bene o male, non importa) per quello che erano. Qualunque cosa facessero, anche riforme attese da trent’anni, erano il “partito del vaffa” (urlato da Grillo nei V-Day agli onorevoli condannati ben prima che nascesse il M5S). Se i leader erano Grillo e Casaleggio, i media esaltavano i loro ragazzi violentati dai padri-padroni. Se i leader erano i ragazzi – il direttorio a cinque, poi Di Maio – magnificavano Grillo e Casaleggio. Ora che il leader è Conte, tutti a incensare Grillo, a inseguire Raggi e Toninelli (lapidati quando facevano cose buone da sindaca e da ministro) e financo a intervistare il Casaleggio minore: non si butta via niente. Se avevano il gruppo parlamentare con più laureati, erano gli “scappati di casa” dell’“uno vale uno” (che non ha mai significato “l’uno vale l’altro”). Se Raggi, Appendino, Pizzarotti e Nogarin vincevano in Comuni fatti fallire da destre &Pd e li risanavano, era “caos 5Stelle”. Se costringevano i partiti a cacciare i condannati con la Severino, poi tagliavano i vitalizi e le poltrone in Parlamento, grasse risate su chi voleva “aprirlo come una scatoletta di tonno” (la spalancarono eccome, cancellando odiosi privilegi). Se portavano l’Ue agli eurobond per il Pnrr post-Covid, erano anti-europeisti.
Se Conte, dopo le sconfitte, chiama gli iscritti a votare su tutto, anche su di sé, “fa il partito personale”. Se alla Costituente Stiglitz, Sachs, Zingales e tanti altri esperti discutono di guerre, lavoro, diseguaglianze, sanità, scuola, migranti, informazione, clima, legalità, cultura, il Cretino Collettivo dice che lì “non si parla di politica” perché non si citano campi larghi e altre baggianate di portineria. Se gli iscritti preferiscono dirsi “progressisti indipendenti” per tenere alla larga il campo largo, “Conte va a sinistra”. Se Conte invita Sahra Wagenknecht, la leader europea più affine allo spirito 5Stelle, è un “rossobruno”, cioè nazi-comunista, solo perché il Bsw contesta le guerre, l’austerità e l’immigrazione illegale selvaggia che gonfiano le vele ai veri nazisti. Se il fu Grillo esaspera la base fino a costringerla ad abolire il suo ruolo, non è lui che si mette contro e fuori dalla sua creatura, ma Conte che gliela “scippa”, gliela “sfila” e “decide da solo”. E se Conte ricorda le cose buone fatte dai suoi governi, il Corriere – abituato a fingere che non sia mai stato premier – gli imputa il “trauma della cacciata da Palazzo Chigi” e il “desiderio latente” di tornarci. Un po’ come l’altro Conte, Antonio, che fa l’allenatore di calcio col desiderio latente di vincere lo scudetto. Roba da matti.

L'Amaca

 

Non passi lo straniero!
DI MICHELE SERRA
Non capendo niente di finanza e di banche, ringrazio il Salvini per avere offerto, a noi inesperti, un criterio per orientarci nel caso Unicredit-Bpm. È un metodo semplice, buono anche per l’uomo della strada: bisogna fare il tifo per l’Italia, come quando giocano Sinner e Berrettini, e siccome Unicredit è «una banca straniera», non va bene che metta le grinfie su Popolare di Milano che, lo dice il nome stesso, è italiana, e dunque deve allearsi con Monte dei Paschi di Siena, che è un’altra squadra,pardon banca, tipicamente italiana.
Ci si sente sollevati. Si era capito che la finanza, le banche, l’economia, erano campi globalizzati, nei quali distinguere gli interessi nazionali è un poco come voler separare gli ingredienti del minestrone quando ormai è già nella zuppiera. A maggior ragione si pensava, sempre noi inesperti, che tra banche europee potesse esserci una specie di promiscuità naturale, alla luce del fatto che “europeo” non suona alle nostre orecchie come sinonimo di “straniero”. E Unicredit è per l’appunto una banca italiana che si è data, negli anni, una dimensione europea.
No, invece. Si tratta di stranieri che cercano di fregarci la nostra roba. E Bankitalia — si chiede il Salvini — che fa? Dorme? Se si chiama, appunto, Bankitalia, come mai non inalbera il tricolore, non indossa la maglia azzurra e cantando l’inno di Mameli, con una mano sul petto, non sbarra il passo allo straniero?
Perché Panetta e Signorini, come Sinner e Berrettini, non sfidano in doppio il capitale straniero, ricacciandolo oltre frontiera?
Avendo affidato i miei pochi risparmi a un credito cooperativo emiliano, già diffido delle banche di altre regioni, figuratevi Unicredit, che ha perfino un boss che si chiama Orcel.
Sarà mica un francese?

lunedì 25 novembre 2024

Ah l’arte!




Cambiamenti

 

Votare non salva più nessuno: lottare è la “nuova” politica
IL BARATRO DELL’ASTENSIONE - Che fare. Le ultime amministrative hanno confermato la “separazione” tra persone e partiti. Unica chance: le esperienze dal basso, da New York alla Spagna
DI TOMASO MONTANARI
Il nome di questa rubrica allude al fatto che nessun discorso sul patrimonio culturale (le pietre) può stare in piedi senza tener conto del suo rapporto con i vivi oggi, intesi come comunità politica (il popolo). Le elezioni italiane delle ultime settimane, al di là dei risultati, certificano un dato fondamentale, liquidato con qualche parola di circostanza in ogni analisi: il popolo e la politica si sono separati. Anche in Italia, la maggioranza non vota più. Perché ritiene che la politica non possa fare nulla per migliorare le precarie (in tutti i sensi) condizioni di vita delle persone. È l’esito finale (largamente annunciato) della rinuncia delle democrazie a costruire giustizia sociale: le sinistre (da Clinton a Blair all’Ulivo italiano) hanno fatto proprio il There Is No Alternative di Margaret Thatcher. Non era la politica che decideva, ma l’economia: il mercato. Un suicidio che culmina nell’idea che un Mario Draghi sia il leader naturale dei progressisti.
Un bel giorno, però, l’alternativa è arrivata: ed è stata la peggiore possibile, quella della destra xenofoba e razzista. Oggi la rabbia dei poveri (poveri di soldi e di conoscenza) viene messa a reddito dagli imprenditori della paura, rimasti i soli a parlare con loro: e quando poi appare chiaro che le vite non cambiano nemmeno con questa destra (capace di mutare destino solo agli ultimissimi e ai diversi: in peggio), l’estrema disillusione riporta gli elettori nell’astensione, il grande buco nero del rifiuto della politica. Al netto di scelte tattiche azzeccate (Proietti in Umbria) o sbagliate (Orlando in Liguria), penso sia ormai evidente che, sul piano strategico della visione, non ci sia molto da aspettarsi da Elly Schlein. Il mandato esterno al partito, che aveva lasciato sperare in una stagione di vero cambiamento, è stato totalmente vanificato dagli equilibrismi interni, e oggi è difficile dire quale sia la visione del Pd sulla guerra e la pace, sul fisco, sul lavoro, sulla salute e sulla scuola… Il Pd che vota Fitto ‘perché è italiano’ dimostrando di non avere alcuna di idea di Europa e di subire la visione nazionalista delle destre. Allora, è un Pd a cui tutto va bene così (un Pd ancora renziano), o invece è un Pd che finalmente capisce che bisogna ribaltare le scelte non della destra, ma le sue e quelle dei suoi predecessori, dall’Ulivo in poi, su questioni fondamentali (la precarizzazione del lavoro, per citare la madre di tutte le sciagure)?
D’altra parte, la comprensibile necessità di coalizioni elettorali sta massacrando anche l’altra forza di alternativa, il Movimento 5 Stelle: che più diventa ‘responsabile’ (cioè compromesso con la palude), più perde voti, risucchiati dall’astensione.
È dunque fin troppo evidente che la politica va cercata altrove: dove è davvero. Nelle lotte, nelle vertenze, nelle solidarietà, nelle associazioni che – su scala locale ma con aspirazioni e metodi globali – cambiano poco a poco il loro mondo: silenziosamente, ogni giorno. Lo sappiamo da un pezzo, ma si allarga il fronte mondiale di chi la pensa così. E ora dall’America trumpiana arriva il libro di un ricercatore (Adam Greenfield, Emergenza, Einaudi 2024) che ci aiuta a mettere a fuoco questa prospettiva postpolitica (o neo-politica). Partendo dalla constatazione che “le foreste bruciano. Il livello dei mari si alza. I poveri sono sempre piú poveri e i ricchi sempre piú ricchi, e intanto i nuovi fascismi guadagnano consensi”, e che in futuro le cose non miglioreranno, Greenfield dice una cosa dura: il nostro più pericoloso nemico è la speranza. “Il primo passo è smettere di coltivare speranze vane: dall’alto dei cieli o dei palazzi del potere non arriverà niente o nessuno in nostro soccorso… Andare a votare non ci salverà, ma non ci salverà neanche non andare… Soltanto con questa consapevolezza potremo ripartire dal basso”.
Cioè “dai programmi di sopravvivenza delle Pantere nere negli anni Settanta, agli esperimenti di municipalismo in Spagna e nel Rojava, fino ai gruppi di autoaiuto sorti a New York durante l’uragano Sandy”. Il libro, terribile e bellissimo, è una guida a ciò che in queste, e in altre, esperienze è replicabile. Una guida animata da un radicalismo disperato e insieme pieno di speranza, che ricorda le riflessioni più mature di Emilio Lussu, che scriveva: “La Costituzione è cosa morta, se non è animata dalla lotta. E anche quando siamo stanchi e vicini alla sfiducia, non c’è altro su cui fare affidamento. Rimettersi all’alto è capitolazione, sempre”. Ora che rimettersi all’alto, anche volendo, è impossibile, le pagine di Greenfield invitano a cercare ciò che è vivo nella metà del popolo che non vota. Non per portarlo a votare (per cosa?), ma per costruire insieme un altro modo di ‘fare politica’. La cosa ci riguarda davvero tutti. Perché, come dice una antica massima del rabbino Tarfon, eletta a bussola da Greenfield: “Non è tuo dovere completare l’opera [di riparazione del mondo], ma non sei nemmeno libero di non parteciparvi”.

Voilà!

 



domenica 24 novembre 2024

Elena vs Europa



Un’Europa di burattini al servizio della NATO.

di Elena Basile 

Il corrispondente eterno da Bruxelles – una cariatide che ci diletta da decenni con articoli in cui si fa portavoce del politichese in grado di seppellire valori e ideali europei, sostenitore dell’austerità e dell’agenda Draghi, di tutti i madornali errori commessi da una organizzazione internazionale piegata dalle logiche di potere – ci spiega ancora una volta quale sia il bene da perseguire. Il commissario Fitto va votato anche se in questo modo si sdogana l’alleanza con la destra e si allarga il perimetro della Von der Leyen perché il vero pericolo è costituito dalla Russia imperialista e dalla politica commerciale di Trump. Naturalmente non offre alcun dato né argomento per spiegare perché la Russia sia una minaccia imperiale. Questi sono dettagli. I progressisti non hanno bisogno di ragionare. Abboccano all’amo. Hanno bisogno di nemici per compattarsi e difendere la giusta via che va dalla Meloni alla Schlein.
La Russia ha un tasso demografico discendente, territori immensi e materie prime. Non ha alcun bisogno di conquiste territoriali. La guerra in Ucraina è stata provocata dall’espansionismo aggressivo della Nato, dal colpo di Stato in piazza Maidan, dalla non applicazione degli accordi di Minsk, dalle provocazioni militari, con spedizioni punitive nel Donbass da parte dell’esercito Ucraino che include il battaglione neonazista Azov. La penetrazione militare ed economica anglosassone, divenuta nel 2014 anche politica, ha pompato il nazionalismo dei seguaci di Bandera, trasformando il Paese in una anti-Russia. Mosca ha inseguito la mediazione, come ha affermato Stoltenberg fino al dicembre 2021, e non ha avuto molte opzioni, volendo conservare la sovranità del Paese. Del resto la Russia nel marzo del 2022 aveva già raggiunto l’accordo con l’Ucraina per il cessate il fuoco e l’avvio di negoziati. Inutile sottolineare questi argomenti, basati su fatti innegabili, per contrastare lo slogan che attribuisce a Putin intenti imperiali. Sono dettagli.
Inutile ragionare. C’è la fede nel Verbo che procura prebende, status, un posto di commentatore dell’Europa che ricorda i privilegi monarchici di origine divina. In effetti è proprio l’Europa a cui tiene il Corrispondente eterno la nemica degli ideali europeisti. L’Europa di “mercato e austerità”, neoliberista, filo-atlantica, in grado di distruggere la libertà di espressione creando un “ufficio contro la disinformazione”, titolo orwelliano che sta per Ufficio Censura. L’Europa che apre ai migranti e non li integra: sceglie alcuni Paesi-vittima come l’Italia, destinata a divenire un campo profughi per l’inettitudine e il privilegio di altri Stati. L’Europa bellicista, che paga gli errori dei neoconservatori statunitensi, trasformandosi in braccio armato della Nato per interessi Usa. L’Europa che rinuncia all’accordo con la Cina per imposizione statunitense e ingoia le politiche commerciali unilaterali con Biden come con Trump. L’Europa classista che toglie lo stato sociale ai deboli per incrementare i finanziamenti alla difesa. L’Europa che ha rinunciato a una reale transizione verde e ha provocato il ritorno al carbone della Germania. L’Europa club elitario. L’Europa senz’anima in cui la cultura è pompata dalla politica e i cosiddetti progressisti eseguono in brutta copia le politiche neofasciste della destra e dei neocon di Washington.
Signor eterno corrispondente da Bruxelles, è questa Europa che la fa mangiare e che lei difende a denti stretti, l’assassino dei valori e degli ideali federalisti, della speranza di un socialismo liberale in grado di coltivare i beni comuni, dall’istruzione alla sanità. Mi domando se anche lei sia andato a vedere con la classe dirigente imbellettata il bel film di Andrea Segre su Berlinguer. Quale trasformazione antropologica ha potuto rendere il potere insensibile al punto da ricordare un uomo politico e il suo slancio etico senza batter ciglio, commemorarlo mentre affossano, in ogni passo quotidiano, gli ideali dell’eurocomunismo, dello sviluppo democratico, della creazione di una società più equa e più libera? È l’Europa che lei incarna, signor eterno corrispondente, a essere la nostra nemica, l’Europa del politichese, degli intrighi, del potere, dell’asservimento a interessi stranieri, l’Europa forte con i deboli e umile con i potenti, l’Europa delle intese comuni e dei campi larghi, dove poca è la differenza tra Meloni, Von der Leyen e Borrell, l’Europa che ha massacrato una generazione di giovani ucraini per non aver voluto accettare un Paese neutrale, l’Europa complice del lo sterminio del popolo palestinese, che finge di combattere Trump in nome della neoconservatrice Harris, l’Europa delle menzogne, della più beota e sfrontata propaganda. L’Europa dei lecca-lecca, dei signorsì, di persone prive di coscienza e scrupoli, l’Europa dei potenti psicopatici e dei burattini, dei vuoti opportunisti.