venerdì 28 febbraio 2025

Click!



Quello che una volta guardavamo in film violenti di bassa categoria, è divenuto realtà grazie all’elezione, probabilmente manipolata dall’amico ketaminico, di un bullo psicopatico estremo divenuto, grazie ad ignoranza e babbanesimo, l’emblema di una fantomatica rinascita, in realtà imminente baratro; il saluto quasi definitivo ad educazione, rispetto, dialogo, pone davanti a noi tutti la consapevolezza del regredire, dell’assistere inermi alla dissoluzione di quel poco di buono che avevamo costruito. Un bullo circondato da idioti della peggior specie, negazionisti, fascisti, nazisti. E che dire dell’ospite iroso? Nel surreale che stiamo vivendo verrebbe da dire “finalmente questo elemosinante armi ha trovato quello giusto!” 
Ma essendo stato aggredito, di default è dalla parte della ragione, anche se, farcito di nazisti è propenso alla globalizzazione del conflitto, sta pedissequamente sfioriando il torto, avendo escluso per decreto il dialogo con l’orso assassino. Piccolezze difronte alla sfrontatezza della gentaglia guidata dallo psicopatico miliardario.

Troppa pazienza

 



Ricapitolando

 



Pensa un po'!

 

Toghe rotte
di Marco Travaglio
Se ieri l’80% dei 9 mila magistrati italiani ha aderito allo sciopero dell’Anm, queste famose “toghe rosse” iniziano a essere un po’ troppe. O forse si sono semplicemente rotte di fare i capri espiatori di una politica delinquenziale che le ha elette – con gli altri poteri di controllo – a parafulmini di ogni guaio e disastro interno. Non è la prima volta che protestano contro schiforme ammazza-giustizia. Era accaduto con Cossiga, con B., col suo degno erede Renzi e col duo Cartabia-Draghi. Ma il successo dello sciopero di ieri ha del miracoloso, perché coincide col periodo più critico della magistratura, dopo gli scandali e le perdite di consenso (peraltro infinitamente più alto di quello della classe politica). L’insipienza di Nordio &C., mista ad arroganza e cialtroneria, è riuscita nella mission impossible di risvegliare anche il corpaccione più sonnacchioso della classe togata e compattarla come ai bei tempi del triplice “Resistere” di Borrelli (correva l’anno 2002). Certo, quell’appello fu seguito da mesi e mesi di mobilitazioni di piazza (Girotondi e affini), mentre oggi la società civile stenta a farsi vedere e sentire. Ma l’eccesso di ùbris che sta contrassegnando gli ultimi mesi del governo Meloni sta a poco a poco ridestando anche l’opinione pubblica.
La brace che cova sotto la cenere potrebbe presto esplodere in nuove fiammate se i magistrati associati (ma ieri erano con loro fior di avvocati, da Alpa a Coppi, per citare solo i più noti) usciranno dal giuridichese e controinformeranno la cittadinanza con parole chiare ed esempi semplici sui pericoli che le schiforme governative comportano non per loro, ma per noi. Il video dell’Anm che smonta le balle degli schiformatori è un ottimo inizio. Così come l’idea di coinvolgere artisti, intellettuali e giornalisti in una battaglia che deve uscire dalle aule di giustizia e delle accademie per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini: cioè le vere vittime di un potere al di sotto di ogni sospetto che si crede al di sopra della legge. La campagna per il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere è appena all’inizio e i sondaggi che danno i Sì in vantaggio sui No non devono spaventare né scoraggiare. Anzitutto perché ci sono battaglie di principio che vanno combattute a prescindere dai pronostici: per la dignità e l’orgoglio di fare tutto il possibile per scongiurare l’ennesimo sfregio alla Costituzione. E poi non c’è nulla di più volubile e volatile dei consensi. Nel 2014, quando il Fatto sposò solitario l’appello di Libertà e Giustizia, primi firmatari Rodotà e Zagrebelsky, contro la schiforma Renzi-Boschi-Verdini, i sondaggi davano il No allo zero per cento. Due anni dopo, quando si votò, il No stracciò il Sì 59 a 41. Basta insistere. E informare.

L'Amaca

 

Balle più belle delle loro
DI MICHELE SERRA
Ho un dubbio “contronatura”, nel senso che fa a botte con le mie radici culturali e politiche. Il dubbio è questo: forse alle balle bisognerebbe rispondere con balle migliori. Più seducenti, meglio confezionate. Balle democratiche, balle civili, balle umanistiche.
Dico questo perché di fronte a Trump, a Musk, alla loro produzione violenta e delirante di parole e immagini (vedi il video “golden Gaza”) che a tutto fanno pensare, tranne alla civiltà umana così come avevamo pensato che fosse nei precedenti tre o quattro millenni; di fronte a quella che il mediologo Janwei Xun definisce “ipnocrazia”; non vale richiamare alla realtà, alla verità, alla ragione.
È fiato sprecato. Non si affronta un pazzo megalomane, per giunta pieno di miliardi e con l’atomica in tasca, contrapponendogli buon senso e buoni propositi. No, forse funziona meglio spararle più grosse.
Ci sarà pure modo di rubare al nemico una IA, anche di seconda mano, e per esempio produrre un video nel quale i bambini palestinesi cucinano allo spiedo Elon Musk, con le banconote fritte di contorno. O nel quale Putin dichiara di ritirarsi dall’Ucraina e il patriarca Cirillo annuncia di voler partecipare al gay pride, forte del suo costume così sfarzoso che non sfigurerebbe al Carnevale di Rio. Video falsi nei quali Hamas chiede scusa ai palestinesi, Netanyahu agli israeliani, i trapper leggono Seneca vestiti in modo modesto, Salvini dice una cosa gentile e il giorno dopo anche una intelligente, gli ayatollah elogiano il panteismo e rivalutano Zoroastro, nei talkshow si parla a bassa voce e si ascoltano gli altri, Milei restituisce la motosega al negozio dove l’ha rubata. Non sarebbe bellissimo?

Bel pezzo

 



Jolly, peti & Kievfra Trump e Musk

IL DESTINO DEI NOMI - Le pretese del duo Usa offrono vantaggi a loro se non proprio all’Ucraina. Metterla sul piano degli affari è l’asso di Donald: tra lui e Zelensky si gioca un match tra bari, con l’Ue a fare la parte del pollo

di Fabio Mini 

Le parole chiave di questo periodo in tutto il mondo sono Elon, Musk e Trump. Giustamente, visto che le prime due si riferiscono all’uomo più ricco del mondo e la terza a quello più potente.
Tanto potente da potersi permettere il lusso di avere quello più ricco al suo servizio. Elon sta diventando il nome di battesimo di molti neonati, anche se in ebraico significa soltanto “quercia” e nella Bibbia di Elon ce ne sono diversi, ma poco noti e comunque Musk non è ebreo. Prima della notorietà raggiunta con quelle poche centinaia di milioni spesi per quel viaggetto spaziale che la cagnetta Laika aveva avuto gratis, il nome Elon in America evocava l’omonima prestigiosa Università della Carolina del Nord e Musk richiamava più la fragranza del muschio che un’automobile. Per gli anglofoni è invece più problematico sentir gridare, sussurrare, declamare e bestemmiare Trump. Lui vorrebbe passare alla storia come il pacificatore, il liberatore del mondo dal flagello della guerra, ma la parola trump, oltre a essere vista a caratteri cubitali sui grattacieli e le mete turistiche evoca il gioco delle carte, dove “trump” è il Jolly, l’asso nella manica, la carta vincente, oppure la volgarità della scoreggia anch’essa liberatoria. Il presidente Zelensky forse non conosce queste particolarità dei nomi, ma ci è finito in mezzo e rischia di essere stritolato. Musk può togliergli il supporto del sistema di comunicazioni satellitari che consente ai suoi soldati di sapere dov’è il nemico e quindi regolarsi da che parte andare, o ai cittadini di Kiev e della maggioranza degli ucraini non toccati dalla guerra che non hanno mai smesso di chattare di tutt’altro. Zelensky deve però aver “annusato” qualcosa di conosciuto.
Le pretese americane così sTrump-alate possono nascondere qualche cosa di buono per lui e qualche altro amico, se non proprio per l’Ucraina. Metterla sul piano degli affari è un suo asso nella manica. Ha sempre detto che dare le armi a lui sarebbe stato un grande affare per chiunque a partire dagli americani per finire (in tutti i sensi) agli europei. Era un affare quando ha venduto la maggior parte dei terreni coltivabili alle multinazionali, le riserve di carbone, gas, petrolio e terre più o meno rare ai soliti circoli privati oppure aver ceduto le risorse finanziarie del passato ai fornitori di armi, al netto delle commissioni, e quelle del futuro alla speculazione. Ha sempre parlato di affari ed è stato coerente sin dall’inizio quando, con questo argomento, convinse il Congresso americano, l’Unione europea e la Nato a entrare in guerra. Ha convinto che la sua guerra, meglio di qualsiasi altra è un buon investimento.

L’ammiraglio Bauer, predecessore del nostro Cavo Dragone alla presidenza del Comitato militare della Nato ha detto chiaramente in un forum di imprenditori che la guerra è un buon investimento. Se ne rammaricava un po’ visto che la gente ha il vizio di morire in guerra, ma insisteva che comunque rimane un buon investimento. Semmai qualche dubbio potevano sollevarlo gli ucraini destinati a morire ammazzati, ma non l’hanno fatto e si sono accontentati dell’onore di aver combattuto e sacrificato la vita, per chi e perché non lo sapranno mai e forse è meglio così. Zelensky deve aver capito che Trump bluffava e anche se non lo avesse capito lui qualcuno deve averlo convinto che accettare il contratto capestro poteva fargli avere qualche vantaggio e comunque non sarebbe stato chiamato a rispettarlo. Anche Trump deve aver cercato di incastrarlo proponendo l’accordo senza intenzione di rispettarlo. Se Zelensky non avesse accettato Trump avrebbe potuto accusarlo di non volere la pace, nemmeno alle sue condizioni. Infatti Zelensky pure accettando l’accordo non ha rinunciato all’opzione di rivolgersi all’Europa per continuare la guerra. Per il momento, la partita tra Trump e Zelensky è tra bari, ops pari, ma non è la vera partita.
Il gioco si fa più pesante quando si considera che anche la Cina ha un ruolo nella partita ucraina. Quella tra Trump, Putin e Xi Jinping è una partita che deve ancora iniziare ed è la più difficile. I tre sanno che è molto meglio non bluffare e per questo partono anche loro da terra terra: dai rapporti diplomatici. Non si tratta di concessioni reciproche, ma del tentativo di costruire qualcosa che offra un vantaggio. La Russia e la Cina tengono molto alle intese politiche che danno loro forza nelle relazioni internazionali e questa è anche la volontà degli altri paesi Brics che hanno bisogno di credibilità internazionale. In particolare la Russia conta sul proprio ruolo di equilibrio internazionale nel caso che gli Usa si sgancino dall’Europa e si rivolgano contro la Cina, così come la Cina può esserlo nel caso che gli Usa o l’Europa o entrambe intendano continuare la guerra contro la Russia.

Trump si dice infatti pronto a concedere la riapertura dei rapporti con entrambi, ma non la revoca delle sanzioni o dei dazi e nonostante l’impegno a non ritenere la Russia un nemico, non è sicuro che ciò che dice possa essere mantenuto né dalla sua amministrazione né da quelle future. Da parte sua anche la Russia si riserva di giocare le proprie carte migliori quando dovranno giungere a un accordo sulla cosa più importante: la sicurezza dell’intero continente europeo. Siccome non è detto che ci si arrivi è interesse russo trarre dal rapporto diretto con Trump il massimo possibile al livello immediatamente inferiore: la sicurezza russa. La cosa banale di questa partita è che ognuno dei tre giocatori, pur facendo i propri interessi, sta costruendo qualcosa per porre fine al conflitto. Lasciarli proseguire dovrebbe essere saggio se non altro per vedere cosa possono realmente fare le tre maggiori potenze.
Qui interviene l’Europa con le sue velleità. L’Europa intende far continuare la guerra all’Ucraina portandola quindi fuori dalle stesse trattative con gli Usa e tenta di costituire una sorta di Patto di Varsavia al contrario staccato dalla Nato. Quest’ultima si trova a un bivio: non può rinunciare alla copertura Usa che è a sua volta legata alla Russia nella deterrenza strategica, e se al vertice Nato di giugno Trump sosterrà ciò che ha dichiarato, di non riconoscere la Russia come nemico di fatto, sballa tutta la strategia Nato e incide sulle stesse risorse per la difesa collettiva. Come ripiego temporaneo l’Unione europea intende giungere a un cessate il fuoco, portare truppe e armamenti in Ucraina con la solita operazione umanitaria e prendere tempo per riarmare l’Ucraina, come già accaduto nel 2015. Oltre al fatto che la Russia dovrebbe rivedere la sua posizione di non voler truppe dei paesi Nato in Ucraina, la sola idea di mettere delle truppe europee e 400 testate nucleari nelle mani della nomenclatura comunitaria e di quella di tre o quattro Stati membri che da dieci anni giocano alla guerra fregandosene delle conseguenze, dei costi e della sostenibilità è follia pura. E lo dico con rammarico per essere sempre stato un europeista convinto anche nella realizzazione di un esercito europeo. La cosa più probabile è che in queste condizioni la guerra in Europa si aggravi e che sia la stessa Europa a dover sopportare le peggiori conseguenze a causa di una mania di gioco tragicomico.
Quella in corso tra Russia, Usa e Cina sul tavolo verde ucraino è una sorta di partita a tressette col morto o una a poker con il “pollo” e all’Europa toccano questi ultimi due ruoli. A tressette il morto non gioca e neanche si siede al tavolo, a poker “se nella prima mezzora di gioco non hai capito chi è il pollo vuol dire che sei tu”.

giovedì 27 febbraio 2025

Ketaminico in consiglio

 



Dialoghi

 



Prima Pagina

 



Pino e la pitonessa

 

Dany, la scalatrice di poltrone (e divani) con il suo tacco 12
LA MINISTRA SALVATA DAL PARLAMENTO - Gli stretti legami con Briatore, Bisignani, Verdini e La Russa: l’ascesa di Daniela a colpi di cambi di casacca (e di mariti), fino ai guai giudiziari per le sue aziende
DI PINO CORRIAS
Dunque devono essersi divisi il lavoro per coprire il vuoto d’aria di Giorgia. Lollobrigida Francesco, l’ex cognato all’acqua potabile, per farci ridere. Bau Bau Montarulli per renderci compassionevoli verso chi non ce la fa. Dany Santanchè, regina del me-ne-frego, per elettrizzarci di rabbia con il suo tono di voce sprezzante e di ammirazione per il suo fegato capiente quanto una delle sue numerose borse Hermès, che speriamo le valgano almeno un rimborso spese per tanta pubblicità controfattuale. L’arco costituzionale delle emozioni è al gran completo. Compreso l’ultimo soprassalto offerto dall’aula parlamentare tornata ai fasti sordi e grigi di Ruby nipote di Mubarak, ora che ha votato piena fiducia alla Santa ministra del Turismo – 236 sì, 134 no – che da una trentina d’anni passeggia sull’intero corpo sociale della nazione senza mai sfilarsi il tacco dodici: soffrite, disgraziati che siete, guardatemi e soffrite.
E in effetti, soffrendo per noi e per lei, la guardiamo e la raccontiamo dai tempi in cui scalava poltrone, divani, potere, dopo essersi scrollata di dosso la polvere della natia Cuneo – famiglia Garnero, anno 1961, babbo autotrasportatore – insieme a quell’altro bellimbusto di Flavio Briatore, suo socio d’avventura, anche lui impaziente di rotolarsi sulle pianure del jet-set, coltivare soldi, umiliare i perdenti, detestare la sintassi e i comunisti.
“Sì, io sono quella del Twiga, quella del Billionaire”, ha detto l’altro giorno in aula, vestita come fosse una regina Rom, avvolta in stracci costosissimi, guardando con massimo disprezzo la platea di pallidi borghesucci scandalizzati dalla sua trionfante libertà di essere, esistere, spendere.
Ce la ricordiamo dagli albori, Daniela. Comparsa in Costa Smeralda con il suo primo marito, Paolo Santanchè, un chirurgo plastico che girava a bordo di un motoscafone chiamato “Bisturi”, scappato di lì a breve con il salvacondotto della Sacra Rota in tasca, lasciandole in eredità il cognome. Di nuovo libera, Dany navigò a piacer suo Milano nella piena luce degli anni Ottanta: “Io sono come i giapponesi: osservo, imparo, copio”, fino a guadagnarsi la fama e il nome di Pitonessa. Prima mezza democristiana, poi mezza leghista e persino dipietrista, per poi virare verso i velluti di villa Berlusconi, sgomitante, arrembante, passando per le cure di Denis Verdini, altro campione della politica “sangue e merda” (copy Rino Formica) fino alla svolta (per ora) finale, la corte smandrappata di Giorgia Meloni, sempre scortata dal suo inseparabile scudiero, Ignazio La Russa, con cui per anni ha condiviso gli afrori notturni del “Gilda”, discoteca del generone romano, con aggregati di pupe a caccia di un po’ di champagne e di una dote.
Per farsi memorabile condusse una battaglia senza quartiere contro l’Islam, insultando le donne velate, molestandone una in diretta tv: “Rivendico con orgoglio di essere fascista e di volere cacciare a pedate i clandestini”. Tutto per conquistarsi l’Alfa con lampeggiante blu e la scorta armata che fanno curriculum specialmente tra i gonzi dei salotti.
Evolve nel business, ramo farmaceutici, editoria, bio food, sposando l’imprenditore Caio Mazzaro. Vuole un figlio. Lo ottiene. Vuole l’impresa, fonda Visibilia che è comunicazione, giornali, mondanità, debiti che vanno e vengono. Soprattutto si accumulano, viste le inchieste per falso in bilancio e truffa aggravata all’Inps, ora arrivate al rendiconto dei processi.
Con Ignazio passa dal tempo libero alla politica, risciacquandosi con l’acqua di Fiuggi, dove la fiamma missina diventa Alleanza nazionale. Nel 2001 entra alla Camera dei deputati, adora Gianfranco Fini, ricambiata. Il suo secondo mentore è Luigi Bisignani, piduista in quota Gianni Letta, che la affida a Paolo Cirino Pomicino, un veterano dell’algebra economica, che proverà a insegnarle, inascoltato, la differenza tra le somme e le sottrazioni nei bilanci e che a consuntivo dirà: “Daniela è ammalata di potere, non di politica. E non conosce vergogna”.
Anche il secondo marito dilegua, eclissandosi con Rita Rusic che ha appena rottamato Vittorio Cecchi Gori, il produttore. I rotocalchi e la tv la adorano perché erutta fiamme e garantisce ascolti. Odia le zecche rosse. Mostra il dito medio agli studenti in sciopero. Disprezza le “femministe dalla penna rossa”. Esibisce la casa di quattro piani a Milano, la villa a Marina di Pietrasanta e quella a Cortina. Indossa gioielli e pellicce con l’aria di sentirsi plasticamente irresistibile: “Le donne sognano me o Rosy Bindi?”.
Il terzo compagno è un tale Dimitri Kunz d’Asburgo che di mestiere fa il mago immobiliare, visto che il 12 gennaio 2023, a Forte dei Marmi, davanti al notaio compra alle ore 9:20 la villa del compianto Francesco Alberoni per 2,45 milioni di euro e 58 minuti più tardi, alle 10:18, la rivende a 3,45 milioni di euro per poi brindare al milione appena guadagnato con la partner dell’affarone, la signora Laura De Cicco, che poi sarebbe la fortunata moglie di Ignazio La Russa, incidentalmente diventato presidente del Senato. Embè?
La Santa dice di non saperne niente, non sono spiccioli di cui si occupa. E meno male, visto che tutti quelli che si è lasciata alle spalle, sette anni di rendiconti falsificati nei bilanci di Visibilia, secondo il Tribunale di Milano, più un passivo di 8,6 milioni in Ki Group, più 126 mila euro incassati dall’Inps senza averne diritto, sono i capisaldi delle accuse di cui dovrà rispondere, vedremo.
Inchieste, reati e processi che fanno vento a lei e a Giorgia che il 22 ottobre 2022 l’ha nominata ministro del Turismo contro il parere di molti, ma specialmente per fare un dispetto a Silvio Berlusconi che quella sdraio l’aveva promessa a Licia Ronzulli, l’infermiera.
In aula, l’altro giorno, Dany ha fatto la vittima. Ha parlato di “toghe politicizzate”, di “ergastolo mediatico”, di cicatrici “che non si rimargineranno mai”, suscitando boati e risate a scena aperta, trattandosi della maggiore specialista di dimissioni altrui, chieste 53 volte a qualunque politico le sia capitato a tiro.
Solo alla fine ha lasciato intendere che sì, forse, chi lo sa, una volta rinviata a giudizio per la truffa all’Inps, quindi allo Stato, bontà sua penserà “in solitudine” alle proprie dimissioni. “E quel giorno – ha scandito – prevarrà il cuore sulla ragione”. Fino ad allora non se ne parla, sono avvertiti i custodi dell’etica istituzionale, i cardiologi della politica e persino noi, vittime involontarie dei suoi tacchi.

Attorno alla macchiette

 

La gabbia dei matti
di Marco Travaglio
Geniale l’idea europea di offrire truppe di pace per l’Ucraina mentre non c’è neppure una tregua e contemporaneamente continuare a spedirvi armi che le milizie più ostili alla pace useranno per attaccare le truppe di peacekeeping e continuare la guerra. Strepitosa l’idea di seguitare a dissanguare e indebitare l’Europa con un Pnrr militare e una “Banca del Riarmo” (l’ultima trovata di Ursula) per gettare il 3% del Pil senza vincoli di bilancio, perseverare con le auto-sanzioni e preparare la guerra contro una Russia che spende molto meno di noi e non ha motivi di invaderci, specie nel nuovo ordine mondiale “Trumputin”. Il tutto senza che l’Ue abbia ancora detto una parola chiara su cosa vuole: “Piena vittoria militare ucraina” e “cambiamento democratico in Russia e altri paesi autoritari come la Bielorussia”, come recita la risoluzione votata un mese fa a Bruxelles? L’“integrità territoriale ucraina” invocata dalla risoluzione Onu, appena votata dagli europei e bocciata in Consiglio di Sicurezza dai no di Usa, Russia e Cina e dall’astensione di Londra e Parigi? O il sostegno agli inevitabili negoziati avviati da Trump e ormai digeriti da Zelensky, che ha persino accettato l’accordo-capestro sulle terre rare?
La posizione europea è così manicomiale che potremmo presto assistere alla firma di un’intesa Usa-Russia-Ucraina fra le proteste di Von der Leyen, Kallas e altri squilibrati. Dei quali non pare far parte Macron: non quello finto che fa la voce grossa e la faccia feroce contro la Pax Trumpiana; ma quello vero che va a Washington a leccare il ciuffo a Donald lodandolo per le sue “buone ragioni” di trattare direttamente con Putin scavalcando Kiev e Bruxelles e perfino perché si fa ridare i soldi da Zelensky rapinandogli le terre rare. E se ne frega allegramente dell’ingresso di Kiev nella Nato, che l’Ue definiva “percorso irreversibile” ancora il 17 luglio scorso con i voti di Ppe, Pse, Liberali, Verdi e parte dei Conservatori, inclusi FdI, Pd e FI (contrari solo M5S, Lega e Avs). Continuare a illuderli che otterranno la vittoria completa, l’integrità territoriale (con le quattro regioni annesse dai russi nel 2022 più la Crimea perduta nel 2014) e pure la Nato, quando tutti sanno che sono fiabe della buona notte, non significa aiutare Zelensky e gli ucraini. Significa preparare la rivolta degli ucraini contro Zelensky, che esploderà quando sarà chiaro a tutti che gran parte dei territori occupati resteranno russi, la Nato è fuori discussione e pure la Ue è un miraggio (visti i costi dell’operazione, insostenibili sia per Kiev sia per l’Ue). Trump, che almeno in questo disastro non ha alcuna colpa, non sa più come dirci che la guerra è persa. Poi, con calma, lo scopriranno e lo diranno anche quelli che l’hanno persa.

L'Amaca

 

O la borsetta o la vita
DI MICHELE SERRA
La borsetta di Santanchè — vera o falsa ha poca importanza se non per l’ufficio legale di Hermès — mette una certa malinconia. Nelle intenzioni della sua detentrice vorrebbe essere un’icona dell’eterno femminino vittorioso, come la giarrettiera che Giovanna di Kent, secondo la leggenda, perse durante un ballo di corte, e il re Edoardo III riallacciò in pubblico alla coscia della dama, ammonendo i presenti: guai a chi pensa male.
Ma nel nostro caso la seduzione, l’eros, la reputazione delle dame c’entrano nulla, è appena un caso di contributi forse non dovuti e di controversie contabili, cose da ragionieri e non da contesse, e scomodare i sentimenti forti, l’invidia e l’onore, è parecchio sovradimensionato, rispetto ai fatti. L’ostensione della borsetta in Parlamento ricorda piuttosto il catenone d’oro sventolato dai trapper , qualcosa da mettere bene in vista per far capire “ce l’ho fatta”, e sai che notizia, che ce l’hai fatta.
Un sacco di persone che ce l’hanno fatta ritengono educato non dirlo troppo ad alta voce, si chiama understatement , consiste, fondamentalmente, nel sentirsi contenti di se stessi senza farlo pesare troppo agli altri.
Al Twiga e al Billionaire, per intenderci, se ne trova in dosi talmente trascurabili che in molti, anche potendolo fare, si rallegrano di non averci mai messo piede.
Questa idea che tutte e tutti ambiscano alle stesse cose, a quelle borsette, quei tacchi, quella maniera di portarsi nella vita, è il limite tragico dei nuovi ricchi (e anche di parecchi dei ricchi vecchi). Significa che conoscono poco il mondo. All’Ordine della Giarrettiera non si affiancherà l’Ordine della Borsetta. Se ne facciano una ragione.

mercoledì 26 febbraio 2025

Prima Pagina

 



Natangelo

 



Selvaggia vs Pitonata

 

Le supercazzole sulle borse false e il maxi-autogol sulla “plastica”
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Ieri, nel suo intervento alla Camera, Daniela Santanchè ha finalmente detto qualcosa di più articolato che “Querelerò!” sulla vicenda della borsa Hermès tarocca regalata a Francesca Pascale.
E cioè: “Nelle mie borse non c’è paura. Lo denuncio qua: ho una collezione di borse. Ma mio padre che era ottavo figlio di contadini mi ha insegnato che si ruba solo quello che si nasconde. E io non ho niente da nascondere”. E ancora: “Io sono l’emblema di tutto quello che detestate, lo rappresento plasticamente. Sono una donna libera, porto i tacchi da 12 centimetri, ci tengo al mio fisico, amo vestirmi bene (…). Voi non volete combattere la povertà, volete combattere la ricchezza!”.
Intanto è un peccato non poter allegare le espressioni di Anna Maria Bernini, seduta alla sua sinistra, mentre Santanchè parlava. Ho chiesto al massimo esperto mondiale di comunicazione non verbale cosa significassero e, con un linguaggio tecnico-specialistico, mi ha risposto: “Ah bugiardaaa!”. Invece va detto che l’espressione degli altri deputati al suo “Sono l’emblema di ciò che detestate, lo rappresento PLASTICAMENTE” era di totale approvazione per l’ammirevole slancio di onestà sulla plasticità delle sue fattezze. La difesa sulla questione delle Hermès è invece un po’ fiacca. Che nelle sue borse non ci sia la paura ci fa piacere: ciò che è da stabilire è però se in quelle regalate a Pascale, assieme al coraggio, ci sia anche il codice identificativo inserito dalla maison nei prodotti originali. E aggiungo che dire “ho una collezione di borse, ma mio padre mi ha insegnato che si ruba solo quello che si nasconde” non è molto pertinente rispetto all’accusa mossa nei suoi confronti. Nessuno l’ha accusata di aver rubato borse false ai venditori ambulanti in spiaggia mentre andavano a comprarsi un ghiacciolo. Siamo certi che le abbia pagate. Il problema è, in caso, aver alimentato il mercato della contraffazione. Infine, piccola annotazione: sarebbe bastato dire, più sinteticamente: “Non ho mai acquistato borse false in vita mia”. Santanchè si sarebbe risparmiata qualche supercazzola e quel “si ruba solo quello che si nasconde” piuttosto scivoloso, perché tutti – a quel punto – abbiamo pensato immediatamente ai vecchi tfr dei suoi dipendenti.

Robecchi

 

Sacrifici umani. La miliardariocrazia fa il suo lavoro: licenzio dunque sono
di Alessandro Robecchi
Èuna specie di dipendenza, un vortice, una cosa di cui non si può fare a meno, una voluttà, una passione e un vizio. Licenziare la gente (con una mail, con un tweet, con un video, con un annuncio in tivù) è il nuovo sport individuale americano, così individuale che è praticato da una persona sola, Elon Musk, ai danni di moltitudini di impiegati, funzionari, lavoratori, che ricevono una letterina, sgombrano la scrivania e addio. Addio lavoro, addio stipendio, addio assistenza sanitaria, addio rate della macchina, addio mutuo della casa, addio agli studi dei figli: Make America Senza Stipendio Again.
Un vero bollettino di guerra, non passa giorno che qualche agenzia federale non venga colpita da un editto di sfoltimento massiccio. 9.500 dipendenti federali (sarebbero i nostri “statali”) cacciati a metà febbraio nei dipartimenti di energia, agricoltura, risorse umane e altri. Pochi, rispetto ai 75.000 che hanno accettato (prendere o lasciare) l’incentivo di otto stipendi proposto dell’amministrazione Trump per abbandonare il posto di lavoro. Più 2.000 funzionari della cooperazione internazionale (UsAid), più la letterina ricevuta da tutti quanti negli uffici: spiega cosa hai fatto nell’ultima settimana o sei fuori (Afuera, come dice quell’altro matto con la motosega, l’argentino). Divertenti alcuni contraccolpi e retroscena: l’Fbi, per esempio, ha fatto marameo, ordinando ai propri dipendenti di non rispondere alla letterina minatoria. Ancor più divertente il caso della National Nuclear Security Administration (Nnsa) che si occupa di sicurezza nucleare, di monitorare l’efficienza degli impianti, delle scorie, delle armi atomiche. Cacciati su due piedi, sono stati richiamati in fretta e furia, perché con le radiazioni non si scherza.
Del resto, che Elon Musk avesse questa passione per le lettere di licenziamento era cosa nota. Quando prese Twitter, due anni fa, la piattaforma aveva più o meno 8.000 dipendenti, e in pochi giorni ne restarono 1.500, gli altri a casa con una mail di benservito. Poi è toccato a Tesla, con circa 14.000 licenziamenti. Al di là della fregola padronale e della sindrome da onnipotenza, non è difficile individuare una tendenza molto contagiosa, che già conosciamo bene: lo Stato è un peso che intralcia, il bene pubblico fa male agli affari, è seccante, costa. I lavoratori frenano il profitto, maledetti. E qui da noi già si vedono (non da oggi) turbo-liberisti eccitati che sognano tagli, riduzioni, meno soldi alla scuola pubblica, meno soldi alla sanità pubblica, la cultura non ne parliamo, gli enti dedicati ai controlli men che meno. La sagoma nel mirino non è nemmeno più lo “Stato sociale”, ma lo Stato e basta, un intralcio costoso e burocratico per le oligarchie mondiali, per la miliardariocrazia montante, che non esita un secondo davanti a sacrifici umani di massa. Insomma, il vento che viene da Ovest fa sempre parecchi danni, da queste parti. Del resto, quando si trattava di abolire l’articolo 18, la narrazione era che gli operai, quei privilegiati, non esistevano quasi più (ridicolo, detto nella seconda manifattura europea), mentre la vulgata sugli statali ripete da decenni che “non fanno niente” e “rubano lo stipendio”, nonostante l’Italia abbia meno impiegati pubblici di tutti in Europa. Ma sapete, al cuor non si comanda, il capitalismo ama molto i sacrifici, soprattutto quelli degli altri, ingrassa se voi dimagrite, si aggrappa a tutto, gioca con la retorica del “tornare grandi”. A spese dei sudditi-lavoratori, ovvio.

Nei meandri

 

Reddito di belligeranza
di Marco Travaglio
Ieri qualche lettore sarà sobbalzato sulla sedia: ma come, il Fatto apre con una ricerca di Carlo Cottarelli? Quello del governo tecnico di Mattarella dopo la cacciata di Conte per il presunto caso Savona? Il manidiforbice dell’austerità? Sì, quello. Abbiamo idee diverse, talora opposte, ma i dati che ha pubblicato sui bilanci militari di Europa e Russia non sono opinioni: sono numeri a prova di bomba (è il caso di dirlo). Che sbugiardano platealmente il pensiero unico europeo: quello di chi, dopo aver condannato a morte il popolo ucraino sabotando ogni negoziato e le nostre economie con le auto-sanzioni, vuole completare l’opera alzando la spesa militare dall’1,9% ad almeno il 3% del Pil. E, per fregare ancora i popoli evitando i forconi, spaccia dati falsi sul riarmo russo. Glieli ha serviti su un piatto d’argento il britannico International Institute of Strategic Studies, finanziato dalle industrie della difesa, subito rilanciati senza verifiche dal Financial Times, daPolitico e dai giornaloni italiani.
Poi l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, diretto da Cottarelli, li ha controllati. E ha scoperto che il sorpasso di Mosca sull’Europa è una fake news: la spesa militare europea nel 2024 a parità di potere d’acquisto ha toccato i 730 miliardi di dollari, il 58% in più dei 462 spesi da Mosca. Escludendo i Paesi europei extra-Ue e limitandosi ai 27, questi restano in netto vantaggio con 574,5 miliardi, il 18,6% più della Russia. Che pure rimane un Paese in guerra, lo Stato più vasto, il primo esercito e il maggior arsenale nucleare del pianeta. “Andare al 3% come vuole fare la Nato – osserva Cottarelli – equivale a un aumento del 50%” rispetto alla spesa russa. Eppure, quando ha chiesto ai giornali che hanno diffuso i dati falsi di rettificarli, gli hanno risposto picche o non gli hanno risposto. E han continuato a mentire, come ieri Nathalie Tocci sulla Stampa: “Oggi Mosca spende sulla difesa più di tutto il continente messo insieme”. Poi tutti a frignare ai funerali del “fact checking” e della “scienza”, a strillare contro i complottisti e i terrapiattisti. Ma oggi i veri complottisti sono i guerrapiattisti che inventano invasioni russe in Europa per giustificare un mostruoso riarmo che non trova giustificazioni nei dati veri. È il nuovo euro-dogma, dai rapporti Draghi&Letta ai deliri di Ursula, Macron, Merz e Gentiloni per indebitare vieppiù i cittadini e ingrassare i fabbricanti d’armi Usa. Se l’è bevuta pure la spensierata Schlein, che ormai parla come una Guerini in gonnella: “Serve un Next Generation EU da 800 miliardi l’anno anche per la difesa”. Nossignora: serve spendere meglio, ma soprattutto meno. A furia di discutere su chi debba entrare nel centrosinistra e chi no, il Pd è entrato nel centrodestra.

L'Amaca

 

La più grande democrazia?
di Michele Serra
Provate a immaginare che in Italia il governo nomini capo della Polizia di Stato un leader di Forza Nuova, o simili, e vicecapo un influencer che ha avuto successo sbraitando in rete, o in televisione, le cose che si sbraitano contro i progressisti, i dem, i radical chic o come li volete chiamare.
E provate a immaginare che a questi due venga dato l’incarico, esplicito, di ripulire la polizia dagli uomini che hanno osato indagare su un assalto al Parlamento. Riuscirete a considerarlo un normale cambiamento interno alla routine democratica?
Beh, è esattamente quello che è accaduto in America. Un commissariamento politico della Polizia federale, affidata a due militanti politici di estrema destra.
Ora, si capisce che il ritorno al potere di Trump sollevi anche reazioni emotive, e che queste reazioni siano suscettibili di critica: possono essere esagerate, o eccessivamente influenzate dalle opinioni politiche personali. Ma questo qui è, banalmente, un fatto (uno dei tanti). Semplicemente un fatto: incredibile fino a poco fa, ora credibilissimo per la semplice ragione che è avvenuto.
Commentare serenamente l’accaduto è da tartufi. Da tartufi è anche fingere che negli Stati Uniti non sia in corso nulla di specialmente grave, o di mai accaduto.
La tiritera della “più grande democrazia del mondo” può rassicurare solo i pigri e gli ipocriti. È una convenzione stupida che serve solo a evitare di prendere atto della realtà.
Una democrazia non consegna la Polizia federale nelle mani di una fazione di fanatici. No, proprio no. Cambiate la definizione degli Stati Uniti, perché gli Stati Uniti già l’hanno cambiata.

martedì 25 febbraio 2025

Attorno al dragone

 

“Fa’ qualcosa” Il passante Draghi in giro per Bruxelles
DI DANIELA RANIERI
Anche da questa colonna, come già Marco Palombi sul Fatto del 20 febbraio, rispondiamo alla mozione Mario Draghi “Grazie, ma no, grazie”, titolo della canzone migliore dell’ultimo Sanremo. C’è ancora qualche oriundo di Marte o di Alfa Centauri che non è ancora a conoscenza del fatto che sono state proprio le politiche di austerità, di tagli alla spesa sociale, di degradazione del welfare, di bellicismo sfrenato, di mercatismo a ogni costo, di competizione tra deboli e debolissimi, di corsa al riarmo, di volete la pace o i condizionatori, cioè la quintessenza del draghismo, a portare allo stato attuale?
“Fate qualcosa”, dice Draghi espletando il suo nuovo lavoro – francamente un po’ imperscrutabile – di Super-consulente dell’Unione europea, che infatti tanto bene sta facendo a livello economico e geopolitico, suscitando gli squittii arrapati di tutta la stampa (“Draghi come il Nanni Moretti del ‘di’ qualcosa di sinistra!’”, come se Draghi fosse un artista del tutto estraneo alla politica e soprattutto come se la sinistra per Draghi e per quelli del suo Isee non fosse l’Anticristo). Prima bisognava fare tutto quello che la situazione richiedeva, whatever it takes, per salvare l’euro, cosa che in effetti è stata fatta (chiedere ai greci), usando lo spread come un caterpillar per radere al suolo ospedali pubblici, piccoli negozi, taverne e case senza boschi verticali sulle balconate.
Chissà perché, peraltro, alle elezioni del 2022 ha vinto Meloni, l’unica a non far parte del Governo dei Migliori che evidentemente era tale solo per i giornali del blocco padronale. E menomale che gli italiani, senza ascoltare Confindustria, hanno respinto la cosiddetta riforma costituzionale di Renzi, altrimenti oggi avremmo un “Senato delle Autonomie” pieno di amministratori locali di FdI dotati di immunità (non solo quelli ancora a piede libero, quindi, ma anche quelli in galera o ai domiciliari per ‘ndrangheta). Per tornare a Super-Mario e al suo Super-consiglio all’Europa di fare qualcosa: noi che abbiamo sempre ritenuto il banchiere uno sfornatore di frasi fatte, tipo quella che “non c’è alternativa alla vittoria dell’Ucraina sulla Russia” (che invece, come s’è visto, c’era), siamo sobbalzati quando l’abbiamo sentito dire che l’Europa non cresce, contrariamente a quanto si legge sulle previsioni ufficiali dell’anno scorso della stessa Ue, peraltro già consigliata da Draghi. (Noi, per non saper né leggere né scrivere, metteremmo qualche sanzione alla Russia).

Lollo

 

Lollo in ammollo
di Marco Travaglio
Il vantaggio degli scandali Santanchè e Delmastro è che nessuno chiede più le dimissioni di Lollobrigida. Il quale, da quando abbiamo perso Giambruno, esercita nel centrodestra le stesse funzioni ricreative svolte in pandemia dal duo comico Fontana-Gallera. Da qualche mese, scaricato persino dalla sua signora, ci pareva un po’ sulle sue, come se avesse perduto lo smalto degli esordi. O gli avessero cucito la lingua al palato. Per fortuna era solo una pausa di riflessione. Infatti l’altro giorno è tornato a parlare e non ha deluso le attese. La sede era propizia: gli Stati generali del Vino, accompagnati – immaginiamo – da adeguate degustazioni. Risultato: il ministro-performer dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare ha letto l’etichetta inglese di un alimento che “può avere conseguenze molto pericolose. Il meno che possa capitare è una sudorazione eccessiva che può portare in casi estremi alla rimozione delle ghiandole sudoripare. Contraccolpi possono riguardare il cervello, il cuore, i reni. È il vino?”. Un attimo di suspense, poi il fulmen in clausola del consumato cabarettista: “No è, l’acqua. L’abuso di acqua può portare alla morte. E immaginate la necessità di un’etichettatura allarmistica sulle bottiglie d’acqua”. Infatti, se uno dà i numeri, non si dice mai “levategli il vino” o “posa il fiasco”, ma “toglietegli l’acqua” o “posa la Ferrarelle”. E i mattinali di questura sono pieni di incidenti mortali causati da pirati della strada in preda a iperidratazione.
La nuova massima lolliana va ad arricchire una collezione che l’ha reso celebre in tutto l’orbe terracqueo. “Le donne non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore e invece tratterò un argomento che è quello della produzione dei fiori” (seguirà: chi va con lo zoppo impara a zoppicare e invece tratterò delle Paralimpiadi). “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro?” (dopo i telegrammi di felicitazioni del Ku Klux Klan, sfoderò sulla Stampa un alibi di ferro: “Sono ignorante, non razzista”). “In Italia i poveri mangiano meglio dei ricchi” (infatti provate a prenotare un tavolo alla Caritas). “Vorrei imporre un piatto di formaggio nei menu dei ristoranti” (i pecorini forzati: ma quella volta era al Vinitaly, a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio). “In Italia la vitellina Mary viene trattata con affetto, poi certo viene macellata, ma produce carne di qualità” (ringrazia sempre l’Italia con la zampina). E, dulcis in fundo: “Abbiniamo il consumo di vino al benessere fisico con gli eventi sportivi” (scolarsi una boccia di Barbera prima di una gara è la morte sua). Mancava giusto l’allarme sull’acqua killer, che peraltro non va preso affatto sottogamba: specialmente da chi non sa nuotare.

L'Amaca

 

Tutta colpa di Galina Sbatilova
DI MICHELE SERRA
Ditemi voi se è più forte la tragedia o la farsa.
E soprattutto: se è più spietata, con noi umani, la tragedia o la farsa, ovvero se essere dei buffoni è davvero meglioche essere dei mascalzoni… La vicenda dell’elenco di firme di italiani filorussi, indignati con Mattarella, raccolte da tale Vincenzo Lorusso, giornalista italiano di stanza nel Donbass, è molto oltre i limiti del verosimile. Siamo tra un film dei Vanzina e un cabaret in un villaggio turistico, di quelli che fanno ridere (crudelmente) perché fa ridere il fallimento del comico di turno.
Tra i firmatari della petizione che ha fatto commuovere la signora Zakharova, cheerleader del Cremlino, ci sono anche Ciolanka Sbilenka, Vagina Quasinova, Galina Sbatilova.
Manca solo Urina Suimuri, e poi ci sono tutti i protagonisti delle barzellette che abbiamo imparato alle scuole elementari.
La cosa incredibile è che questa parodia o questa truffa (non saprei giudicare) è diventata parte integrante del dibattito politico, almeno negli ambienti meno inclini a capire di che cosa si sta parlando, a valutare le fonti, insomma a misurarsi con la realtà. Per la serie: ormai vale tutto. E se vi dico, anzi vi assicuro, che cento milioni di italiani sono con Mattarella, ho buone possibilità che nessuno mi faccia notare che gli italiani sono solo sessanta milioni.
Non ho idea di chi sia Vincenzo Lorusso. Magari una brava persona, animata dalle migliori intenzioni. Però tradito, in buona fede, dalla perfida Galina Sbatilova.

Natangelo

 


    

Ipno Pino

 


Ipnocrazia, il fascino del nuovo regime

SAGGI - Il filosofo di Hong Kong, Jianwei Xun, spiega i nuovi meccanismi del controllo sociale, basati sulla credulità, sulla continua proliferazione di narrative multiple e di spazi in cui anche il dissenso diventa merce

di Pino Corrias 

Il potere nell’era digitale ci ha ipnotizzato. Viviamo nell’incantesimo permanente. Memorizziamo opinioni da memorie artificiali, fabbricate e moltiplicate dagli algoritmi negli schermi “che brillano incessanti nella notte della ragione”. Guardiamo credendo di vedere. Leggiamo credendo di capire. Assorbiamo verità equivalenti a equivalenti menzogne.

Formidabile nello stile e nelle intuizioni è il pamphlet Ipnocrazia, autore un certo filosofo di Hong Kong di nome Jianwei Xun che potrebbe persino esistere anche in quanto avatar d’inchiostro collettivo, coerente al mondo che senza troppo svelarsi ci contiene. Quale mondo? Il nostro. Quello della nuova forma di controllo sociale, basato sulla credulità sempre più permeata e permeabile. Governato da un regime che per la prima volta “non controlla i corpi, opera direttamente sulle coscienze”. Non reprime i pensieri, li consente tutti, ma modulandoli come fa l’onda che corre verso la risacca già segnata che ci attende, perché ha catturato la nostra attenzione, “non intende reprimerci, ma sedurci”. Le sue piattaforme, le sue procedure sono stimolanti al punto che trasformano i consumi in accoglienti accrescimenti identitari: Airbnb non affitta case, commercia in fantasie di vite alternative. Amazon non consegna solo i prodotti, ma anche la dopamina dell’appagamento. La Gig economy non si limita a precarizzare il lavoro, induce a una trance lavorativa, dove l’autosfruttamento viene vissuto come libertà. Lo Smart Working non è solo lavoro da remoto, è la trasformazione di tutta la vita in lavoro.

Massimi sacerdoti di questa nuova era d’ipnosi collettiva sono i profeti della tecno-destra, Trump e Musk in testa, che hanno accelerato come mai prima le sequenze del dire, disdire, stupire. Inventare allarmi e crisi per poi proporsi come soluzioni: siamo invasi a casa nostra, vi difenderemo con il muro; gli immigrati haitiani mangiano i nostri cani, deporteremo gli intrusi; l’Intelligenza Artificiale può diventare Apocalisse, ma noi vi salveremo; morirà la Terra, vi porteremo su Marte. Le promesse sempre rivestite da un potere magico: “Saremo grandi di nuovo! Tornerà la Golden Age!”.

Hai il coraggio di non credergli? Te la senti? E soprattutto, hai il tempo di farlo quando altre migliaia di promesse, sollecitazioni emotive, stati d’animo, video veri e finti saturano il tuo spazio quotidiano e per intero il tempo, catturando la tua l’attenzione?

La narrazione social non vende solo gli utenti alla pubblicità, e informazioni ai sistemi di controllo, vende stati d’animo, ansia e quiete, rabbia e imperturbabilità. Persino le guerre vere – in Ucraina o a Gaza – le cataste di morti, le macerie dei bombardamenti, diventano un racconto seriale da incorporare alla vita quotidiana come perturbazione passeggera, trasalimento. E insieme sollievo di non essere laggiù, ma qui, al sicuro, protetto dallo schermo, nella nostra privata comfort zone. Trasformando la paura in appagamento che induce alla perpetua sottoscrizione alla comunità di solitari come te. Perché i social sono spazi di cattura, non riflettono la realtà, la creano. E la viralità è un contagio.

L’ipnocrazia “opera con la manipolazione della percezione, anziché con la coercizione diretta”. Non ha bisogno di censurare o reprimere. Prospera sulla proliferazione di narrative multiple, sulla perpetua offerta delle opzioni possibili, compresa quella di assimilare la resistenza. Ogni atto di rivolta viene assorbito, ogni dissenso diventa merce. Come i tatuaggi che un tempo segnavano la trasgressione e ora sono diventati inoffensiva moda di massa. O i rapper che inneggiano alle pistole, accolti nelle hit di Sanremo, mentre gli slogan più radicali, gli artisti maledetti, finiscono per pubblicizzare le vetrine digitali del lusso. C’è spazio per ogni minoranza nell’infinito menu della Rete, dai no-vax, ai vegani, dai neonazisti ai rinati in Cristo. La rivoluzione diventa una serie Netflix. L’apocalisse ecologica un target e un merchandising. È tutto intercambiabile fino alla perfetta equivalenza. Compresa quella del tempo lineare, che liberamente oscilla tra la nostalgia di un passato mai esistito e un futuro sempre imminente, rimescolando il passato, il presente, il futuro.

L’Ipnocrazia digitale funziona 24 ore su 24, è un flusso che rende permanente l’incantamento al quale partecipa anche l’estetica con la grafica colorata, la musica, i suoni delle notifiche, che mimano condiscendenza, complicità, amicizia: “Ci preoccupiamo della tua privacy, clicca qui” ti dice il social nello stesso istante in cui sta aspirando i tuoi dati per capitalizzarli.

Trump e Musk, oltre che autocrati, sono dispositivi narrativi che non cercano e non offrono la verità, ma lo stupore. Quando inventano nel modo più lampante – Gaza diventerà la riviera del Medio Oriente: ibrideremo il cervello umano con quello delle macchine; ci prenderemo la Groenlandia; le cripto valute crescono sugli alberi – non si preoccupano della verità violata, ne creano una equivalente che abita nel loro mondo, basta crederci, entrarci.

Anche chi pretende di smentirla con argomenti razionali, come il fact-checking, non fa che partecipare alla ridondanza della bugia o realtà modificata, poiché “ogni attacco viene reintegrato nella narrativa come conferma della sua verità profonda” quella che le élite nascondono.

I loro post deliranti funzionano. Attivano i seguaci e i contrari. Ogni utente partecipa alla creazione. Anche smontandola, la amplifica. E moltiplicandola, finisce per renderla sempre più verosimile. A quel punto finzione e realtà non si elidono più, navigano in parallelo, come il vascello e la sua ombra.

Ma se la Rete è il mare che satura ogni spazio, come trovare una via di fuga, o almeno un appiglio per non annegare? In due modi. Imparando a codificare i codici che “governano l’illusione”. E poi diventando imprevedibili, visto che l’ipnocrazia algoritmica si basa sulla previsione dei comportamenti che ha trasformato “in materia prima economica”, da acquisire, elaborare, vendere, come sostiene Shoshana Zuboff nel suo Capitalismo della sorveglianza.

E poi imparare a stare sulla soglia, sapere sempre che la realtà esiste, non è scomparsa, è solo oscurata dalla piena luce della finzione. Ricordandosi che la Rete può essere un portale verso un mondo nuovo che coincide (a sorpresa!) con quello vecchio. E dunque spegnere i dispositivi, godersi il tramonto, preparare la cena per gli amici, leggere questo libro.

lunedì 24 febbraio 2025

Spinoza




Lo capirà?

 



Intervista curiosa

 

Green e benessere: l’Ue guardi alla Cina. Lì spiano tutti? E noi no?
FISICO E SAGGISTA - "Il socialismo di Pechino ha saputo far sue le regole liberiste: per questo oggi è più forte"
DI ANTONELLO CAPORALE
Professor Carlo Rovelli, lei recentemente ha commentato con accenti assai positivi le virtù del sistema politico cinese. È parso un ultras di Pechino.
La disfatta dell’Unione Sovietica ha mostrato che il socialismo di Mosca non ha retto al confronto con il capitalismo. Le sinistre si sono trovate in difficoltà nel mondo intero e si sono messe a inseguire le destre. Lo strepitoso successo economico del sistema cinese, unico nella storia del mondo, e il grande consenso interno che ha il governo stanno ribaltando la conclusione. In pochi decenni la Cina ha portato mezzo miliardo di persone fuori dalla povertà estrema, ha diffuso il benessere, scolarizzato tutti, costruito la prima economia del mondo, continua a crescere a ritmo maggiore di chiunque altro.
Ma in Cina non si vota. Un solo partito al potere e una libertà di parola assai vigilata.
E questo comporta due ordini di problemi. Il primo è che le discussioni si svolgono all’interno del partito comunista e ciò rischia di rendere la leadership troppo sicura di sé. Il secondo è il pesante fardello del bavaglio in cui si vengono costrette le voci dissenzienti. Le votazioni sono una benedizione perché favoriscono la discussione e semplificano il controllo del potere da parte delle maggioranze. Ma attenzione, non dimentichiamo che sono anche una maledizione: per due motivi. Il primo è che non si vincono le elezioni senza ingenti somme di denaro. Quindi il potere finisce nelle mani di chi ha molto denaro. Le democrazie occidentali sono spesso in realtà plutocrazie: il potere è dei ricchi. Paesi come l’Italia e gli Usa sono addirittura finiti in mano a miliardari. Per questo sono sparite le tasse fortemente progressive che ridistribuivano il reddito. Il secondo è che le elezioni portano chi è al potere a mirare a farsi rieleggere, più che al bene comune a lungo termine. Una delle differenze più spettacolari fra la politica cinese e la politica occidentale è proprio questa: la leadership cinese pensa in termini di decenni, mentre i leader occidentali pensano al consenso giorno per giorno.
Lei dunque spera che la Cina prevalga sull’Occidente?
No. La Cina è una grande civiltà millenaria. Il problema non è chi prevale. Il problema, io penso, è uscire dalla folle logica dello scontro, quella di pensare che qualcuno debba sempre prevalere.
Pensa dunque che l’Europa dovrebbe avvicinarsi alla Cina?
Europa e Cina sono più vicine di quanto si dica. Il governo cinese ha la crisi climatica fra le sue priorità, sostiene le istituzioni internazionali, parla di collaborazione anziché competizione, vuole ridurre i dazi, spinge sempre per il dialogo. Se lo confrontiamo con il governo di Washington che non crede all’emergenza climatica, vuole depotenziare le istituzioni internazionali, parla esplicitamente di predominio Usa, combatte il multilateralismo, è stato pressoché ininterrottamente in guerra da un secolo, e mette dazi, chi ci è ideologicamente più vicino?
Ma la Cina è anche una dittatura, opprime il suo popolo e minaccia i Paesi vicini.
Ho viaggiato a lungo in Cina, ho insegnato all’università Normale di Pechino, ho colleghi, studenti e amici cinesi. Quell’immagine della Cina non torna proprio. Confrontata con tutte le guerre che ha scatenato l’Occidente negli ultimi decenni, la Cina è un Paese estremamente pacifico. Internamente non si sente oppressione poliziesca. Vero, il governo spia tutti, ma anche qui da noi ci spiano tutti.
Se lei però fosse un intellettuale dissidente, certo non vorrebbe esserlo in Cina.
Vero. E spero che la Cina impari da noi, ma resto convinto che l’immagine di una Cina feroce internamente ed esternamente sia solo il risultato della forsennata propaganda anti-cinese.
Perché ritiene che ci sia una “forsennata” propaganda anti-cinese?
Per due motivi. Il primo è che gli Usa stanno perdendo il primato economico. Il mio timore peggiore è che cerchino ora lo scontro armato, dato che la loro preponderanza militare è ancora soverchiante. Non durerà se la Cina continua a crescere come sta facendo. Il secondo, più profondo, è che il capitalismo che domina l’Occidente è terrorizzato dall’idea che il socialismo possa alla fine rivelarsi più efficace.
Pronostica la vittoria del socialismo cinese sul capitalismo?
La Cina sta mettendo in dubbio la legittimità della plutocrazia che di fatto governa l’Occidente. Il suo socialismo sta vincendo proprio sul piano in cui sembrava perdere: l’economia.