mercoledì 31 gennaio 2024

Auguri!



Il grandissimo Gene ieri ne ha compiuti 94! Auguri!

Anche …


…un Orban dovrebbe vedere le differenze!


Poveretti!

 


Traduzione

 


Prima Pagina

 


Scherzi carnevaleschi

 

Rubano pure le battute
di Marco Travaglio
Mai fare battute. Qualche settimana fa, a Otto e mezzo, dissi a un Mario Sechi inerpicato su uno specchio per difendere le schiforme Nordio che non si depenalizza l’abuso d’ufficio perché molti indagati non vengono condannati: con questa logica, andrebbero abrogati tutti i reati contro la Pa. Due giorni dopo, in Parlamento, Nordio ha trasformato la mia battuta in programma di governo: “I reati contro la Pa sono obsoleti”. Infatti l’Italia, dopo i progressi compiuti fino al 2021 nella classifica di Transparency sulla corruzione percepita grazie alle riforme Bonafede dei due governi Conte, con lui e prima con Cartabia ha ripreso a peggiorare: depenalizzare l’abuso e annunciare una sorte simile per corruzione, concussione, traffico d’influenze illecite, peculato, truffa e così via, senza contare la prescrizione e le intercettazioni, è un “liberi tutti”.
Sempre a mo’ di battuta, ci eravamo divertiti a immaginare cosa avrebbe detto il presidente della commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, alla Meloni del suo piano Mattei pieno di vuoto se lei non l’avesse scambiato per due comici russi, tipo Totò ambasciatore del Catonga. Ora finalmente Faki si è materializzato a Roma: lei ha fatto dell’autoironia (“È quello vero!”) e lui le ha fatto passare la voglia di ridere: “Avremmo preferito essere consultati: noi non tendiamo la mano, non siamo mendicanti”. E subito alla premier è venuta una gran nostalgia dei due comici russi.
Quando Vittorio Sgarbi, pregiudicato dal ’96 per truffa aggravata e continuata ai danni dei Beni Culturali, fu promosso sottosegretario ai Beni Culturali, ironizzai: forse Meloni&C. vogliono dargli un’altra chance, o vedere quanto impiegherà a farsi tornare la tentazione. E lui mi prese così sul serio che in un anno riuscì a farsi indagare per sottrazione di beni al fisco e riciclaggio di un quadro rubato. E siccome la politica è la prosecuzione dell’ossimoro con altri mezzi, ieri è stato pure condannato per aver paragonato una sindaca onesta come Virginia Raggi al mafioso Vito Ciancimino (è lo stesso Sgarbi che, da sindaco di Salemi, promosse il suo autista assessore all’Antimafia, poi il Comune fu sciolto per mafia). Sempre scherzando, avevo domandato alla Meloni che altro debba fare un membro del governo per esserne cacciato, se Sgarbi è ancora al suo posto: tirarsi giù la patta in pubblico? L’altra sera, puntuale, Sgarbi s’è tirato giù la patta davanti alle telecamere di Report e ha pure augurato simpaticamente al cronista un cancro o un incidente stradale. E tutti zitti. Ora verrebbe da chiedere se per cacciarlo stiano aspettando che si cali in testa il vaso da notte, o direttamente il water delle dirette social. Ma rischieremmo di dargli un’altra idea.

L'Amaca


Dire terrorismo tanto per dire
DI MICHELE SERRA
Secondo l’eurodeputata leghista Ceccardi, Ilaria Salis deve «restare in galera» perché bisogna «ribadire sempre la lotta al terrorismo rosso». Si registra, con sollievo, un importante passo in avanti sul cammino del garantismo: non ha detto, Ceccardi, “marcire in galera”, espressione prediletta nella comunicazione social di molti leghisti; e non ha aggiunto “buttate via la chiave”, coloritura retorica amatissima dal suo leader Salvini.
Bisogna dunque dare atto a Ceccardi di avere saputo contenere il suo evidente entusiasmo per la carcerazione di Salis: una prova di lenta, ma decisa, maturazione democratica.
Quanto alla detenzione in catene di Salis nell’ambito della «lotta al terrorismo rosso», Ceccardi deve solo sperare che la stessa Salis, e il suo combattivo e dignitosissimo padre, non sappiano che davvero Ceccardi ha scritto quelle parole. Perché potrebbe partire, versus l’eurodeputata leghista, una querela di non facile gestione, visto che l’accusa per la quale Salis sarà processata è di lesioni aggravate (guaribili in 5/7 giorni, per la precisione). Di terrorismo nessuno, fin qui, aveva mai parlato, né in Italia né in Ungheria, per ragioni giuridicamente e politicamente così ovvie che non vale la pena soffermarsi neppure un rigo di più.

Resta da dire di una ormai annosa valutazione politica, non nuova (specie in questa rubrichetta quotidiana) e non più sorprendente: le prese di posizione meno obiettive, meno opportune, più aggressive, più sbrigative, più brutali, arrivano quasi sempre dai leghisti. Che in Italia possa esserci un partito più fascista dei neofascisti, è un mistero di difficile spiegazione. Forse si tratta delle famose eccellenze italiane. 

Sei Sei Sei!


 

Ella Vs Ella

 


martedì 30 gennaio 2024

Saverio?



Bravo Roberto… anche se sembri un po’ Saverio da Vitellozzo…

Struzzo!



Ecco il ministro Lollobrigida ripreso al ministero, che implicitamente conferma quanto dichiarato a proposito dello spregevole comportamento ungherese nei confronti di Ilaria Salis, portata incatenata al processo per aver - brava Ilaria! - percosso due neonazisti. Oggi, con la tecnologia del 2024, Lollo ha dichiarato di non poter commentare la vicenda non avendo visto le immagini. Nel 2024. Struzzo!

Mumble mumble…




Meeting

 


Noi lottizziamo?

 

Facciamo un sit-out
di Marco Travaglio
Finalmente una battaglia su cui concordiamo non al 100, ma al 110% con Elly Schlein: un sit-in per liberare la Rai dal governo e dai partiti e trasferirla immantinente a una fondazione indipendente. Praticamente un sit-out. Avendo collaborato nel lontano 2004 alla legge popolare che proprio questo proponeva, siamo tentati di partecipare all’iniziativa, anche per aiutare la segretaria a non dimenticare nessun lottizzato, a cominciare dai suoi. Elly c’entra solo con quelli dell’ultima infornata. Ma chi le sta accanto, non proprio di primo pelo, ha sistemato intere generazioni di raccomandati e potrebbe scordarsi qualcuno, o vergognarsi di aver comandato in Rai senza vincere un’elezione (l’apoteosi fu sotto Draghi, con l’ad-tanguero Carlo Fuortes, quando Palazzo Chigi calcolò la quota Pd in almeno il 60% degli 11.536 dipendenti). Ora l’evacuazione di massa, agevolata dalla fuga a Sanremo dei più alti papaveri, potrebbe avvenire così.
Elly Schlein si presenta sotto i palazzi di viale Mazzini, via Teulada, via Asiago e Saxa Rubra armata di megafono, chiama per nome i lottizzati di sua competenza e intima loro di uscire con le mani alzate. Per riaccompagnarli alle rispettive dimore, può tornare utile il torpedone della scampagnata eugubina. L’importante è che il mezzo sia capiente perché, fra direttori, condirettori, vicedirettori, presidenti e amministratori, i dem sono legione. Bravissimi, bravini o scarsi, non è questo il tema. Stando ai primi calcoli spannometrici, le prime vittime della Grande Ritirata pidina dovrebbero essere: la consigliera del Cda Francesca Bria; i direttori di Tg3 (Orfeo), Radio2 (Sala), Radio3 (Montanari), Palinsesti (Coletta) e San Marino Rtv (Vianello); due vicedirettori del Tg1, uno del Tg2, due della Tgr, uno del Gr1, due di Rainews24, uno di Rai Parlamento, tre degli Approfondimenti; i capi di Rai Cinema, Rai Fiction, Rai Cultura, Offerta Informativa, Rai Kids, RaiPlay e Digitale, Rai Way e Staff dell’Ad, Contratto di servizio; e uno stuolo di corrispondenti e conduttori di tg e talk, fra cui spicca per flop e conflitto d’interessi Nunzia De Girolamo in Boccia. Casomai avanzasse tempo, scorteremmo volentieri Elly Schlein in un sit-in a sorpresa, tipo rave party, in Largo Argentina per chiedere di annullare lo sdoppiamento dei direttori del Teatro di Roma concordato dal sindaco Gualtieri col ministro Sangiuliano per affiancare al destrorso De Fusco il pidino Cutaia, che doveva lasciare il Maggio Fiorentino al povero tanguero Fuortes rimasto a spasso, ma nelle ultime ore ha deciso di tenersi il certo e mollare l’incerto. Non sia mai che qualcuno sospetti il Pd di barattare la Resistenza al ritorno del fascismo con qualche culetto al calduccio in più.

lunedì 29 gennaio 2024

C’è speranza!




Forza Ilaria!



Questa è la storia di Ilaria Salis, insegnante brianzola di 39 anni, da quasi un anno nelle carceri ungheresi ed oggi a processo, entrata in aula con mani e piedi ammanettati come la peggior delinquente, rea di aver percosso due neonazisti in occasione di una manifestazione nella democraticissima Budapest. Ilaria rischia undici anni di dura galera ungherese. Semplicemente mi soggiunge in core un quesito: ma da quando in qua è reato picchiare neonazisti? Cari amici ungheresi… guardatevi The Blues Brothers e capirete che percuotere un neonazista non solo è salutare, ma fortifica mente e cuore! Forza Ilaria non mollare!

Riflettente

 

Il maestro Mokurai era seduto nel cortile di un tempio Zen, quando sentì il gong che annunciava l’arrivo del suo giovane allievo Toyo. Dopo essersi inchinato tre volte, Toyo si accomodò sul cuscino accanto al maestro mantenendo un perfetto silenzio. Senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte, Mokurai interrogò l’allievo con il koan: «Tu conosci il suono del battito di due mani, ma cos’è il suono del battito di una mano sola?». Il ragazzo si ritirò nella sua stanza sforzandosi di ascoltare il silenzio ad occhi chiusi. Sentì il suono della musica delle geishe, il ticchettio delle gocce d’acqua, il fruscio del vento, il canto di una civetta. Confuso da questi rumori e incapace di trovare una risposta al koan, si ritirò in profonda meditazione in un eremo isolato. Infine tornò da Mokurai con la risposta: «L’ho sentito, ma è privo di suono».

(Prima del Big Bang - Gian Francesco Giudice) 

Nitidamente




Scanzianamente Jannik!

 

Supernova Sinner: primo Slam per scalare il tetto del mondo
RECUPERA DUE SET A MEDVEDEV E VINCE L’OPEN D’AUSTRALIA - Nervi d’acciaio. Sotto 3-6 3-6, si lascia scappare un “sono morto”. Ma risale punto su punto. Ed eguaglia Panatta del ‘76 a Parigi
DI ANDREA SCANZI
Jannik Sinner ha vinto il suo primo Slam, e siamo solo all’inizio. Il suo debutto negli albi d’oro dei 4 tornei Major non poteva essere più bello: al quinto set, in rimonta a tratti disperata, dopo aver perso i primi due set contro un Medvedev sino a quel momento perfetto: 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3. Quella di ieri è stata una delle giornate più importanti nella storia dello sport italiano. Il tennis maschile non aveva mai visto in singolare un trionfatore agli Australian Open e, nell’era Open (dal 1968), l’unico a vincere in singolare uno Slam era stato Panatta: Roland Garros 1976. Quarantotto anni dopo, Sinner riporta il tennis all’apice del mondo. E lo fa in maniera assai diversa, perché se Adriano – campione dal talento infinito – non è mai stato un potenziale dominatore del tennis mondiale, Jannik lo è eccome. Questa vittoria non lo farà salire in classifica (resta 4 nel ranking Atp), ma è un dettaglio: dalla fine del 2023, Sinner vale la prima posizione al mondo. Tra ottobre e ieri ha vinto uno Slam, la Coppa Davis, due tornei Atp 500 e fatto finale alle Atp Finals. E tutto questo, mentre mezza stampa lo massacrava per avere detto no a una convocazione in Davis a settembre: di cosa stiamo parlando? Infortuni a parte, Sinner ha i mezzi per dominare il tennis dei prossimi 10/15 anni con Alcaraz (più giovane di un anno) e Rune terzo incomodo. Chiaramente, in questo futuro neanche tanto immaginario, ci saranno ancora Djokovic (per un anno? Due?) e i vari Medvedev, Zverev eccetera, ma Sinner – oltre a testa e talento – ha dalla sua anche l’età.
Il match di ieri è stato pazzesco, ed è cominciato nella maniera che pochi immaginavano. Sinner era sì favorito, perché in stato di grazia (un solo set perso prima dell’atto conclusivo), ma era pur sempre alla sua prima finale Slam: un po’ di tensione era inevitabile. Di contro, dall’altra parte, c’era uno alla sesta finale Slam, già stato numero 1 al mondo, campione agli Us Open 2021 (togliendo il Grande Slam a Djoko) e pronto a vendicare le ultime tre sconfitte (tutte a fine 2023) patite contro Sinner dopo averlo battuto nelle prime sei sfide. Medvedev (3 al mondo) è un cavallo pazzo: non è scorretto, ma semplicemente matto. Non c’è nulla di logico e razionale in lui. Ha movimenti tutti suoi e psiche insondabile: un maniscalco nevrastenico, che adora avere il tifo contro. Tre anni fa, alle Atp Finals, dopo aver dominato il primo set contro Sinner, guardò il pubblico di Torino e fece un gesto come a dire: “Tutto qui il vostro idolo?”. Sinner si è ampiamente vendicato. Soprattutto ieri: per il russo è la quinta finale Slam persa su sei, la terza (su tre) che perde agli Australian Open e la seconda di fila che smarrisce dopo aver vinto i primi due set (nel 2022 contro Nadal). Come minimo, spaccherà racchette e insulterà il suo staff per i prossimi due mesi.
I primi due set sono stati drammatici: Medvedev perfetto (soprattutto in risposta e di rovescio) e Jannik smarrito, lo sguardo perso a cercare disperatamente il suo angolo in tribuna. 6-3 6-3 senza appello, e nel secondo il russo era avanti pure 5-1. In pochi, a questo punto, avrebbero scommesso su Sinner. Il quale, lentamente ma inesorabilmente, ha invece ritrovato forza e solidità: la sua testa è composta da puro granito & agonismo. Sul 4-4 del terzo, inquadrato dalle telecamere, ha detto distintamente tra sé: “Sono morto”. Pareva davvero sull’orlo del precipizio. Al contrario: da quel momento, non ha sbagliato più nulla o quasi. Ha vinto il terzo e quarto con un duplice 6-4, breakkando sempre al decimo game e annullando (con un ace…) una pericolosissima palla break sul 3-3 del quarto set. A quel punto, giunti al quinto set, l’inerzia era tutta dalla sua parte. Medvedev – giunto in finale perdendo otto set e vincendo tre incontri al quinto – è apparso svuotato, nonché sgomento al pensiero di rivivere in finale lo stesso incubo di due anni prima. Sinner non gli ha concesso niente e ha fatto il break sul 3-2 al sesto game, per poi chiudere 6-3 al primo match point dopo quasi quattro ore. Apoteosi e delirio, vissuti però da Sinner con la sobria consapevolezza di chi sa di non essere lì per caso. Se Berrettini in finale a Wimbledon 2021 fu un evento meritato ma “estemporaneo” (e chi scrive lo adora), Sinner in finale in uno Slam è semplicemente la norma. Jannik è destinato ad essere per anni ciò che Tomba e Valentino sono stati in passato in quegli sport reputati in Italia stupidamente minori (per via del calciocentrismo nostrano), ma che diventano appetibili (anche dalle tivù) quando appare un fenomeno. Eccolo: si chiama Jannik Sinner, è il più grande campione nella storia del tennis maschile italiano. E sì, siamo solo all’inizio.

domenica 28 gennaio 2024

La Storia



Trascorsero 48 anni. 
E poi arrivò Jannik!

Festa silente



Si è svolta, quasi nell’indifferenza generale, una festa tra orfani di tale padre spirituale, nel trentennale del famoso discorso iniziante con “l’Italia è il paese che amo”, proferite da un imprenditore sull’orlo della bancarotta che dal quel giorno avrebbe prosciugato risorse comuni, stravolto l’ordine legislativo con leggi su misura che lo avrebbero sollevato dai suoi infiniti misfatti. Alla festa hanno partecipato tra gli altri, un amico fraterno condannato in via definitiva per concorso esterno alla mafia, Previti che è Previti ed ho detto tutto, un maggiordomo che al momento ha ricevuto dalla famiglia l’ordine di proseguire nella difesa del maltolto, tra cui la proprietà di reti mediatiche nazionali, e Bruno Vespa che è Bruno Vespa. Nessuno oramai delle cosiddette forze d’opposizione, colluse con l’attuale mausoleante, ha ormai più forza né voglia, di tentare di riportare nell’alveo democratico la libertà d’espressione, concedendo un potere inusuale a poche persone, pregne di ricchezza e potere. Per il resto tutto bene!

Vespaio illiberale


Balla a Balla 

di Marco Travaglio 

Bruno Vespa, davanti a una platea di noti pregiudicati (c’era pure Previti) e ignoti incensurati riunita all’Eur, ha officiato l’ennesimo funerale di B.. E, nell’omelia, ha voluto ricordare “la drammatica campagna elettorale del 2001” in cui alcuni comici (Luttazzi e Benigni) e giornalisti (cita “Biagi, Santoro e Travaglio”, dimenticando Montanelli) diedero inopinatamente notizie vere sul candidato favorito e, quel che è peggio, “sulle tre reti Rai”. “Il 15 marzo la Casa delle Libertà era data al 58,7%”, ma poi partì “la guerra mediatica” delle notizie vere. Un orrore, per chi è uso contar balle. Infatti racconta che “il 12 marzo su Rai2 ci fu un memorabile dialogo Luttazzi-Travaglio sull’origine mafiosa dell’imprenditore Berlusconi” (no, era il 14 marzo e B. perse tutte e otto le cause civili in primo, secondo e terzo grado: 24 sentenze affermano che era tutto vero). Poi arrivò “il Raggio Verde di Santoro su Rai3 per dimostrare la responsabilità di Berlusconi nelle stragi del ’93” (no, era su Rai2 e nessuno accusò B. di strage, anche se era indagato per quelle del ’92). “Ciliegina sulla torta: la memorabile intervista di Biagi a Benigni che ridicolizzò Berlusconi” (satira politica: altro abominio). I tre programmi erano “in prima serata”, mentre “a Porta a Porta non fu consentito” (no: Luttazzi andava in seconda serata e Porta a Porta non va in prima perché fa ascolti bassini).
La campagna elettorale durò 40 giorni, con migliaia di ore di propaganda berlusconiana su Rai&Mediaset. Ma bastarono 25 minuti di Satyricon, 20 di Biagi e 2 ore di Santoro a “far perdere a Berlusconi enorme popolarità e punti, perché veniva presentato come un mascalzone”. E gli italiani non l’avevano mai sospettato: infatti aveva 2 condanne prescritte per corruzione e finanziamento illecito, 6 processi per corruzione giudiziaria (Sme-1 e Mondadori) e falso in bilancio (Lentini, All Iberian-2, Sme-2, consolidato Fininvest), un’indagine a Caltanissetta per Capaci e via D’Amelio e una in Spagna per Telecinco. Quella “mobilitazione drammatica” (di notizie vere), secondo l’insetto, non favorì B. (come dicevano i suoi trombettieri e i suoi finti oppositori), anzi gli levò 9 punti (dal 58,7% al “49,5”) e “portò a votare Rutelli 3 milioni di italiani” pigri o riottosi. E le cose sarebbero andate ancor peggio se Vespa non avesse restituito un po’ di dignità al giornalismo: infatti “ho convinto io” B. a metter su la sceneggiata del Contratto con gli Italiani, “di cui conservo l’originale”, sulla “scrivania di ciliegio che avevo fatto cercare nell’attrezzeria Rai”, a cinque giorni dal voto. Poi, per fortuna, l’editto bulgaro del 2002 chiuse per sempre la “mobilitazione drammatica” di notizie vere. Da allora solo balle. Infatti Vespa è sempre lì. E ne conserva tutti gli originali.

sabato 27 gennaio 2024

Praticamente





Auguri Nick!



Questo signore oggi compie 80 anni! Si chiama Nick Mason e ha usato tra l’altro il rullante magnificamente. Se non lo conoscete… vi meritate Sfera Ebbasta! Auguri Nick!

Ciao Elio!



Proprio nel giorno della Memoria se ne è andato il partigiano Elio, al secolo Bruno Segre, nato nel 1918, centocinque anni dedicati all’Antifascismo, come gli eroi di questa terra che ci hanno ridonato la libertà. Ti sia lieve la terra Bruno! Noi continueremo a non dimenticare, a ricordare quegli anni bui di terrore e di violenza, affinché non ritornino. W l’Antifascismo (checchè ne dica la Digos)

Definizione




Verissimo

 

Perché ci odiano
di Marco Travaglio
Da quando la Nato e i suoi trombettieri decisero che Putin aveva le ore contate perché stava per morire, o era già morto (i famosi sosia), o era in default, o stava per essere destituito, o aveva perso la guerra in Ucraina, l’autocrate russo non è mai parso così saldo, mentre quasi tutti i capi di governo che lo davano per finito sono caduti come birilli: Draghi, Johnson, Truss, Rutte, Sanna Marin, Morawiecki, Ódor, e i superstiti Biden, Scholz e Macron non se la passano granché bene. Da quando l’Impero del Bene occidentale ha annunciato di avere isolato l’Impero del Male russo-cinese e si prepara alla terza guerra mondiale per sbaragliarlo, Mosca e Pechino non hanno mai avuto tanti amici dal crollo del Muro di Berlino. I Brics si allargano sempre di più e progettano una nuova moneta contro il dollaro. E ora, grazie ai crimini di Netanyahu e ai balbettii di Biden e della presunta Europa, l’Iran aumenta la sua influenza e il Mar Rosso è preda dei pirati Houthi, che si divertono pure a esibire i loro fotomodelli sulla stampa occidentale guadagnando simpatie, soprattutto da quando l’astuto Impero del Bene li rende pop in tutto l’Islam (e non solo) chiudendo gli occhi e la bocca sui crimini israeliani e bombardando lo Yemen (strepitoso il contrappasso degl’inglesi che combattono la nuova pirateria immemori di quella vecchia dei loro sir Drake e sir Morgan). Intanto in Africa i cinesi comprano terre su terre e i russi allargano la loro influenza anche dopo la morte (presunta) di Prigozhin: a Nord l’alleanza con Haftar in Libia (dove progettano nuove basi militari), a Sud quella col Sudafrica, al Centro il patto con la Repubblica Centrafricana, a sua volta alleata con l’Uganda, e il fronte delle tre giunte golpiste anti-occidentali in Niger, Mali e Burkina Faso che han cacciato i francesi al grido di “Viva Putin”.
Un odio sempre più inestinguibile contro l’Occidente si leva dal Sud e dal Centramerica, dall’Africa, dal Medio Oriente e dal resto dell’Asia e si butta fra le braccia del neocolonialismo russo e cinese. Non perché sia meglio del nostro, ma perché il nostro ha lasciato pessimi ricordi e non facciamo nulla per farli dimenticare. Anzi, perseveriamo con guerre guerreggiate ed economiche che ci rendono ancor più odiosi. Una leadership americana ed europea lungimirante si interrogherebbe sullo tsunami di odio e cambierebbe approccio per arginarlo. Invece il nostro piccolo mondo antico, sempre più isolato, declinante e spopolato, si arrocca sulla difensiva contro i “barbari” e s’illude di isolarli a suon di bombe e sanzioni. Regalando ogni giorno nuovi proseliti al nemico. Come il soldato della barzelletta: “Capitàno, ho preso dieci prigionieri!”; “Bravo, portali subito qui”; “Eh, ma non mi lasciano venire!”.

Raggelante ascolto

 




L'Amaca

 

Come Gassman nel “Sorpasso”
DI MICHELE SERRA
La polemica sul limite dei trenta all’ora in vaste zone di Bologna (e altrove) impressiona per la sua prevedibilità, quasi paradigmatica: quando si tratta di limiti (della velocità, dello sviluppo, del potere,dell’arricchimento individuale, del corteggiamento, di tutto) già si sa che la sinistra è favorevole a riconoscerli e/o a indicarli per legge; la destra è contraria. Il Salvini, in questo senso, andrebbe studiato da un pool di antropologhi: incarna l’uomo di destra — la destra moderna, alla Trump, alla Milei, alla Briatore, non quella antica, che era tutta un’altra cosa — con magistrale efficacia.
Se c’è una cosa di destra da fare o da dire, lui la fa e la dice.
Sorvolando sui tanti possibili corollari e le tante evidenti eccezioni, potremmo dunque dire che la sinistra pecca di pedanteria e di legalitarismo; la destra di menefreghismo e di superficialità. Mentre la sinistra rallenta meditando, la destra la sorpassa strombazzando. La destra spara ai ladri, la sinistra si affida, fiduciosa e un tantino babbea, all’iter senza fine della giustizia di Stato. La destra parla schietta come chi offende perché se ne strafrega di offendere, la sinistra parla cauta come chi ha a cuore tante di quelle cose che non sa più da quale cominciare.
A questo punto immagino che vi aspettiate una conclusione, ma una conclusione non ce l’ho. Mi riconosco, e lo sapete già, nel novero di quelli che rallentano, si guardano intorno, si domandano se stanno dando disturbo agli altri. Ma dubito di riuscire a prevalere sul fascino basico, animalesco, della prepotenza: a meno che, come Gassman nel Sorpasso, i menefreghisti vadano a schiantarsi, e tocchi a noi, non so dire quando e come, soccorrerli.

Giornata della Memoria

 


Effettivamente


 

venerdì 26 gennaio 2024

Ahhh!




A pensarci...

 


Leggete bene!

 

Fuori controllo
di Marco Travaglio
Forse non sapremo mai se l’aereo russo abbattuto in Russia dall’Ucraina trasportasse 65 prigionieri ucraini pronti per uno scambio, come dice Mosca, o armamenti diretti al fronte, come dice Kiev. Ma due cose già le sappiamo. 1) Ad abbatterlo sono stati i Patriot forniti dagli Usa: con tanti saluti alle garanzie di Zelensky sul fatto che le nostre armi vengono usate per difendersi dai russi a casa propria e non per attaccarli a casa loro. 2) I media ucraini governativi (cioè tutti: è una democrazia liberale, no?) hanno rivendicato l’attentato; poi han fatto retromarcia appena Mosca ha avvisato Kiev che aveva sterminato 65 suoi soldati; poi l’esercito si è assunto la paternità dell’attacco; infine Zelensky ha chiesto “un’indagine internazionale” (su un attacco ucraino!). È il copione già seguito negli altri atti terroristici di Kiev: l’assassinio di Darya Dugina, le distruzioni dei gasdotti e del ponte Russia-Crimea. Ma è anche l’antipasto di ciò che accadrà quando, con o senza Zelensky, si arriverà finalmente a un cessate il fuoco.
La propaganda atlantista dipinge l’Ucraina come un monolite: presidente, ministri, maggioranza parlamentare, esercito, milizie paramilitari, servizi segreti, popolazione. Tutti uniti contro qualunque tregua fino alla sconfitta di Putin e all’ingresso nella Nato. Balle. Il regime è spaccato, i vertici politici, militari, di intelligence e delle milizie vanno in ordine sparso, il popolo è diviso tra anti-russi, filo-russi e fautori di un compromesso che ponga fine a tanta morte, distruzione, corruzione e miseria. E Zelensky è sempre più isolato, all’esterno per la fine degli aiuti Usa e all’interno per la disfatta della controffensiva, la rottura col capo dell’esercito e il ricicciare del predecessore-rivale Poroshenko: ha rinviato sine die le elezioni del 2024 ed evocato un golpe ai suoi danni, mentre la moglie si è detta contraria alla sua ricandidatura perché teme che perda o le elezioni o la vita. È possibile che la reazione contraddittoria all’abbattimento dell’aereo russo dipenda dal fatto che l’ha deciso una fazione del regime contro altre. Magari per sabotare quel barlume di dialogo avviato con Mosca per massicci scambi di prigionieri. Sarebbe la prova che Zelensky ha perso il controllo o della guerra o della sua gestione mediatica. E un segnale d’allarme per il “dopo”: chi rispetterà e chi farà rispettare il cessate il fuoco? Con tutte le armi che abbiamo inviato a Kiev senza neppure renderle tracciabili per sapere a chi vanno, ogni clan potrà sabotare la tregua seguitando a sparare e trasformando vieppiù il Paese in un covo di terroristi. Così, in caso di missione internazionale di peacekeeping, i nostri soldati sarebbero bersagli di un fuoco doppiamente amico. Sarebbero degli ucraini a spararci. E con le nostre armi.

L'Amaca

 

Ci vorrebbe un consulente
DI MICHELE SERRA
Chiunque abbia redatto i volantini governativi che sgridano questo giornale, poteva farlo meglio. Dico materialmente: pensarli meglio, scriverli meglio, possibilmente rileggerli o farli rileggere daqualcuno che sappia rimediare a quell’animoso sovrattono studentesco (ridicolo, alla loro età) condito da quel basso gergo giornalistico, sbrigativo, stridulo e poco documentato, che è il solo vero nemico dell’informazione: di sinistra, di destra e di centro.
Nessuno ambisce a nemici scadenti, perché nessuno desidera essere trascinato in contese scadenti. Come minimo, se proprio devo essere redarguito, pretendo un Buttafuoco, un Veneziani o un Giuli, perché di quanto pensa e scrive la truppa attendata a Palazzo Chigi mi interessa un fico secco, tanto è ovvio e prevedibile. E dunque, letto il papello e constatato il suo livello molto mediocre; considerato che la sua destinazione quotidiana (i meloniani del Parlamento e dei ministeri) è importante e la sua funzione delicata, perché si tratta di informare o orientare la nuova classe dirigente; suggerisco al governo, prodigo di incarichi pubblici e para-pubblici, di assumere un consulente di fiducia, e di buon livello (ci sarà un bravo professore di liceo di destra, no?), con l’incarico di stilare gli attacchi ai giornali sgraditi in modo che siano leggibili e godibili.
Con almeno un termine sorprendente (non pretendo spiritoso) ogni due o tre righe, perché così com’è la comunicazione di Palazzo Chigi sembra prodotta da un modello molto cheap di intelligenza artificiale che ricicla i discorsi di Meloni riuscendo quasi a peggiorarli. E non ha nemmeno quel divertente accento romanesco.

Prova e riprova

 


Ci sto provando da due giorni… ma niente! 

Ho già cambiato una portiera e ho due o tre dischi della colonna da reinserire…

giovedì 25 gennaio 2024

Nel limite superato


Ho appreso da Repubblica che questa…signora che si presenta come “Fashion Designer and digital entrepreneur” (di ‘sta ceppa aggiungo), al secolo Giulia Nati, ha pubblicato un video da cui ho estratto questa immagine … mumble mumble… ha chiamato i figli Hermes e Kelly (la borsa iconica di Hermes… mumble mumble… un attimo che ingurgito gocce EN… non vorrei eccedere… leggendo i commenti del post della poveretta si evince, a parte qualche coglione, una nausea generalizzata al riguardo, anche con scritti di persone che hanno dovuto affrontare chemioterapie e quant’altro. La cosiddetta influencer, a cui vorrei augurare una cosetta che la dignità m’impone di non trascrivere, ribatte stupita, con frasi tipo “ma cosa c’entra l’ospedale?” o anche “ma chi ha fatto riferimento all’oncologia? Chi? Siete la rovina dell’Italia con questo perbenismo!” 
Perbenismo? Mumble mumble … riprendo goccine EN… ma vaffanculo Giulia Nati! Vaffanculo assieme alle borse! Tremo all’idea di come possano crescere Hermes e Kelly! Ma se ti piaceva la bevanda gassata per antonomasia come li avresti chiamati? Coca e Cola? Comprendo che scrivere di te e della tua pochezza sia un aiuto alla tua voracità d’apparire, che il silenzio in questi casi è molto più salubre. Ma sono meravigliato per quel milione di follower, che purtroppo votano pure! Quasi quasi è meglio fregare sui pandori e uova pasquali che postare tale oscenità. Mi provochi nausea ed infinita tristezza! Ti prego curati.

Risvolti della memoria

 

Il Giorno dell’Amnesia
di Marco Travaglio
Il 27 gennaio celebreremo il peggior Giorno della Memoria da quando, nel 2005, l’Onu lo istituì per ricordare le vittime della Shoah nella data in cui, nel 1945, l’Armata Rossa liberò i superstiti del lager nazista di Auschwitz. Da allora, mai come oggi la Memoria è stata inquinata da rigurgiti di antisemitismo: il vecchio che riaffiora dalle fogne e il nuovo che contagia anche insospettabili, soprattutto i giovani più ignari della storia. Il tragico paradosso di questo truce revival antisemita è che il primo colpevole è il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, insieme ai leader, agli intellettuali e ai media che lo sostengono o non lo condannano (che è la stessa cosa). E fra questi, purtroppo, anche molti responsabili delle comunità ebraiche, troppo impegnati a bollare di antisemitismo filo-Hamas chiunque critichi Israele per accorgersi che così autorizzano l’altrettanto assurda equazione “Netanyahu uguale Israele uguale ebrei”. E finiscono col portare acqua al mulino di chi traccia assurdi paralleli fra il genocidio dei genocidi, la Shoah, e gli atroci crimini di guerra del governo israeliano a Gaza. O prende a pretesto i 25 mila palestinesi uccisi nella Striscia per negare a Israele il diritto a esistere falsificando la storia. Il 7 ottobre il pogrom di Hamas contro 1300 ebrei israeliani aveva suscitato un’ondata mondiale di simpatia e solidarietà a Israele. Poi Bibi, in 100 giorni e più di feroce rappresaglia a Gaza, è riuscito a rendere Israele più odioso e odiato di quanto non fosse mai stato.
Se dal 1948 non erano mai morti tanti ebrei in un giorno quanti il 7 ottobre, nessuno dei conflitti arabo-israeliani aveva mietuto tante vittime come la mattanza di Gaza. Il primo, fra Lega Araba (Egitto, Libano, Siria, Transgiordania, Iraq e Arabia Saudita) e Israele, durò un anno nel 1948-’49 e contò 6 mila morti israeliani (di cui 2 mila civili) e 10 mila arabi (perlopiù militari). La guerra di Suez fra Egitto e Israele, nel 1956, durò 8 giorni con mille caduti egiziani e 180 israeliani. Nella guerra dei Sei Giorni del 1967 fra Israele e Lega Araba, persero la vita 700 soldati israeliani e 20 mila arabi. Nei 36 giorni di quella del Kippur, nel 1973, perirono 2.300 soldati israeliani, 12 mila egiziani e 3 mila siriani. I 25 mila civili uccisi a Gaza in 100 giorni per (non) sconfiggere Hamas sono un unicum anche nella secolare e sanguinosa guerra arabo-israeliana. E ora chi non ne sa o non ne ricorda nulla serberà nella Memoria soltanto Gaza. Almeno finché Netanyahu non verrà cacciato e condannato.
Ps. In ogni famiglia ci sono nonni o genitori che ci hanno raccontato le deportazioni nazifasciste. Inviateci i vostri racconti a lettere@ilfattoquotidiano.it: il Fatto li pubblicherà nel Giorno della Memoria.

L'Amaca

 

Né volgarità né autocensura
DI MICHELE SERRA
Grazie a un lungo articolo di Bettina Bush sull’ultimo Robinson ho capito meglio l’importanza della grande mostra genovese su Artemisia Gentileschi. Se ne era parlato soprattutto per l’accusa rivolta ai curatori da alcune studentesse, poi ripresa da alcune attiviste, di avere “spettacolarizzato” lo stupro subìto dalla grande pittrice con una sala dedicata a quel trauma.
La polemica è del tutto legittima (quasi tutte le polemiche lo sono), ma comporta almeno un paio di domande successive. La prima è se sia giusto e utile che soprattutto di quello si sia parlato, meno dell’opera di Artemisia. La seconda è se fosse proprio necessario che i curatori si giustificassero, come se la valutazione sul loro lavoro dipendesse solo da quella scelta e quella stanza: che non è un dettaglio ma nemmeno quanto basta a valutare una mostra così significativa, o peggio a renderla illecita.
Che le questioni e le sensibilità di genere siano di prima rilevanza è fuori di dubbio, ma di fronte a casi come questi il timore è che da una parte ci siano i Vannacci e i Bandecchi, che se ne fregano di ogni scrupolo “di genere” e ci sghignazzano sopra. Dall’altra si rischi una specie di timor panico di fronte al ruolo giudicante che non “i social”, come si dice sbagliando, ma gruppi combattivi e ristretti di persone tendono a esercitare nei confronti di questo e di quello.
A destra il gesto dell’ombrello, a sinistra e altrove un intimorito, esitante percorso segnato dal timor panico di dire o di fare qualcosa di sbagliato? La volgarità conclamata da un lato, l’imbarazzo e l’autocensura da quell’altro? Non è un assetto decente per una discussione così importante.

Volte sì, a volte...

 


Forte, tonitruante, il commento di Massimo Giannini oggi su Repubblica; dedicato alla cosiddetta Sorella d'Italia, sicuramente non mia, che ha attaccato velatamente Elkann proprietario della testata sull'italianità, visto che il gruppo torinese ha da tempo portato sede fiscale fuori dal paese, sfanculando il pagamento dei balzelli.
Giannini spara cartucce a mio parere quasi a salve. Perché se è vero che la Ducetta sta tentando d'insonorizzare la stampa non amica, quella slurp-slurp non è mai stato un problema per nessuno, è anche palese che la professionalità di molti, come lo stesso Giannini e Serra non sia in discussione; resta però il problema di fondo, grave, allarmante. La proprietà della carta stampata di potenti nuclei industriali nuoce o no alla libertà, alla linea editoriale?

Meloni è chiaramente assetata di potere totale tipico del Mausoelante e dello Zio Crapone; al tempo stesso però Repubblica da inizio secolo si è molto conformata alla mentalità del sissignore governativo, prima spasimando per il Bimbo Minkia rignanese, poi col paladino delle banche Draghi; infine, in un rigurgito di libertà, sta tentando oggi di ergersi a paladino del anti melonismo, ritrovando forze in soffitta ma ahimè depotenziate, stantie, flaccide.

Ma c'è un punto nell'articolo di Giannini che stride molto con l'equanimità, che riporto:

"L’informazione o è addomesticata, o non è. È la “capocrazia”, e non fa prigionieri. Il manganello meloniano non risparmia nessuno dei pochi presidi informativi ancora indipendenti. Da Repubblica al Domani, da Otto e Mezzo a Report a Piazzapulita : se non li puoi controllare, dileggiali, infangali, bastonali."

Caspita Massimo, hai tentato di dimostrare di essere integerrimo e non hai nominato una delle poche testate libere, libere da padroni, da potentati, da club, da famiglie, insomma da chicchessia!

Il Fatto Quotidiano Massimo, non ritieni che sia un giornale capace di dire ciò che vuole, contro tutto e tutti, odiato perché molti che si credono pensatori liberi, s'incazzano a leggere giudizi o linee editoriali che vorrebbero sposare ma che non possono farlo perché "cuccioloni" verso qualcuno?

Dai Massimo, siamo seri!

mercoledì 24 gennaio 2024

Auguri Herbert!



Il 24 gennaio 1870 vedeva la luce, in quel di Nottingham, Herbert Kilpin, ultimo di nove figli, entrato nella storia per aver fondato l’ottava meraviglia del globo, la squadra rossonera che, attraverso i lustri, ha abbellito lo sport mondiale, divenendo un must conosciuto in ogni parte del pianeta, con club al circolo polare artico e a Papeete. Herbert è stato accostato negli anni a benefattori dell’umanità, come Steve Jobs, Madame Curie, Albert Einstein. Ha lasciato un documento in cui prevedeva la conquista di 35 scudetti e 23 Champions entro il 2040, e la storia insegna che difficilmente sbagliasse previsioni. Tanti auguri Herbert! E grazie!

Dipendenza

 


Fiuuuu!

 


Robecchi

 

Diseguaglianze. Persa la lotta di classe, combattiamo almeno la lotta di tasse
di Alessandro Robecchi
Visto che non si può parlare di lotta di classe – perché saltano su come tappi i soliti pipicchiotti sedicenti liberali a dire che è solo invidia sociale – che si parli almeno di lotta di tasse. E per quanto stupefacente, eccoci d’accordo con una bizzarra congrega di miliardari del pianeta, che chiedono di essere tassati di più. Per dirlo hanno approfittato del recente World Economic Forum di Davos, che è un po’ la serata degli Oscar dei padroni (and the winner is…): quasi 300 miliardari hanno preso carta e penna (d’oro, si suppone) per chiedere ai governi del mondo di aumentare le tasse sulla ricchezza.
Il ragionamento è semplice e, in qualche modo, ragionevolmente difensivo. Probabile che nelle loro ville di Malibu o di Sankt Moritz, i super-ricchi del pianeta abbiano letto le cifre del rapporto Oxfam sulle diseguaglianze, tipo quella che loro – i miliardari del pianeta – sono sempre più miliardari, che i primi cinque nella loro classifica hanno raddoppiato le loro fortune negli ultimi tre anni, mentre cinque miliardi di persone, cinquemila milioni di poveri cristi, si sono impoveriti. Ragionamento che non fa una piega, come si legge nell’appello: per noi non cambia niente, il nostro tenore di vita non ne risentirà, né per i nostri figli, né per i nostri nipoti, né per le nostre aziende. Sono ricchi, non sono mica scemi, sanno che se la faccenda si sbilancia troppo e se alcuni miliardi di poveracci si incazzano con qualche migliaio di ricconi la questione si può mettere male. Ma in ogni caso c’è una verità incontestabile: la “ricchezza privata estrema” (come la chiamano loro) è un problema per la democrazia in tutto il mondo. Parole sagge, e meno male che le dicono i miliardari, perché quando lo dice un sindacalista, o un lavoratore, viene subito accusato di tendenze comuniste, ambizioni di esproprio proletario e invidia sociale (e ridaje, ndr).
Passando al piccolo mondo antico dell’Italietta meloniana (ma anche pre-meloniana e, sono sicuro, post-meloniana), ci dobbiamo accontentare dell’Ocse che non pensa tanto ai poveri cristi ma al nostro debito pubblico e suggerisce di rivedere più che qualcosa nel sistema fiscale. La tassa di successione, per esempio, è tra le più basse del pianeta, il che, oltre a essere ingiusto, è un motore primario di diseguaglianza (in parole povere i ricchi sono ricchi per successione dinastica, altro che pippe sul merito!). In più, la rendita improduttiva è tassata meno del lavoro produttivo. In più, ci sono pensioni d’oro a fronte di pensioni che non garantiscono nemmeno la sussistenza. Insomma, un Paese che premia i ricchi e penalizza i poveri, come anche il recente ridisegno di alcune discipline fiscali conferma.
In tutto questo, che è macroscopicamente sotto gli occhi di tutti, si assiste a un bizzarro fenomeno di ipnosi di massa, per cui appena qualcuno pronuncia la parola “patrimoniale” si schierano le armate del Capitale come di fronte a una rivoluzione bolscevica. Davvero stupefacente vedere gente che paga il mutuo per un bilocale alla periferia di Novara strepitare contro una tassazione per chi ha patrimoni superiori a dieci milioni, la sede fiscale all’estero, la cittadinanza a Montecarlo e cinque Bentley in garage. Di tutte le ingiustizie e le follie in materia di diseguaglianze, questa è la più strabiliante: neo-poveracci del fu ceto medio che difendono come tanti piccoli Milei i privilegi di una manciata di miliardari globali, senza pensare – fessi – che in proporzione pagano molte più tasse di loro.

Sentite un po'!

 

Serve un disegnino?
di Marco Travaglio
Quindi è ufficiale: se Putin vince la guerra in Ucraina non è colpa di chi l’ha armata fino ai denti e mandata al massacro, ma dei pacifisti che volevano salvarla. Lo scrive sul Corriere Goffredo Buccini: “Un certo pacifismo, sempre più prossimo all’appeasement sull’Ucraina, apre le porte a un totalitarismo (quello russo, ndr) ben più tangibile di qualche ectoplasma” (i fascisti di Acca Larenzia, condannati da Mosca e purtroppo anche dall’Ue). E accusa il Pd, che ha appena votato col governo l’ennesimo dl Armi, di esser “sempre più attratto dai 5Stelle contrari a sostenere Zelensky” (che infatti han votato contro). Neppure il fallimento della controffensiva di Kiev (100 mila vittime in pochi mesi per recuperare 1/350 dei territori occupati e perderne pure di più, la fine delle forniture militari americane in vista di conflitti più pop (Gaza, Mar Rosso, Taiwan), le contorsioni di un’Ue dissanguata e sfibrata, l’inizio della contro-controffensiva russa che devasterà e ingoierà altri pezzi d’Ucraina bastano ad aprire gli occhi alle nostre Sturmtruppen.
Se fossero oneste, prenderebbero atto della dura lezione dei fatti, ammetterebbero di avere sbagliato tutto e si scuserebbero con chi aveva ragione fin da subito: non gli inesistenti putiniani, ma chi chiedeva di negoziare. Non per consegnare l’Ucraina a Putin, ma per salvarla dall’inevitabile vittoria di Putin trattando prima o subito dopo l’invasione. Non con vuote parole da Miss Italia sulla pace nel mondo, ma con un compromesso basato sulla neutralità di Kiev e l’autonomia del Donbass: quella accettata a Minsk e poi tradita dai governi ucraini di Poroshenko e Zelensky, che seguitarono a bombardare le regioni russofone fino all’invasione russa (e anche dopo, vedi la strage di domenica al mercato di Donetsk: 25 civili morti e 40 feriti). Infatti quel negoziato si fece, mediato dall’allora premier israeliano Naftali Bennett nel marzo ’22, subito dopo l’invasione: Putin rinunciava a disarmare e “denazificare” l’Ucraina e a uccidere Zelensky, il quale rinunciava a entrare nella Nato. “Credo davvero – disse Bennett – che esistesse una chance per il cessate il fuoco”, grazie al “pragmatismo di Putin che capiva totalmente le costrizioni politiche di Zelensky” e alla parallela apertura di Kiev. Ma Biden e Johnson “bloccarono la mediazione” e decisero di “continuare a colpire Putin”. Cioè di affidare il destino ucraino al responso del campo di battaglia, svuotando i tavoli negoziali e riempiendo Kiev di armi e illusioni a oltranza fino alla sconfitta della Russia. Ora purtroppo il campo di battaglia il suo responso l’ha dato. Restano da avvertire gli ultimi italo-giapponesi asserragliati nella giungla delle loro panzane. Anche eventualmente con un disegnino.

L'Amaca

 

Manco fosse Waterloo...
DI MICHELE SERRA
Comincia a diventare assurdo, oltre che sconveniente, l’atteggiamento del deputato Pozzolo, dalla cui pistola partì un colpo durante il veglione di San Silvestro ferendo in modo non grave un ragazzo presente.
L’episodio, dibattutissimo e arroventato dalle polemiche, lo è anche perché fin dal primo momento è stato circonfuso di una incomprensibile cortina di reticenza. Poteva essere archiviato per quello che era — un incidente molto increscioso — è diventato un mistero, e senza meritare di esserlo.
Non si capisce perché il deputato Pozzolo non abbia da subito raccontato l’accaduto, per filo e per segno, agli inquirenti, e di riflesso all’opinione pubblica. Dopotutto non si trattava di ricostruire Waterloo, ma un banale colpo accidentale. Anche ammesso che abbia delle responsabilità gravi, raccontare con chiarezza i fatti gli avrebbe permesso di uscire in maniera senz’altro dignitosa dall’accaduto: come un uomo maldestro, non come un rappresentante del popolo reticente, che dà l’inevitabile impressione di nascondersi dietro un ruolo pubblico (deputato della Repubblica) che all’opposto dovrebbe suggerirgli trasparenza e lealtà.
Perché mai, a più di tre settimane dai fatti, anzi dal fatterello, e con tutti i misteri veri e insoluti che intasano le cronache nazionali, si debbano disturbare Procure, inquirenti, periti balistici, avvocati, per quella che è, con ogni probabilità, solo una grave imprudenza, è una domanda che al posto del deputato Pozzolo mi farei. Molti politici parlano di tutto, e a vanvera, quella era un’occasione in cui parlare era doveroso, e in fin dei conti più facile e conveniente che menare il can per l’aia.

martedì 23 gennaio 2024

Registi scialbi

 

Tra il fusco e il brusco
di Marco Travaglio
Gli unici titolati a protestare per il golpetto con cui la destra ha nominato Luca De Fusco direttore del Teatro di Roma sono gli attori e i registi, che evidentemente lo conoscono. Il Pd ha poco da strillare: ha sempre fatto le stesse cose, solo con un po’ più di furbizia ed eleganza di questi trogloditi. E in quel posto voleva piazzare Onofrio Cutaia, ora al Maggio Fiorentino, per liberare la poltrona all’amato Carlo Fuortes, rimasto momentaneamente col culetto scoperto dopo aver regalato la Rai ai meloniani in cambio della promessa del San Carlo di Napoli, dove il Pd che governa Comune e Regione era ben felice di avallare il golpetto destroide contro Carlo Lissner, purtroppo fallito perché illegale. Siccome non c’è limite al ridicolo, ha parlato il ministro Sangiuliano: “Dobbiamo consentire a chi non fa parte dei circoletti romani di esprimersi nel mondo della cultura”. Cioè: De Fusco, socialista dalla più tenera età, poi forzista in amorosi sensi con Gianni Letta, collezionista di cadreghe da Guinness (10 anni allo Stabile del Veneto, 2 a Catania, 10 a Napoli), sarebbe espressione di una cultura (quale?) negletta e ghettizzata dalla feroce egemonia comunista: un underdog salvato dalle catacombe dopo anni di persecuzioni e privazioni da un altro emarginato, San Giuliano, già vicedirettore del Tg1 e direttore del Tg2 e di vari quotidiani.
Ironia della storia: la nomina di De Fusco arriva nel 24° anniversario della morte di Craxi, di cui il nostro eroe – vincendo non si sa come l’ostracismo comunista – celebrò le gesta su Rai1 nel 2011 col memorabile documentario Craxi, elogio del capro espiatorio. Lì paragonò il compianto latitante a: Antigone, Edipo a Colono, Prometeo di Eschilo, Giobbe, Aldo Moro, l’adultera salvata da Gesù dalla lapidazione, Cristo crocifisso. E, aggirandosi tra le rovine di un antico teatro, intervistò testimoni super partes: Carra (1 anno e 4 mesi per falsa testimonianza), Cirino Pomicino (1 anno e 10 mesi per corruzione e finanziamento illecito), De Michelis (2 anni per corruzione e finanziamento illecito), Di Donato (3 anni e 4 mesi per corruzione) e Martelli (8 mesi per finanziamento illecito). Totale: 9 anni e 2 mesi di reclusione in soli 60 minuti, senza contare i 10 anni di Craxi (corruzione e finanziamento illecito). Ma non ci fu tempo per parlare del bottino di Bettino, che De Fusco definì “rifugiato politico”, “vittima sacrificale”, “figura mitica”, “eroe tragico”. Poi porse il microfono a un “filosofo” che equiparò i processi per corruzione e le contestazioni di piazza alla crocifissione e resurrezione di Gesù: “Craxi come Cristo, dopo la morte tutti riconoscono che era innocente”. Ora, al teatro di Roma, andrà finalmente in scena il sequel del capolavoro, dal titolo: “Ma tutti chi?”.

L'Amaca

 

Come aiutare un bullo
DI MICHELE SERRA
Non credo sia giusto né utile giudicare la sortita del sindaco di Terni, Bandecchi, a proposito del corretto utilizzo del culo delle donne (mi scuso per la sintesi, che è lacunosa e molto ingentilita), scomodando la categoria del sessismo, che è pur sempre una categoria culturale.
Bandecchi riuscirebbe a essere sgradevole e violento anche parlando di batterie d’auto, di sufismo, di coltivazione dei ceci o di algebra.
E riuscirebbe a essere sgradevole e violento perfino se volesse annunciare la sua conversione al femminismo, o addirittura alla gentilezza.
Perché, molto a monte di ogni considerazione politica, Bandecchi è un bullo conclamato, anzi un bullo cristallizzato, e lo è da anni, reiteratamente, orgogliosamente, minacciosamente: ha scelto quel canone e proprio in virtù di quel canone è stato molto presente sui giornali e nei media in genere, che altrimenti lo avrebbero ignorato. Ed è sempre in virtù di quel canone che lo hanno votato in tanti, entusiasti dell’omone che sbraita e insulta: sono loro, i suoi elettori, i soli veri mandanti del discorso, orrendo per banalità oltre che per maleducazione, che il sindaco di Terni ha pronunciato nel pieno esercizio delle sue funzioni.
La situazione, nel suo caso, è aggravata dalla stazza fisica, dunque dall’inevitabile sensazione di sopraffazione che accompagna molte delle sue sortite e addirittura la sua stessa presenza. Fate conto: un Crosetto al contrario, grosso e amichevole il primo, grosso e sopraffattore il secondo. La sola reazione davvero corretta, dai banchi dell’opposizione a Terni, sarebbe suggerirgli un terapeuta. Non capirebbe. Ma almeno gli si farebbe la sola osservazione pertinente.

Perdita

 


Già l'immaginazione! Se ne è andata da un pezzo da questo sasso tondo, una grave e mai compresa perdita per noi Sapiens, la dipartita di GigiRiva, che bisogna scriverlo così tutto attaccato, la certifica al meglio: quei pomeriggi di noi ragazzi di quegli anni, sensazioni difficilmente trasmissibili ai fulminei polpastrelli velocissimi d'oggi, il galoppo in cervice scatenato dalla voce arroccata, inusuale, quasi assurda di Sandro Ciotti che interrompeva Enrico con la madre di tutte le eteree frasi "Scusa Ameri, ha segnato GigiRiva!" e tu pronto a scatenare l'inferno per immaginare l'ennesimo gol del Campione, in un mondo diverso, socialmente differente, con quel gracchio di radioline tutte allineate in coclea in riva al mare, in montagna, nei bus, per strada, alla stessa ora perché non esisteva per fortuna lo spalmare pro-grana, non si poteva vedere nulla prima di Valenti e la sua tribù attorno alle 18 e poi un solo tempo di un'unica partita, prima del materializzarsi dell'Immaginazione alle 20 sul secondo canale, fino ad estasiarsi sul primo con Pigna e soci nella liturgica Domenica Sportiva. Stessa prassi questa del ricordo, simile al papà che ti raccontava di un certo Nicolò Carosio e delle sue radiocronache senza alcuna immagine, a beneficio dell'Immaginario, a quei tempi fortissimo e non atrofizzato com'è oggi, tant'è che madre evoluzione prima o poi leverà lo schermo privato, inutilizzato com'è. 

L'Immaginazione che ancora per fortuna qualcuno possiede, ti porta in semplicità con notizie come l'addio di GigiRiva, ad intravedere la propria posizione sul treno della vita, attualmente sono colui che guarda il posizionamento dei bagagli nel retino sopra testa, perché la stazione sta arrivando, hai voglia di siliconarti, e bisogna scendere, come ieri ha fatto GigiRiva, un diodo della nostra Immaginazione, un fulcro essenziale per rivangare anni lontani cercando di trasmettere qualcosa soavemente alleggerita dalla semplicità di gesti socializzanti in grado di collocarci nel posto giusto, vaccinandoci contro la smania di apparire, male oscuro questo, che GigiRiva ha debellato da sé stesso, impregnandosi di silenzio, silenzio parlante, silenzio rombante, Tuono per coscienze rattrappite. 

GigiRiva si porta via la fragranza del proiettore interno capace di catapultarci in nano secondi al suo fianco nei prati freschi di quei tempi ad ascoltare il suo Rombo, senza fronzoli, nani, ballerine, ovvietà, scocciature mediatiche, procuratori, ignavi grondanti ovvietà, angolazioni, var, partite all'ora di pranzo, coglioni insipidi, conigli umidi, orchi fagocitanti grana, arabi fischianti la memoria di GigiRiva perché il silenzio a casa loro non si fa, e vaffanculo a tutti voi spiaggiati e cammellieri a cui qualche idiota nostrano ha concesso il torneuccio senza gloria! 

Scusa GigiRiva mi son fatto prendere dalla rabbia, mentre è il silenzio che dovrei coltivare, fortificandomi prima di scendere dal treno, possibilmente con dignità. Come hai fatto tu ieri, Rombo di Tuono!    

lunedì 22 gennaio 2024

Addio Grande Uomo!



Rombo di Tuono non c’è più! Uno dei miei idoli della giovinezza, la forza pura di quel magico sinistro, si è spento oggi per problemi di cuore. 
Erano altri tempi, ma Gigi li aveva scavalcati, con la sua essenza di uomo libero, lontano da interessi economici, deciso a divenir sardo perché dei sardi possedeva il silenzio, la caparbietà, la testardaggine, la bontà. Sapevamo tutti dove avrebbe virato per agevolare il Rombo di Tuono del suo sinistro, ma pur capendo che sarebbe andato da quella parte, nessuno era in grado  contrastarne la potenza fisica, tipica dei guerrieri. Forte di testa, acrobata in area, resterà per sempre nel Pantheon del nostro calcio. Ti sia lieve la terra Rombo di Tuono! E grazie, grazie, grazie!

Un Pagliaccio è per sempre!




Come se…




Grande Tomaso

 

Ci mancava questa: il male della scuola sono i disabili
INCREDIBILE EDITORIALE SUL CORRIERE - Solo in Italia, scrive Galli della Loggia, gli alunni normali stanno in classe con i “diversi”, per non parlare di tutti quegli stranieri...
DI TOMASO MONTANARI
“Per gli spartani / Una volta era uguale / Buttavano giù da una rupe / Quelli che venivano male”. Ci vuole la geniale stralunatezza di Franco Battiato per commentare l’ultima uscita del professor Ernesto Galli della Loggia sulla scuola. Questa volta, l’eterno editorialista del Corriere della sera si scaglia contro, parole sue, “il mito dell’inclusione. In ossequio al quale nelle aule italiane — caso unico al mondo — convivono regolarmente, accanto ad allievi cosiddetti normali, anche ragazzi disabili gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un Pdp, Piano didattico personalizzato, e infine, sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano. Il risultato lo conosciamo”. Per quanto uno si stropicci gli occhi, incredulo, quelle parole restano lì, nero su bianco: e il disprezzo che trasuda da ogni sillaba le fa risuonare nella testa con una serie di sinonimi atroci, che non si possono scrivere nemmeno per condannarli.
Si percepisce lo schifo fisico per i corpi diversi, l’orrore per una mescolanza “contro natura”. Imporre ai normali la convivenza regolare con gli anormali: ecco la colpa della scuola pubblica italiana. Per fortuna – corollario necessario e sottinteso –, i rampolli della classe dirigente destinati a reggere il Paese per diritto ereditario ormai studiano tutti nelle scuole private in cui i mostri, se ci sono, sono nascosti e separati. La franca brutalità, davvero spartana, del ragionamento ha almeno il merito di non lasciare sottintesi: fuori i disabili e gli stranieri dalla scuola! Vogliamo solo esemplari di pura razza italica, non difettati. Per gli altri, accomodarsi alla rupe, o ai campi di concentramento in Albania.
Chissà che direbbe il collega Galli della Loggia se mettesse piede nell’università in cui insegno, che è onorata non solo di esser piena di stranieri di ogni tipo e sorta, ma di contare due disabili, “anche gravi”, addirittura tra i ricercatori e docenti: che abisso, signora mia!
La Società Italiana di Psicologia Speciale ha risposto Galli della Loggia, seppur senza nominarlo: “Periodicamente, sui media, compaiono commenti e riflessioni anche di intellettuali sul complesso mondo della scuola, manifestando una ridotta conoscenza della stessa – affidandosi a euristiche del pensiero – e un rimpianto per modelli pedagogici che la ricerca scientifica nazionale ed internazionale ha mostrato ormai superati … Certamente, il percorso per la realizzazione di una scuola compiutamente inclusiva è ancora lungo, dovendo affrontare quotidianamente ostacoli e barriere di tipo fisico, didattico, relazionale e culturale. Riteniamo però che colpire in modo così indiscriminato il concetto e le prassi dell’inclusione, con poche righe scritte su un giornale, sia un attacco alle alunne e agli alunni, alle famiglie, agli insegnanti, alle associazioni e anche agli studiosi di scienze dell’educazione, che nel tempo hanno realizzato concretamente la storia dell’inclusione nella scuola italiana”. La Società sottolinea poi “il valore dell’inclusione, come orizzonte di senso e posizione etica ineludibile non solo per la scuola ma più in generale per la società odierna e del futuro”.
E questo è il punto: quale idea di mondo ha uno che scrive le cose di Galli della Loggia? Non lo sfiora l’idea che non solo l’inclusione è doverosa verso coloro che altrimenti sarebbero esclusi, e che invece il principio di eguaglianza – cardine della nostra Costituzione – tutela, ma che a beneficiare maggiormente di questa convivenza sono proprio i “normali” che gli stanno tanto a cuore. Se c’è una speranza di costruire un’etica delle relazioni non fondata sull’idea di successo, competizione, sorpasso e dominio quella speranza è proprio nella scuola: intesa come luogo di formazione della personalità morale e civile dei futuri cittadini sovrani. Una scuola che insegni a vedere nell’altro – qualunque sia il corpo che ha – una persona, unica e irripetibile. A considerare le persone, tutte le persone, un fine ultimo, mai un mezzo. Non c’è una educazione civica più grande dell’esperienza di fare un tratto di strada convivendo chi è, in mille modi, diverso. Certo, non è l’educazione che serve a quel dominio economico-militare dell’Occidente – bianco, maschio e “cristiano” – che Galli della Loggia considera sinonimo di civiltà. Anzi, è una educazione che serve a smontarlo: perché non insegna “l’arte di dominare sugli altri, non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitali … ma l’arte dei rapporti umani, l’arte di comprendere la vita e la mente degli altri” (Virginia Woolf). Tutte cose pericolose, vero, professor Galli della Loggia?