lunedì 23 dicembre 2024

Del ventiquattro


Sollazzo e facezie, elongazioni spirituali 
finemente affiorano nel caos di palle lucenti. 
Ricordi stantii fluttuano nella pochezza mnemonica.

Portare noia spingendo i suoi afflati negli affluenti ove stagna la ragione, è far festa?

Dove sono gli angeli sfioriti in quest’ecatombe, nella fredda aria tra cime di cipressi eretti e circondanti quel potere di regnare che scorre vorace?

Frenesie e sciocchezze attorno ai dirupi irti nel nulla, ove prega la madre i suoi figli evaporati.

Nulla può essere dipinto, pure la Grotta. Tutto è avvolto dallo strano sentir rigurgito. 

Ruota tutto inutilmente tra dedali di cocciutaggine, il cielo è restio a stellare luce, la notte che abbaglia non abbacina, quando bimbi muoiono in sì tanto dispregio, sarebbe inutile.

domenica 22 dicembre 2024

Jingle Bells!




L’Amaca


La confusione sotto il sole

di Michele Serra

Lo stragista di Magdeburgo non è un islamista, tutt’altro: è un immigrato saudita bene integrato, diventato islamofobo e filonazista, oltre che supporter di Elon Musk (le due cose, purtroppo, non sono in contraddizione). All’opposto, il nuovo capo della Siria è un combattente jihadista, ufficialmente classificato terrorista, che parla e agisce (speriamo sia tutto vero) come un interlocutore equilibrato della comunità internazionale e un convinto fautore dell’unità politica e culturale del suo Paese.

C’è davvero molta confusione sotto il sole, e nella confusione non può che aumentare il tasso di pazzia e di instabilità che mescola le carte della storia. Ma merita una piccola riflessione il doppio, clamoroso ossimoro dell’arabo integrato che diventa stragista, e del leader jihadista che diventa “un interlocutore”. Qualcosa ci dice che non è possibile classificare in modo rigido (e un poco questurino) la moltitudine dei movimenti e delle ideologie che sconquassano il mondo. Se il bravo arabo integrato uccide, e il cattivo arabo ribelle tende la mano, viene spontaneo chiedersi se la nostra classificazione di quel mondo non sia lacunosa, schematica e pregiudizievole.

Ma poi, e forse soprattutto: contano anche le persone, una per una, la loro indole, la loro psicologia e la loro storia. Così come i “bravi ragazzi” possono diventare femminicidi, il “bravo immigrato” può diventare stragista, e un generale jihadista può sedere a un tavolo di pace. Niente è già scritto. Tutto può ancora accadere. E questa, a pensarci bene, è una buona notizia.

Capita


Ogni tanto non sono d’accordo Direttore! E non mi considero bigotto e neppure censore! 

Abbassare i Tony 

di Marco Travaglio 

“Tony Effe, il centrodestra con Gualtieri. Il silenzio di Schlein”. Il titolo del Corriere è la miglior sintesi di come ci siamo ridotti da quando tutti sono “liberali” perché non sanno cosa voglia dire. Tony Effe è un giovane rapper che, come tutti i rapper, canta testi scorretti, eccessivi, osceni. Piace a molti adolescenti perché parla del loro mondo col loro linguaggio. Non un ideologo o un predicatore di tesi: un frullatore di frasi sue e non sue, giochi di parole e parolacce dette o sentite da lui o da altri. Il Comune di Roma sa che attira gente e lo invita al Concertone di Capodanno, che non è un ritrovo del Rotary: è una festa per ragazzi che non possono permettersi veglioni costosi. Ma una trasversale convergenza di bigotti, laici e democristiani (i cristiani sono altra cosa: la Santa Sede non dice una parola), maschi e femmine (e femministe), destri e sinistri, tutti fossili ignari di quel mondo, insorge: ma come, uno che dice quelle cosacce, e in pieno Giubileo, dove andremo a finire, poi non stupiamoci dei femminicidi, signora mia. Gualtieri cede alla canea censoria e revoca l’invito. Gli altri cantanti si ritirano per solidarietà col censurato. Che prenota il Palaeur per il 30 e il 31 e fa subito sold out, mentre il Concertone resta deserto. Salvo che si esibisca il sindaco con la chitarrina con cui accoglie le pop e rock star di passaggio. Incluso Vasco che, se esordisse oggi, sarebbe bandito per versi tipo “è andata a casa con il negro, la troia”. Idem Renato Zero (“sbattiamoci”, “se ti do il pelo tu che mi dai?”, “triangolo”), Dalla (“toccava il culo a una signora e rideva e toccava, sembrava lui il padrone”, “disperato erotico stomp”), Guccini (“l’avvelenata”), Raf (“ti pretendo, è inutile che dici di no, sei l’unico diritto che ho”) e i big mondiali del sesso-droga-rock&roll: Nirvana, Rolling Stones, Clash, Eagles, Marley ecc. Tutti big che ebbero la fortuna di nascere nel secolo delle ideologie, quando i “liberali” si contavano sulle dita della mano di un monco, ma a nessuno saltava in mente di decidere cosa dovessero o non dovessero cantare.
Ora i rapper sanno che, per salire su un palco pubblico, devono scatenarsi su Vola colomba bianca vola. E i registi, per evitare guai, devono dissociarsi da gentaglia tipo Woody Allen (sempre assolto, ma marchiato a vita dalla taccia di molestatore) e Bernardo Bertolucci di Ultimo tango a Parigi, finito al rogo nel 1976, riabilitato nell’86 e ora rispedito sulla pira in Francia dall’ultima versione del bigottismo: il femminismo misto al woke. Bertolucci con Tony Effe non c’entra, se non per l’idea ridicola che chi vede uno stupro in un film corra a commetterne uno e chi ascolta un rap diventi ipso facto un femminicida. La censura è sempre stupida, ma quella “liberale” batte tutti i record di idiozia.

sabato 21 dicembre 2024

Forza Jorge!



Lo silenziano, lo ignorano, lo dileggiano. Ma quest’uomo è nella Verità.

Non capisco

 

Davvero non capisco come abbiano potuto estromettere quel tipo da un veglione di capodanno. Non capisco, bastava leggere i suoi testi, sani, poetici, glabri da ogni sconcezza, per capire che in fondo in fondo qualche pennellata d’artista lo abbia insufflato. Davvero non capisco…
Questo il testo di una canzone di Tony Effe...
«Prendi la tua troia
Le serve una museruola
Metti un guinzaglio alla tua ragazza
Ci vede e si comporta come una troia»
«La tua tipa tra i miei seguaci
Mi vede e dopo apre le gambe
La scopo e poi si mette a piangere»
«Bitch ogni giorno non mi lasciano libero
Le ordino da casa come su Deliveroo».
«Lei la comando con un joystick
Non mi piace quando parla troppo
Le tappo la bocca e me la fotto
«Bionda, mi piace quando è italiana
Mora, se è sudamericana
Rossa, bella e maleducata
Basta che a letto fa la brava».
«Prendo una bitch, diventa principessa
Le ho messo un culo nuovo,
le ho comprato una sesta
Arriva Tony, inizia il party
Volano schiaffi e reggiseni da ogni parte
Con una sola botta faccio due gemelli
Copro la mia puttana di gioielli
Ma non sei la mia tipa, quindi niente anelli»
«Sono Tony, non ti guardo nemmeno
A novanta così neanche ti vedo
Mi dici che sono un tipo violento
Però vieni solo quando ti meno»

L'Amaca

 

In memoria di militi ignoti
DI MICHELE SERRA
Chissà se ci sarà mai uno scrittore, o un regista, in grado di raccontare la storia stupefacente dei circa diecimila soldati nord-coreani mandati a combattere al fianco dei russi in Ucraina. E molti a morire.
I soldati di tutte le guerre sono, al 99 per cento, pedine disperse su una scacchiera immensa e sconosciuta. Non meno stranito e sballottato di un coreano a Kursk doveva sentirsi un siciliano sul Carso nella guerra, scelleratissima, del ’15-18, crimine dei nazionalismi europei trionfanti e anticamera della carneficina della Seconda Guerra Mondiale. È la famosa carne da cannone, schiavi spediti a morire lontano da casa, come dalla notte dei tempi (che ci faceva un fante macedone alle porte dell’India, duemilaquattrocento anni fa?).
Ma in questo caso lo straniamento è aumentato dal misterioso isolamento che avvolge quel popolo silenziato, sequestrato alla storia. Riesce difficilissimo immaginare mogli, figli, case che quei giovani uomini hanno lasciato per andare a combattere la guerra di Putin. Non si sa niente di loro, non si legge un’intervista, una dichiarazione, una frase, perfino la precaria lettura del mondo che noi chiamiamo “informazione” non riesce ad arruolare quei fanti. È solo emerso, a un certo punto, che il traffico porno sul web, in quei paraggi, è molto aumentato, e tutti abbiamo pensato: poveretti, fuori dalla galera che chiamano Patria, hanno scoperto il nostro porco mondo. Mi chiedo se ci saranno mai lapidi, con nome e cognome, sopra le tombe di quei caduti. Che almeno da morti abbiano identità di persone. O neppure quella potranno avere, e a celebrarli solo una stretta di mano tra generali.

Moralmente

 



Natangelo

 



A proposito di...

 

Il caso Mattei
di Marco Travaglio
Se Salvini sperava nell’aureola del martire arrestato (per finta, siamo in Italia) per aver difeso i sacri confini patrii da qualche decina di derelitti, i giudici gliel’hanno negata. Se il partito dell’impunità puntava alla sua condanna per dimostrare che i giudici danno sempre ragione ai pm e dunque bisogna separarne le carriere, in due giorni è stato sbugiardato prima dal Gup di Firenze su Renzi&C. nel processo Open e poi su Salvini dal Tribunale di Palermo nel processo Open Arms. Non esiste alcun Toga Party che marcia compatto come falange per abbattere politici sgraditi: solo pm che indagano doverosamente su notizie di reato e giudici che le valutano in autonomia e indipendenza, dando ragione o torto a chi ritengono che ce l’abbia. È la fisiologia del processo, che funziona senza bisogno di schiforme. L’unica patologia (voluta, creata e aggravata dai politici che poi strillano) sono i tempi intollerabili: due anni di udienza preliminare sul Matteo minor, cinque anni e mezzo per la sentenza sul Matteo maior.
Il Gup di Firenze, in base alla schiforma Cartabia, ha ritenuto che gli indizi portati dai pm (e decimati da Consulta e Cassazione) non bastassero a rendere probabile una condanna per finanziamento illecito, corruzione e traffico d’influenze sui fondi versati da gruppi privati alla fondazione Open dei renziani, che poi in alcuni casi si attivavano per i donatori: e ha negato financo il processo. A Palermo il Tribunale ha ritenuto, con la formula “il fatto non sussiste”, che il sequestro di persona non si applichi al ministro dell’Interno che nell’agosto 2019 rifiutò di comunicare il porto sicuro a una nave carica di migranti al largo delle coste italiane, negando lo sbarco anche ai minori malgrado l’ordine del Tribunale minorile e due lettere del premier Conte che gli intimava di compiere il suo dovere. Per conoscere le ragioni dei due verdetti bisogna attendere le motivazioni, che nessuno può conoscere. Ma già si sa ciò i giudici non potranno scrivere: e cioè che i comportamenti oggetto dei due processi fossero eticamente e politicamente ineccepibili. I fatti, a prescindere dalla rilevanza penale e dalle valutazioni giuridiche, erano già noti e inequivocabili da prima. E solo una classe politico-giornalistica miserabile – quella italiana – ha bisogno di “aspettare la sentenza” per dare il proprio giudizio. Che non deve riguardare i reati, ma i fatti. Non serve un giudice per stabilire che trasformare una corrente politica in una fondazione schermando i nomi dei finanziatori e in barba al dovere di trasparenza verso gli elettori, così come lasciar arrostire in alto mare sotto il sole di agosto decine di disgraziati per allungarne il calvario in cambio di qualche voto, è peggio di un reato: è una vergogna.

venerdì 20 dicembre 2024

Kikkaxxo è?




Quanto lo stimo!




Senza alcun commento

 



Prima Pagina

 



Clima e palle

 



Elena

 

La politica occidentale deve seguire una morale
DI ELENA BASILE
È strano rendersi conto che anche gli analisti più seri, come quelli della fortunata rivista di politica internazionale Limes, riescano a volte a confondere piani diversi. Con un certo grottesco orgoglio affermano di svolgere analisi prive di pregiudizi morali. In effetti la ricostruzione storica degli eventi e l’analisi realistica della politica internazionale impone la demistificazione dei travestimenti ideologici ed etici in cui la propaganda occidentale primeggia. Questo non significa affatto mettere l’etica in un cantuccio. La politica senza visione etica è soltanto la dimensione del potere. Per gli Stati la dimensione della potenza. I giovani sono oggi rassegnati a considerare i partiti europei strumenti di una oligarchia. Sono invece convinta che la visione umanistica è necessariamente presente nella politica intesa come strumento di governo dei popoli per il miglioramento del loro benessere, per la pace e la prosperità. Se non sono gli analisti, se non è l’intellighenzia a giudicare l’azione umana tenendo alti i parametri morali, a chi vorremmo mai affidare questo compito?
Diviene un obbligo morale stigmatizzare i crimini israeliani in Palestina e la complicità occidentale. Come afferma Kathleen Johnston, vedere un bambino che con una gamba amputata trascina la sua esistenza in una tenda aiutandosi con un roller skate, giocattolo degli spensierati ragazzi occidentali, dovrebbe far rabbrividire di sdegno. L’Irlanda, fiero Paese che ha pagato un prezzo atroce al colonialismo inglese, indica la strada. I Paesi europei dovrebbero seguire: cessate il fuoco, riconoscimento della Palestina, agevolazione dell’azione del Sud Africa presso la Cgi, sanzioni contro Netanyahu. Il governo e l’opposizione dovrebbero essere uniti in questo cammino. L’Europa per essere fedele ai propri valori, ai principi immortalati nei documenti e nelle Costituzioni europee, dovrebbe procedere senza indugi a vendicare gli innocenti che sono sotto il torchio di un governo terrorista.
Noi non siamo stati complici dei crimini di Hamas il sette ottobre, ma lo siamo di quelli di Netanyahu. In Ucraina dovremmo assumere il dolore di una generazione massacrata e di un Paese distrutto per cercare la mediazione con la Russia che può avvenire solo se l’Occidente si distacca dalle politiche neo-conservatrici Usa determinate a perseguire l’espansionismo Nato e l’erosione del potere a Mosca sin dal lontano 1997, come le prove documentali dimostrano. Invece, rimaniamo silenti mentre Blinken convince Zelensky a massacrare i ragazzi più giovani, i diciottenni, in un conflitto che sappiamo di avere già perso. In Siria, non vincono i “ribelli” contro un dittatore sanguinario. Le milizie jihadiste addestrate dalla Cia, ceceni, ucraini, libici hanno attaccato uno Stato sovrano, un popolo che soffre da un decennio per le sanzioni unilaterali statunitensi, per la guerra civile fomentata dagli occidentali che ha dato inizio alla feroce repressione da parte di Bashar al-Assad. La morale esiste nella demistificazione della propaganda occidentale. Non neghiamo la ferocia di un regime che peraltro è molto simile a quella dei nostri alleati in Medio Oriente. Regeni si rivolta nella tomba. La cosiddetta esportazione della democrazia copre interessi geopolitici americani contro i popoli europei e mediorientali.
La Cina, la Russia, non perseguono interessi imperialistici? È l’obiezione del moderato di destra come di sinistra. La politica di potenza ha caratteristiche simili e gli occidentali non sono più cattivi degli altri. La ricostruzione obiettiva degli eventi mostra tuttavia come Russia e Cina abbiano oggi una postura difensiva e tendente alla stabilizzazione delle aree. Washington, per difendere il dominio del dollaro, punta sulle guerre e sul caos che, indipendentemente dagli esiti dei conflitti, portano benefici tattici immediati, frenando la crescita del potere economico e strategico dei rivali. Osservo inorridita mediocri europarlamentari, appartenenti alla tradizione democristiana o del centrosinistra, (non al fascismo militarista che si finge di combattere) spronare alla guerra, alla censura, alla trasformazione del liberalismo. Artisti, intellettuali russi sono minacciati. Viene loro negato il visto. Da quel che leggo, il console russo non può parlare alla comunità russa a Milano. In modo orwelliano, le donne al potere che nel sogno femminista avrebbero dovuto inaugurare una dimensione differente dello stesso, sono invece la faccia dell’Europa illiberale e militarista. La voce della ragione resta relegata in spazi minoritari del dissenso, nei 5 Stelle, nel pensiero cattolico più alto in grado, con papa Francesco e alcuni suoi straordinari cardinali, nel non arrendersi alla sottocultura della nostra classe di servizio e a portare alta la bandiera dell’umanesimo cristiano.

Rigurgiti

 

I fischiettatori
di Marco Travaglio
Avevamo previsto come sarebbe finita la guerra in Ucraina, ma anche la reazione dei guerrapiattisti alla resa dei conti: fischiettano tutti come se i fatti non sbugiardassero proprio loro. Spacciano la resa di Zelensky su Donbas e Crimea per una sua mossa geniale: “La svolta di Zelensky” (Rep), “Pace in Ucraina, Zelensky apre” (Stampa),“Svolta di Zelensky: trattiamo” (Messaggero), “Zelensky apre il negoziato” (Giornale). Come a dire: sono tre anni che provo a mettermi con Monica Bellucci, non l’ho mai vista se non in foto, ma ora se mi chiama magari le rispondo. I più ottusi, tipo il rag. Cerasa sul Foglio cavillano sulle parole di Zelensky: “Non ha detto di rinunciare ai territori occupati, ha detto: europei tocca a voi”. Cioè: siccome da tre anni l’Ucraina non fa che perdere territori, ora l’Ue ordinerà a Putin di restituirli tutti e lui obbedirà all’istante. Il duo comico Taradash&Loquenzi (mantenuto dai contribuenti) vomita bile sul Fatto per il titolo Abbiamo perso la guerra. I poveretti pensano che abbiamo attribuito la frase a Zelensky, senza accorgersi che non ha virgolette perché è nostra. E parla dell’Europa sconfitta e suicida per una guerra persa in partenza, non solo dell’Ucraina che ci ha messo i morti per procura. Mieli, più furbo, non prova neppure a negare la debacle, ma continua a falsificare la posizione di chi ha avuto ragione: “Dicevano dal primo giorno quanto ‘convenisse’ la resa immediata di Kiev”. No, ciccio: nessuno ha mai chiesto una resa, ma un negoziato che prima dell’invasione russa l’avrebbe evitata (gli accordi di Minsk violati dai governi ucraini) e un mese dopo l’avrebbe fermata con 1/20 di vittime e condizioni molto più vantaggiose delle attuali (l’intesa di Istanbul sabotata da Usa e Uk).
Ma i fischiettatori vanno capiti: dopo tre anni passati a compilare liste di putiniani e a pendere dalle labbra di un rincoglionito (Biden), uno squilibrato (Johnson) e un mitomane illuso da noi (Zelensky), temono che emerga la verità: i veri amici di Putin e nemici degli ucraini erano loro. E fingono di non essere quelli che “con Putin non si tratta”, “il cessate il fuoco è un favore ai russi”, “Mosca in default”, “le sanzioni funzionano”, “Putin morente”, “Russia isolata”, “pace giusta”, “piano della vittoria”, “riconquista di Donbas e Crimea”, “confini del 1991”, ”Kiev nella Nato”, “controffensiva vincente”, “Armata Rotta”, insulti a Trump, a Orbán, a Scholz e persino al Papa perché provavano a mediare. Uno normale scaverebbe una buca e sparirebbe per sempre. Ma i pappagalli Usa non si vergognano, anzi si credono coerenti: ieri leccavano Biden, ora leccano Trump. Come gli sciuscià che lustrano le scarpe di questo e quello senza neppure alzare gli occhi per vedere di chi sono.

L'Amaca

 

Una differenza di spazio
DI MICHELE SERRA
Tesi di laurea. “Valutazione dello spazio dedicato dai giornali, negli anni, all’inchiesta giudiziaria Open a carico di Matteo Renzi e altri dieci imputati, in rapporto allo spazio dedicato dai giornali all’estinzione dell’inchiesta Open per ‘non luogo a procedere’.”
Sarebbe una tesi di laurea in matematica, ma anche una tesi di laurea sul giornalismo italiano. Richiederebbe un enorme lavoro d’archivio, troppo per un solo studente. Ma darebbe un contributo significativo alla messa a fuoco di una questione, quella giudiziaria, che non è scindibile, in nessun modo, dalla sua rappresentazione pubblica. Il danno di un errore giudiziario è massimizzato dalla strutturale asimmetria del racconto mediatico: massimo clamore per le accuse (TIZIO È NEI GUAI! ), minimo clamore
quando le accuse cadono (Tizio è innocente ).
Un mio caro amico, pubblicamente esposto, mi ha raccontato questo: “Ho avuto alle calcagna, per giorni, la troupe di una trasmissione televisiva nota per le sue ottime inchieste. Ho risposto a tutte le domande che mi hanno fatto. Ero contento di come erano andate le cose. Mi sono detto: adesso manderanno in onda un servizio che dice che sono una brava persona. Ma non è andato in onda nessun servizio. Il fatto che io sia una brava persona non è stato ritenuto di interesse pubblico”. Beh, c’è qualcosa che non funziona. Nella giustizia, certo. Ma anche nell’informazione.
P.S. – Spero che nessuno sia così cretino da pensare che io abbia scritto questa Amaca pro-Renzi. Non sopporto Renzi. Ma sopporto ancora di meno gli amici del capestro.

giovedì 19 dicembre 2024

Alberto


Scrivo in ricordo di Alberto, la persona che ho conosciuto molti anni fa, che più di ogni altra ho visto soffrire, combattere, annaspare alla ricerca della cosiddetta normalità. Alberto soffriva assieme alla sua famiglia che l’ha supportato in tutto, sempre. Alberto avrebbe voluto una vita diversa visto che lo stile attualmente proposto non è per tutti, anche se negli ultimi tempi, in presenza dei “poverini” ci sforziamo di continuare a mangiare al ristorante, innaffiando di sguardi l’aere. Ho sempre orbitato lontano da Alberto perché di matrice sono recalcitrante assai di venire a contatto con la sofferenza, e per questo chiedo scusa a te Alberto e pure a Paolo anch’egli scomparso già da qualche anno nella gioia dopo una vita passata in un polmone costruito da mani d’uomo. Alberto aveva quel sorriso sofferente unico nel suo genere, rideva per consuetudine, e intanto battagliava come un leone, indomito, incazzato al punto giusto, fiero, silente  e assordante, taciturno e ciarliero col cuore. Da tanto tempo non lo vedevo, imbolsito e pigro come sono. Spero che ora viva nella gioia, sereno, accolto dall’Amore. Sai Alberto che è proprio vero! Il tuo silenzio, il dinocolare la testa tra una lotta e l’altra, valgono più di arzigogoli di soloni mendaci, di inerpicanti fonemi sul nulla. Ci lasci un timbro, indelebile, di dignità, magnificamente farcito di sano e prezioso silenzio, introvabile in queste lande. Ciao e buon viaggio!

Dalla parte dell'albero

 



Andatevene!

 


Natangelo

 



Ma davvero?

 



Espressioni insulse.

 



Renziadi

 

Ora al leader Iv sarebbe utile il reddito di cittadinanza
DI DANIELA RANIERI
Colpito negli affetti più cari, i soldi, Renzi si sta facendo le sette chiese mediatiche per denunciare le sue condizioni all’opinione pubblica, dopo che è passata la norma che vieta ai parlamentari di percepire compensi oltre i 100 mila euro l’anno “da parte di soggetti pubblici o privati” che non abbiano sede legale e operativa nell’Unione europea o nei Paesi aderenti allo Spazio economico europeo.
I giornali padronali ne raccolgono le amare lacrime: “È una misura sovietica”, delira, “siamo all’esproprio proletario”. Il piccolo fiammiferaio, che passerà il Natale col naso attaccato alla vetrina appannata di una pasticceria, rischia davvero di non vedere più che spiccioli dall’Arabia Saudita, dal cui ministero delle Finanze e dai cui vari fondi e commissioni sono partiti in questi anni bonifici che l’hanno aiutato a sostentarsi (c’era pure qualche soldino da un quotidiano coreano e da una banca Usa, bontà loro).
Per dire, nel 2022 ha dichiarato redditi per 2,5 milioni di euro; nel 2023 per 3,2 milioni; nel 2024 per 2,3 milioni, e adesso questo piccolo gruzzoletto rischia di erodersi giorno dopo giorno, senza contare che, non facendo il Regno Unito parte della Ue né dello Spazio economico europeo, è a rischio pure lo stipendio come consigliere strategico del Tony Blair Institute, per il quale insegna al mondo come si fanno le riforme mettendo al primo posto i sogni e non i limiti imposti dal ferrovecchio della nostra Costituzione.
L’altro giorno l’abbiamo incrociato in tv su La7, e siamo stati in dubbio se mandare il consueto bonifico natalizio a Save the Children o a lui, sapendolo lì al freddo nella casupola di Rignano sull’Arno.
“Non mi arrabbio, non urlo, non inveisco”, scrive nella sua newsletter, al lume di una fioca candela, perché il mondo sappia del renzicidio perpetrato insieme da FdI e M5S. “Penso che in questi anni siano stati moltissimi quelli che hanno provato a buttarmi fuori dalla politica. Alcuni pm, in primis. I grillini. I diffusori di fake news. Chi mi ha diffamato sui giornali e sulla rete… Eppure io sono ancora qua, col sorriso”. Roba da matti: si pretende che uno faccia politica col solo stipendio da senatore. Possiamo solo immaginare il travaglio eventuale di doversi cercare triangolazioni tra l’Arabia Saudita ed enti europei per farsi mandare qualche aiuto umanitario, e uno si domanda perché Matteo sia contro il Reddito di cittadinanza, che tanto comodo potrebbe fargli adesso.

Inversione comica

 

La guerra continua
di Marco Travaglio
Se non ci fossero almeno un milione fra morti e mutilati, la guerra in Ucraina sembrerebbe puro cabaret.
Come se avesse iniziato a leggere il Fatto con tre anni di ritardo, Zelensky scopre che “l’Ucraina non ha forze sufficienti per riconquistare il Donbass e la Crimea controllati dai russi. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative”. E lo dice poche ore dopo che il suo regime, come captatio benevolentiae, ha fatto saltare col tritolo un generale russo e il suo vice a Mosca. Ma soprattutto lo dice chi ha firmato nell’ottobre 2022 un decreto che proibisce ogni negoziato con Putin, organizzando poi “conferenze di pace” senza la Russia.
Rutte, segretario Nato, rutta: “Se parliamo troppo di pace, avvantaggiamo i russi”, cioè quelli che han vinto la guerra. Poi ripete a pappagallo, come se fossimo nel febbraio 2022, che “Kiev va messa in una posizione di forza per poi decidere quando e come aprire i negoziati”. Mentre lui decide quando e come, i russi stermineranno altre migliaia di ucraini e invaderanno altra Ucraina.
Più stupidi di lui ci sono solo Ursula Bomberleyen e gli scemi di guerra destra-centro-pseudosinistra che l’han votata: totalmente impermeabili al principio di realtà e ora anche alla resa di Zelensky, dopo i 14 pacchetti di sanzioni alla Russia che hanno danneggiato più i sanzionatori che il sanzionato, varano il 15° e preparano il 16°, continuando a raccontarci e a raccontarsi che “più dura la guerra e maggiore sarà il prezzo che l’economia russa dovrà pagare”. Intanto i governi Ue sono alla canna del gas e cadono come birilli. Ma la euro-demente annuncia l’invio a Kiev di altri “13 miliardi nel 2025” in omaggio più “18 miliardi di prestiti garantiti dagli asset russi congelati” per “acquistare nuovi armamenti”, il che proverebbe che “la strategia di Putin per gettare Kiev nel disastro finanziario è completamente fallita” (in realtà è l’Ucraina che è fallita, da ben prima di essere invasa). Quindi, anche ora che Zelensky alza bandiera bianca chiedendo agli alleati di spingere Putin alla pace e Trump non vede l’ora, la cosiddetta Ue parla come Badoglio dopo l’armistizio di Cassibile: “La guerra continua”, anche se non la vogliono più neppure gli ucraini. Tutto pur di non ammettere di aver perso la guerra a suon di menzogne e sabotato nell’aprile 2022 il negoziato di Istanbul che avrebbe spuntato per Kiev condizioni molto migliori delle attuali. Crimini di guerra che, se esistesse il diritto internazionale, dovrebbero trascinare dinanzi alla Corte penale anche Biden, Harris, Stoltenberg, Ursula, Johnson, Macron, Draghi e altri presunti leader troppo impegnati a salvarsi la faccia per pensare a salvare vite.

L'Amaca

 

Se l’imputato è l’eros
DI MICHELE SERRA
C’è una simmetria impossibile da ignorare tra il rogo diUltimo Tango a Parigi quando il film uscì, più di mezzo secolo fa, e il veto imposto oggi, giusto a Parigi, da un gruppo di femministe (non esiste il femminismo, esistono gruppi di persone femministe ciascuno dei quali rappresenta una parte e non l’insieme di un movimento che ha quasi duecento anni).
C’è intanto una identità “tecnica” tra i due atteggiamenti. Non siamo di fronte alla critica dell’opera, ma al suo divieto. Qualora altre o altri volessero vedere il film, non possono. Già se la simmetria fosse solamente nella drasticità della pena, nella sua implacabile intolleranza, sarebbe triste: vorrebbe dire che in mezzo secolo di storia culturale non si è trovata una maniera meno incivile di manifestare ostilità verso un’opera, se non pretendere che quell’opera scompaia. La pena di morte comminata alle arti, non altro.
Ma il timore, almeno il mio, è che le due censure non abbiano solamente una parentela metodologica. In entrambi i casi l’imputato è la rappresentazione dell’eros. Nel primo caso l’eros in quanto tale, come generico attentato alla morale. Nel secondo l’eros come sopraffazione del maschio. Una scena di sodomia nel quadro di un amore travolgente e consenziente — ammesso che interessi il quadro.
Maria Schneider se ne lamentò, alcuni anni dopo, imputando a Brando e Bertolucci brutalità psicologica. Nessuno può contraddirla, fu un’esperienza sua e solo sua. Ma si legge, ora, di quella sodomia recitata (ovviamente: recitata) come di uno stupro vero, e ci si domanda quali e quante altre rappresentazioni dell’eros possano ricadere in quel novero infame. Stia molto attento, di qui in poi, chi osa raccontare l’eros senza la vidimazione delle varie autorità morali.

mercoledì 18 dicembre 2024

Scusi Basaglia!

 



Tanta roba!

 



Beccatevi questo!

 



Finanziamenti

 



Natangelo

 



La Maga

 



Robecchi

 

Centristi anonimi. Si allunga la coda di federatori: sarà specialità olimpica
di Alessandro Robecchi
Chiedo scusa se parlo di una cosa che non c’è, ma cercate di capire, il mondo è pieno di cose che non esistono, tipo gli unicorni, le fate e il centro. La differenza è che nessuno sano di mente si sogna di federare gli unicorni, mentre invece per federare il centro, in Italia, c’è una coda lunga tipo Caritas, e per ora il lavoro degli aspiranti federatori del centro è attaccare gli altri federatori del centro dicendo che non federerebbero il centro bene quanto loro. Non sfugga l’importanza del tema, perché tra federatori in pectore, comprese le famiglie, figli, parenti stretti, parliamo di un centinaio di persone, tutte di buon reddito e discreta cultura generale. Si aggiungano una cinquantina di elettori, divisi in piccole falangi, sette di iniziati e tifosi aggressivi, che si insultano tra loro sui social. Va detto che il fallimento è un’ottima molla motivazionale: più fallisci e più ci vuoi riprovare.
L’ultimo tentativo di federare il centro si è visto alle Europee, dove i centristi si presentavano sfederati e li hanno raccolti il giorno dopo, svenuti. E al di là dei confini della patria, il centro non è che va proprio di moda, diciamolo, vedi l’eroe europeo del centro Macron. Fanno parte degli aspiranti federatori del centro anche persone che non hanno detto esplicitamente di voler federare il centro, come Ernesto Maria Ruffini, capo dell’Agenzia delle Entrate, che se ne va dall’Agenzia delle Entrate per cercare di federare il centro, dal lato cattolico, su cui incombe Romano Prodi, decano dei federatori. Manco a dirlo, tutti gli altri aspiranti federatori del centro hanno reagito al volo: Ruffini non va bene, si metta in coda. Altra candidatura, quella di Beppe Sala, sindaco di Milano, attualmente preoccupato di una legge al voto in Senato che permette alla sua Milano di ristrutturare un pollaio e tirar su un grattacielo senza dirlo a nessuno, che è un grande esempio di efficienza e modernità. Ora non ha tempo, dice, ma appena si libera… Pare una minaccia.
Le new entry devono fare i conti con i federatori del centro laureati, i vecchi del mestiere, cioè Renzi e Calenda, e vabbè, gente che non federerebbe nessuno nemmeno per sbaglio. S’avanza invece la componente ultraliberista, una setta di adoratori di Milei capitanata da Marattin, un ex renziano del settimo giorno che l’ottavo giorno ha sbroccato e si è portato via una decina di indigeni del centro, probabilmente in costume tradizionale.
Tutti questi, con qualche migliaio di sfumature, distinguo e nuance, si vede che mangiano pesante, perché poi sognano una forza politica il cui fine ultimo sarebbe quello di bilanciare il supposto bolscevismo del Pd di Elly Schlein. Dunque – siamo in pieno fantasy – si sbattono come pazzi per una cosa che non c’è, e che serve a combattere un’altra cosa che non c’è: l’eccesso di sinistra nel Paese. In più, a parte genericissimi richiami alla democrazia (“liberale”, mi raccomando), nessuno dice cosa dovrebbe fare, ’sto centro, probabilmente uno Stato cuscinetto tra i patrioti pasticcioni e la sinistra “bolscevica” di Elly. La scommessa è sempre quella: andare a stanare gli italiani che non votano, e che per qualche incomprensibile motivo dovrebbero svegliarsi dal torpore come la bella addormentata a un bacio di Cottarelli, o di Beppe Sala, o del duo Renzi-Calenda, o di Ruffini, o di altri federatori che si faranno avanti nei prossimi mesi, tutti preoccupati e in gramaglie perché secondo loro c’è troppa sinistra, signora mia, ci vuole un po’ di centro.

Dica trentatré

 

33 giorni di terrore
di Marco Travaglio
Mancano 33 giorni all’insediamento di Donald Trump e c’è da temere, anzi da tremare per ciò che potrebbe accadere di qui ad allora. Il Partito della Guerra, ben incistato nell’amministrazione americana uscente e nelle cancellerie europee (purtroppo non tutte uscenti), farà di tutto per impedire l’unica cosa saggia che il presidente eletto intende fare dal 20 gennaio: chiudere con un compromesso l’“assurda carneficina” della guerra fra Russia e Nato in Ucraina. Da quando Trump ha vinto le elezioni, chi vuole allungare e allargare il conflitto ha iniziato ad appiccare fuochi dappertutto. In Georgia, appoggiando la presidente golpista Zourabichvili che rifiuta di sloggiare e riconoscere la débâcle elettorale. In Romania, sostenendo la cancellazione delle elezioni perché al primo turno ha vinto il candidato sgradito. In Siria, dando l’ok all’offensiva dei tagliagole al Qaeda&Isis spacciati per “moderati” come il loro leader Arnaldo Jolani. E in Ucraina, inducendo quel che resta di Biden a dare il via libera ai bombardamenti in Russia con missili Atacms, sempre negato perché definito dallo stesso Pentagono “militarmente inutile”. Ieri poi il servizio segreto ucraino, che non si sa più a chi obbedisca, ha messo a segno e subito dopo rivendicato il più grave attentato oltre confine, a Mosca, facendo saltare per la strada con un chilo di tritolo il generale russo Igor Kirillov e il suo vice.
Un gesto fatto apposta per innescare una nuova escalation: nessun vantaggio sul campo di battaglia, dove Kiev perde sempre più terreno; solo una prevedibile rappresaglia russa commisurata al grado degli ufficiali assassinati. L’ennesimo ostacolo al negoziato che non solo Trump&C., ma anche Zelensky e Putin, danno per scontato. Naturalmente la cosiddetta Europa continua a tacere sul regime terroristico che da dieci anni l’Occidente si alleva in seno a suon di armi, miliardi e spie e che, quando arriverà il cessate il fuoco, andrà demilitarizzato per evitare che continui a compiere attentati in patria e fuori (come la distruzione dei gasdotti Nord Stream, gli assassinii di Daria Dugina figlia del filosofo putiniano, di Korotky capo della sicurezza della centrale di Zaporizhzhia, dell’ex deputato socialista Kiva, del blogger Tatarsky, il tentato omicidio dello scrittore Prilepin e il sostegno ai gruppi jihadisti Qaeda in Niger, Mali, Burkina Faso e Siria). Resta da capire se Zelensky, mentre tenta di ingraziarsi Trump e prepara il suo popolo a durissimi sacrifici territoriali, abbia avallato l’ultima provocazione dei suoi 007, o se l’ala più oltranzista del regime l’abbia messo di fronte all’ennesimo fatto compiuto. Sia come sia, il leader ucraino nato come figura comica sta finendo come figura tragica.

L'Amaca

 

La vera egemonia culturale
DI MICHELE SERRA
Brutti e ridicoli, così appaiono al mio sguardo i camorristi (e apparentati) che esibiscono sui social barche e tatuaggi, macchinoni e catenoni. Burini mai visti. Supercafoni entusiasti di esserlo. Poche cose mi sembrano brutte e ridicole come l’estetica della criminalità.
Ma il mio sguardo è quello di un vecchio italiano di educazione mezzo borghese e mezzo comunista, che considera belli Berlinguer e Picasso, la Costituzione e il cinema, le librerie e le passeggiate in montagna. Dunque mi sento, diciamo così, un giudice di minoranza (eufemismo per non dire: uno sconfitto) rispetto allo spettacolo, che mi sembra orrendo, di Gomorra che mostra i muscoli, e spesso anche le panze, per fare colpo sui social, e reclutare i giovani per emulazione.
L’indotto, ancora più miserabile, è quello dei vari cultori della “riccanza”, anche gli incensurati, che riescono a essere supercafoni tanto quanto i boss, ma senza rischiare la galera. Pure vigliacchi.
Se ne deduce che la sola vera lotta per l’egemonia cultuale non è tra la destra e la sinistra, ma tra il brutto e il bello. Ho l’impressione (ma ripeto, è un’impressione di minoranza) che il brutto, nel momento dato, sia in largo vantaggio.
Mi emozionai, tanti anni fa, quando nel covo di un boss di camorra (non mi ricordo il nome) vennero trovati dei libri. Si avvistarono, nei servizi del telegiornale, addirittura delle copertine Adelphi. Pensai che finché un boss legge un libro “vero” un guizzo di luce è ancora vivo, in mezzo alle tenebre. Ma provate a scovare, nella chiassosa produzione social dei gomorriani, qualcosa che assomigli a un libro; o che alluda al bello. Non lo troverete.

martedì 17 dicembre 2024

Tristemente


Il 6,1% degli italiani non sa chi sia l’autore della Divina Commedia.

Il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de «I promessi sposi».

Il 41,1% crede che Gabriele D’Annunzio sia l’autore «L’infinito».

Inutile dirvi le percentuali riguardo a chi abbia dipinto la Cappella Sistina.

Nessuno sa le capitali dei principali stati europei, né sa fare 7x8.

Queste sono le persone che guideranno il nostro futuro.

Questi numeri non me li sono inventati io. 
Sono l'ultimo Rapporto Censis, appena uscito.

E aggiungo: siamo finiti. 
Non c’è modo di tirarci su se non attraverso infiniti sforzi e sacrifici.

I soliti esterofili diranno che il resto di Europa sta meglio. 
Ma no, ma no, siamo tutti rovinati. 
La gente non sa fare 2+2, non sa scrivere nella propria lingua, non sa dire una frase di senso compiuto senza balbettare.

A questo punto potremmo dire che la scuola sia una Fabbrica di Ignoranti.

Io sono sempre tanto gentile ma anche tanto realistico e mi permetto di essere molto più cattivo: il trionfo dell’ignoranza comincia in famiglia.

Trionfa quando per un giorno intero non abbiamo letto un libro. 
Trionfa quando un bambino ci fa una domanda e non ci mettiamo insieme a lui a indagare e a soddisfare la sua curiosità.

O quando guardiamo la televisione: quelle facce brutte che dicono banalità. 

O quando invece di documentarci seriamente su un problema di attualità ci guardiamo dieci talk show di gente ridicola che grida.

Trionfa tutte le volte che, invece di darci da fare, ci lamentiamo.

La tua città è ignorante? 
E apri un'associazione culturale.

La conversazione ti annoia? 
Tira fuori un argomento interessante.

Nella tua città non ci sono libri? 
E crea un punto di book-crossing.

E si rubano i libri? 
Ottimo! Mettine altri.

Lamentarsi è troppo facile.

E quando si conversa, non avere timore a parlare di arte, fisica quantistica, biologia, storia, enologia, non avere timore a dire quello che sai. 

Non dobbiamo sempre dire caz*ate con la bocca piena di spritz scadenti e patatine, qualche volta possiamo anche fare conversazioni nobili e belle.

Nicola Pesce (✍ scrittore)

Vamos!


Entrare nell’alveo ospedaliero per ragioni materne e percepirne la fragilità delle strutture, l’impegno del personale che come anguille si battono per rimanere nell’ambito della decenza, e sapere che invece di sostenere la sanità pubblica dovremo assecondare le voglie di un pazzo biondastro, aumentando le spese militari al 2,5% del Pil, come l’insano omone belligerante, e pure fascista, sta profetizzando, mi provoca foruncolosi nell’animo, portandomi ad apprezzare oltremodo personaggi come il “Che” e di Vladimir Il'ič Ul'janov, con le consequenziali idee rivoluzionarie, assolutamente non tenere né stucchevoli. 
Jingle Bells!

Sempre così!


Miliardi di sangue: dittatori col malloppo e vie di fuga dorate

Il destino si capovolge, il potere diventa bolla d’aria. Le teste, scolpite nel marmo, fuse nel bronzo, rotolano dai piedistalli nel rito collettivo delle folle esultanti

di Pino Corrias

Il macellaio siriano Bashar al-Assad in fuga a Mosca con il malloppo è solo l’ultimo scandalo, conficcato nella tetra tradizione dei tiranni in fuga. Perché al netto di tutte le atrocità compiute – i mattatoi, le carceri, le fosse comuni, gli esiliati, gli affamati, i torturati, gli scomparsi – i re e i dittatori, nel momento supremo della fuga diventano quello che sono, dei ladri sorpresi con la refurtiva. Dei vigliacchi che corrono lontano dai palazzi con le mogli complici, qualche volte le amanti, le tasche piene di soldi e se potessero anche con la bocca spalancata a inghiottire l’ultimo oro, gli ultimi diamanti, per riempirsi lo stomaco e il cuore e l’anima, imprigionati per una volta anche loro dentro l’identico terrore che per megalomania, narcisismo maligno, crudeltà, si sono divertiti a infliggere ai rispettivi popoli perseguitati.
Non contano più le ideologie, la religione, i libretti rossi o verdi, le parole d’ordine nazionaliste che hanno segnato la loro ascesa nel sangue. Quando la Storia sbanda, si capovolge, evolve, il loro potere diventa una bolla d’aria. Le loro teste, scolpite nel marmo, fuse nel bronzo, rotolano dai piedistalli in quel rito collettivo e sempre identico delle folle che esultano. Lo abbiamo visto nelle piazze di Teheran, Baghdad, Tripoli, Mogadiscio, prima che a Damasco. Un rito in definitiva magico. Nutrito insieme di furore e ingenuità perché pretende di cancellare il passato, strappandone una effige e di rifondare il futuro issandolo su quel piedistallo finalmente vuoto, quasi mai sospettando la frustrazione futura.
Tiranni con i rispettivi monumenti edificati e distrutti si alternano lungo tutto il Novecento, segnato dalle rivoluzioni, dalle guerre mondiali, dall’assalto occidentale alle foreste, alle miniere e alla manodopera dell’Africa fino ai giacimenti di petrolio nascosti nei deserti del Medio Oriente e del mondo arabo.
Il secondo dopoguerra cancella i tesori delle case reali di Belgrado, Bucarest, Sofia. Nascono gli imperi americano e sovietico che si scontrano prima in Corea, poi in Indocina. Poi in tutto il resto del mondo. I sovietici riempiono le loro piazze con le statue di Lenin e di Stalin, oltre a stendere il filo spinato intorno alla vita quotidiana dei loro popoli. Gli americani, istruiti dalla dottrina Kissinger, riempiono il Sud America di altrettanti uomini di marmo, per lo più generali, in Brasile, Paraguay, Bolivia, Nicaragua, Cile, Argentina. Gran parte di loro fuggiranno con le casse e gli aerei pieni di lingotti d’oro o i conti miliardari sepolti nelle banche off-shore, Pinochet a Londra, la famiglia Somoza a Miami, Fujimori in Giappone, Stroessner in Brasile.
Fino a quando, nell’Europa della Guerra Fredda, è stato il Muro di Berlino a crollare e a trascinare con sé altri marmi ridotti in polvere, con dittatori al seguito. Tra i primi quello del presidente della Romania Nicolae Ceausescu, detto “il genio dei Carpazi”. Le immagini dei rubinetti d’oro del suo castello hanno fatto il giro del mondo, emblema delle immense ricchezze che aveva accumulato in un paese ridotto alla fame. Lo fucilano la notte di Natale del 1989, portato davanti al plotone d’esecuzione mentre canta l’Internazionale e accanto a lui la moglie Elèna grida “Fottiti!” al soldato che la guarda ridendo.
La parabola di Assad non si discosta dalla comune vergogna dei tiranni, volato via da Damasco, destinazione Mosca, con le casse piene di lingotti e dollari estratti direttamente dal sangue dei siriani. Oltre al bottino messo via nel mezzo secolo di regno e di terrore ereditati dal padre che fu peggiore tagliagola di lui, un patrimonio stimato in 34 miliardi di dollari tra investimenti immobiliari, traffici di droga captagon, armi, finanziarie schermate, banche svizzere.
In altrettanti miliardi è contabilizzato il bottino di Ben Alì, il rais tunisino che nell’anno 2011 si lasciò alle spalle i fuochi libertari della Primavera per nascondersi nella sua villa in Arabia Saudita, portando con sé una tonnellata e mezzo in lingotti d’oro, più i tesori immobiliari accumulati da società anonime domiciliate in Qatar, Emirati, Argentina, Isole Vergini, Cayman.
Qualche volta la morte arriva prima del bottino. È capitato a Saddam Hussein, dopo una fuga durata sei mesi, catturato dagli americani dentro a un buco scavato sottoterra, dalle parti di Tikrit, il suo villaggio natale, processato da un tribunale speciale iracheno, impiccato alla fine dell’anno 2006. Destino più veloce e più crudele toccò a Gheddafi, in fuga da Tripoli dopo i bombardamenti occidentali e la rivolta delle milizie. Catturato e linciato il 20 ottobre 2011, in un canale di scolo, dove si nascondeva alle porte della città di Sirte. Mai contabilizzato il tesoro che aveva nascosto in giro per i forzieri del mondo nei quarant’anni di dittatura: migliaia di milioni di dollari, sicuramente, oltre ai 14 miliardi di euro depositati nelle banche del Belgio.
L’intera Africa è una sequenza di dittatori in fuga con il malloppo, al diavolo i rispettivi popoli condannati a guerre e guerriglie permanenti. Da Amin Dada al leggendario Bokassa, imperatore centroafricano, tutti riparati nei paesi arabi o in Svizzera, con sequenze di Rolls-Royce e Lamborghini al seguito e mogli cariche di gioielli e figli prepotenti allevati dentro a illimitati palazzi.
E noi? Non abbiamo sfigurato in questa gara della vergogna. Il nostro re Sciaboletta, Vittorio Emanuele III, il 9 settembre del ’43, se ne scappò verso Pescara con 5 automobili al seguito così piene di argenteria da abbandonare alla vendetta dei tedeschi non solo il popolo e l’esercito italiano, ma finanche i camerieri. E due anni dopo, il suo degno compare, Benito Mussolini, fu catturato tremebondo, travestito da soldato tedesco con le tasche piene di sterline inglesi e i sacchi di iuta gonfi d’oro. Un ladro senza onore che i furori della guerra si incaricarono di giustiziare all’alba del 28 aprile 1945 insieme con Claretta Petacci, e poi di esibire a Milano, in piazzale Loreto, nello stesso punto in cui, dieci mesi prima, le sue bande di fascisti avevano fucilato per rappresaglia 15 milanesi, i loro corpi lasciati sull’asfalto, presi a calci e sputi. Rito che si sarebbe ripetuto davanti alla folla di Milano liberata, accanto a quella identica macchia di sangue versato, che più dell’oro è lo scandalo dei dittatori, la loro radice, qualche volta il loro destino.

Pennivendolerie

 

Fate la carità
di Marco Travaglio.
Miracolo! Ieri, per la prima volta dai tempi del Conte-2, tutti i giornali di destra, centro e sinistra attaccavano il governo. Per l’aumento mensile medio di 1,8 euro alle pensioni minime? Per l’aumento mensile medio di 7.193,11 euro a 8 ministri e 9 sottosegretari non parlamentari più 1.200 per spese telefoniche e viaggi e un’altra barcata di soldi per nuovi assistenti e consulenti? Per l’abolizione del Reddito di cittadinanza a chi non ha nulla e l’ulteriore stretta sull’indennità di disoccupazione? Per il record della povertà più alta e dei salari più bassi? Per l’affossamento della norma contro chi (uno a caso) sta in Senato e prende soldi da Stati esteri? Per il salva-grattacieli abusivi di destra&Pd? No. Lo sdegno unanime è per una delle poche cose giuste fatte dal governo in 26 mesi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali che FI (ramo d’azienda del primo gruppo editoriale) vuole portare a 136,6 milioni e il Pd&Iv a 145,6, ma che il governo ha ridotto a 20. La Fieg (Federazione editori giornali) riempie pagine autopromozionali per battere cassa “a tutti i Parlamentari italiani”, paragonando la carta stampata a settori finanziati dallo Stato che non c’entrano nulla: edilizia, cinema, musica, teatro, danza (si scordano l’automotive per non offendere gli Elkann). E il fatto stesso di azzardare quel paragone blasfemo è la miglior prova che non si ha la più pallida idea di cosa sia l’informazione: il “quarto potere” che deve controllare gli altri – governo, Parlamento, partiti di maggioranza e opposizione, magistratura, finanza ecc. – dunque l’ultima cosa che dovrebbe fare è mettersi in condizione di farsene ricattare, piatendo fondi pubblici col cappello in mano fuori dai palazzi della politica.
Chi poi impartisce lezioni di “libero mercato”, brandendo financo la motosega di Milei, dovrebbe sapere che non c’è mercato meno libero di quello in cui giornali senza lettori campano e ingrassano coi soldi dello Stato (cioè dei cittadini che non li leggono e non li comprano), e fanno concorrenza sleale a quelli che si reggono sul mercato con le proprie gambe, cioè coi propri lettori. Mai che si pongano la domanda giusta: non sarà che il giornalismo è sempre più sputtanato perché sta dalla parte del potere per farsi finanziare? Appellandosi ai parlamentari “affinché votino gli interventi per garantire effettività all’art. 21 della Costituzione e al Pluralismo (maiuscolo, ndr) dell’informazione”, la Fieg scambia il pluralismo e gli altri valori tutelati dall’articolo 21 per merci acquistabili nei supermarket di Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama. La libera stampa si difende battendosi contro le leggi bavaglio, non nascondendole o difendendole per poi chiedere la carità a chi le approva.

L'Amaca

 

Ma a che serve la fanfara?
DI MICHELE SERRA
Se le parole contro l’opposizione fanno parte della ritualità politica più scontata (al pari di molte delle parole dell’opposizione contro il governo), quello che non si perdona e soprattutto non si capisce, della prosa di Meloni, è il trionfalismo. Perché esporsi così spericolatamente, perfino così ingenuamente, parlando di un Paese invecchiato e in affanno come se fosse una locomotiva in corsa, e addirittura “un esempio per l’Europa”?
Non lo è, non lo siamo. E non per fare un dispetto a Meloni, ma perché stiamo attraversando anni difficili e semi-depressi, con l’industria che vacilla in molti comparti decisivi, sanità e scuola che stringono i bulloni per non perdere troppi pezzi, una natalità asfittica a causa delle asfittiche condizioni delle giovani coppie (non ci fossero gli immigrati saremmo tra breve una comunità di bacucchi) e un umore complessivo che, se non è proprio pessimista, è stagnante, perplesso, incerto.
Si capisce che un governo tenda a mantenere alto il morale, ma fino a che punto? Non al punto di mentire al Paese (dunque anche ai propri elettori) dipingendo un percorso dorato, irreale, una vanteria che alla fine — tra l’altro — si ritorcerà contro chi l’ha sbandierata.
Quanto sarebbe bello, consolante e alla fine rassicurante essere governati da persone che non nascondono le difficoltà, non occultano gli ostacoli e anzi li indicano, come è onesto fare. Che ci parlano come si parla agli adulti e non ai bambini, che non alzano la voce se non per gravi ed eccezionali ragioni, che considerano più importante avere cura della realtà che organizzare fanfare.