giovedì 16 maggio 2024

Sfottò

 


Tanto per dire

 


Lucidamente

 

Teste lucide
di Marco Travaglio
Per dire in che mani siamo, noi dell’Impero del Bene intendo, ecco due notizie che fanno ben sperare nella terza guerra mondiale. Il “liberale” Charles Michel, la testa più lucida dell’Ue (ma solo perché l’altra è la von der Leyen), dice che per le alleanze post-voto “conta solo la sostanza”. Cioè vanno bene “anche partiti definiti di estrema destra”, che vantano “personalità con cui si può collaborare”, purché “siano pronti a cooperare per sostenere l’Ucraina, difendere i principi democratici e rendere l’Ue più forte”. L’idea di allearsi coi nazifascisti per difendere la democrazia potrebbe apparire lievemente contraddittoria, ma non se per “principi democratici” s’intendono le armi all’Ucraina, che ha abolito i partiti di opposizione e schiera battaglioni neonazisti.
Il “democratico” Antony Blinken, la testa più lucida degli Usa (ma solo perché l’altra è Biden), ha reso visita a Zelensky (visto che Netanyahu ormai lo prende a calci) per preparare le esequie di Kharkiv e di qualche altro migliaio di giovani ucraini. Ma è apparso sorridente anche se, notano le gazzette atlantiste, un po’ “preoccupato” per la Caporetto in corso. Ha annunciato i nuovi armamenti, mentre Kiev segnala di aver “finito i soldati” e non ha più neppure le trincee perché i 170 milioni appena stanziati dalla Nato se li sono fregati i soliti corrotti locali. E, sulle ali del buonumore, ha imbracciato una chitarra e ha cantato un brano di Neil Young con una band punk-rock in un pub di Kiev. Purtroppo non s’è neppure accorto di aver scelto, del cantautore canadese, uno dei brani più feroci sulla società Usa: Rockin’ in the Free World. Alla fine della cantatina, con notevole senso dell’opportunità, ha salutato caramente i soldati ucraini, che “combattono anche per noi”, cioè per procura. E la cosa è molto piaciuta alla testa più lucida dell’italo-atlantismo, Paolo Mieli: “Blinken, a Kyiv, ha buttato via l’abito gessato e l’aria da bravo ragazzo e con jeans e maglietta è andato in un pub dove ha cantato Rockin’ in the Free World. Questa cosa ha fatto più per l’Ucraina che la promessa di nuove armi”. A saperlo prima, l’Occidente poteva risparmiare i 322 miliardi di dollari fin qui buttati per Kiev e, al posto, spedire chitarre elettriche e impianti karaoke. O magari organizzare Sanremo, l’Eurovision o Castrocaro sulla linea del fronte. Ma per gli esausti soldati ucraini sopravvissuti alla carneficina dev’essere stato un bel sollievo apprendere che Blinken canta e suona bene: un effetto elettrizzante paragonabile soltanto a quello della celebre visita di Marilyn Monroe 70 anni fa ai marines in Corea. Il guaio è che la voce si è sparsa anche fra le truppe russe, che stanno accelerando la marcia su Kiev via Kharkiv per non perdersi il prossimo concerto.

L'Amaca

 

Qualche dubbio sui dress code
DI MICHELE SERRA
Ogni volta che ci si imbatte in un dress code è inevitabile pensare quanto sia ottusa e soffocante l’intenzione di uniformare (mettere in uniforme) l’umanità, che è per definizione varia e indomabile. E più il dress code èminuzioso e si dilunga su dettagli anche trascurabili (vedi quello dei vigili urbani di Roma, che dà indicazioni anche sul colore dei capelli e la lunghezza delle basette), più viene voglia di ripudiarlo, e farsi due risate.
Ma devo confessarvi una cosa. Posto che l’idea stessa del dress code rivela una volontà ordinatrice, tanto più patetica quanto più evidente è il pittoresco trionfo del disordine, mi capita sempre più spesso di comprendere le intenzioni di chi lo propone; e quasi di solidarizzare con lui. Nell’epoca della massima espansione della libertà individuale, in tutte le sue manifestazioni, non sempre confortanti, sapere che qualcuno tenta disperatamente, spesso goffamente, nonché vanamente, di mettere un argine all’esuberanza dell’io, un poco mi rassicura. È come cercare di restituire una forma sociale riconoscibile a una società che delle forme non sa più che farsene. Nella società dell’io, che rilevanza può avere qualunque incursione del “noi”?
Non c’è dubbio che ci sia qualcosa di reazionario nella pretesa di rimettere in riga qualcosa o qualcuno quando oramai è il “rompete le righe” ad avere stravinto. Ma il dubbio che voglio condividere con voi è questo: non ci sarà anche qualcosa di rivoluzionario, nella convinzione che le scelte individuali non siano sempre insindacabili? Ogni dress code riconduce l’immagine di ciascuno a un obbligo collettivo.
E devo proprio dirlo fuori dai denti: “obbligo collettivo” è un’espressione nei confronti della quale provo molta indulgenza.

mercoledì 15 maggio 2024

Gran bel casino!




Tutto ok!


Mentre stanno per vietare gli strumenti per intercettare i balordi mestieranti in politica, che equivale a togliere la pipa a Maigret o a stordire Poirot, s’avverte tutto intorno la melassa del garantismo, con i marescialli ciacolanti su diritto e certezza della pena, i famosi paraventi ecclesiali al tempo di Testa a Pera Ruini durante l’Era del Puttanesimo, come se andare questuanti nello yacht di un gestore onnivoro di affari fosse normalità per l’attuale idea di far politica. Tutto normale, tutto regolare. Per il bene della collettività. Vamos!

Prima Pagina

 


Sappiatelo!

 


Robecchi!

 

Bulli e pupe. In questo cinepanettone genovese è la risata che fa Cassazione
di Alessandro Robecchi
Capisco bene l’irritazione per gli affari di pochi farabutti oliati con soldi di tutti, cioè nostri, le infiltrazioni mafiose, i favori, le cortesie per gli ospiti, le spartizioni decise sugli yacht, le porcherie, la corruzione, gli affidamenti agli amici, ai figli, i bracci destri, sinistri, e tutta la merda del nostro scontento. Va bene, non è una cosa nuova, non ci stupiremo per questo. E nemmeno per le reazioni: eh, piano, piedi di piombo, terzo grado di giudizio, presunzione di innocenza, cose-che-si-dicono-al-telefono, e tutto il campionario che balza fuori ogni volta che si becca un potente, e che manca all’appello per gli sfigati. Se ci fate caso il famoso ipergarantismo, come tutto il resto, è una questione di reddito, se ne fa gran dispiego a corrente alternata, perché quando c’è da giudicare un poveraccio, invece è tutto un pene esemplari e buttare la chiave.
Lo so, non vi dico niente di nuovo. Ed è anche per questo che non intendo qui parlare di indagini, processi, giudici, interrogatori e cose così, come si dice: la giustizia faccia il suo corso, ma mi preme invece cogliere il lato per così dire culturale della faccenda, deprimente tanto quanto.
Letta qualche intercettazione, qualche sintesi dei giornali, spiluccando qui e là nella mediocretta weltanschauung dei coinvolti – indagati e non – ci ritroviamo in bilico tra suggestioni letterarie e para-letterarie, più o meno nobili, più o meno sconvenienti. I più colti potrebbero trovarsi catapultati nei racconti esilaranti di un Damon Runyon, quello di Bulli e pupe e di altri mirabolantissimi racconti. Roba magistralmente scritta negli anni Venti e Trenta, piena di biscazzieri, gangster, proprietari dei moli sull’Hudson, signorine allegre, Casinò e dollari facili.
C’è il riccone che chiede due ragazze per i massaggi, anzi tre, c’è quello che regala la borsetta firmata, o il braccialetto, o le fiches per giocare alla roulette. Poi c’è il traffichino a corto di soldi che chiede un aiuto per il matrimonio della figlia, e qui sembra proprio di leggere Runyon, “Ero sulla quarantaduesima pensando a meno che niente, e mi mancavano 13.000 verdoni per fare felice la mia bambina”. Chapeau!
Ma qui voliamo alto, signori, conviene planare un po’. Perché poi si inserisce nella faccenda il filone italianissimo del cinepanettone, dato che a Montecarlo ci va “la soubrette”, e pure la “donna del martedì” (giuro, ndr) e il riccone ha il problema di non farlo sapere alla sua donna, così chiama quell’altro di stare attento e non farsi scappare che ci sarà M.V., la romagnola di 32 anni che viene dritta da Cesenatico.
Puro Neri Parenti, vanzinismo applicato, con la signora X che vede (sui social) il braccialetto al polso della signorina Y e si inalbera per lo sfregio, sapendo che è stato comprato a Monaco, perché a Genova Cartier non c’è (dannazione). E pare di vedere i Boldi o i De Sica in mutande sul cornicione mentre tentano la fuga. E le cene, e lo champagne, e la vita dorata, e l’albergone con tante stelle, e come si diverte questa classe dirigente che non dirige niente se non i cazzetti suoi.
Insomma, un quadro desolante che più non si potrebbe, desolanti i desideri, desolanti le ambizioni, desolanti i simboli di ricchezza e potere, desolante la portata culturale, sia della politica che dell’imprenditore che se la compra con due aragoste e un braccialettino. Come vedete, il codice penale non c’entra. niente, per il ridicolo non ci sono tre gradi di giudizio, è la risata che fa Cassazione

Daje Marco!

 

Bagasce&troioni
di Marco Travaglio
Uno dei mille aneddoti svelati da Antonio Padellaro nel suo strepitoso libro Solo la verità lo giuro (Piemme), riguarda l’ex ministro dei Trasporti Claudio Signorile, leader della “sinistra ferroviaria” del Psi. Che 40 anni fa, a proposito di uno dei tanti scandali alle Fs, anticipò a lui e a Paolo Graldi la linea difensiva della banda Toti: quella delle mazzette fatturate, dunque “trasparenti” e lecite. Ma si era raccomandato: “Ragazzi, è roba confidenziale, non scrivete una riga”. Oggi invece gli scudi umani, cioè gli avvocati, ministri, politici e giornalisti appesi agli specchi delle tangenti alla genovese, quella sesquipedale minchiata giuridica la sbandierano ai quattro venti. In Parlamento, in tv, sui giornali, sui social. E con l’aria indignata, come a dire: dove andremo a finire, signora mia, se un pubblico amministratore non può più nemmeno vendere la sua funzione a un imprenditore e un’ora dopo passare dalla barca alla banca per incassare la rispettiva tangente tracciabile e fatturata. Delle due l’una: o ignorano il Codice penale e la legge sul finanziamento ai partiti, che parla di “erogazioni liberali” (cioè spontanee e disinteressate) dai privati, non di norme o delibere o concessioni o licenze vendute un tanto al chilo; oppure sanno tutto, ma se ne infischiano e fanno come Toti&C. Nel qual caso farebbero meglio a costituirsi nella più vicina caserma, confessare e patteggiare prima di essere beccati anche loro.
I più spiritosi invocano il “primato della politica”, come se le foto e i filmati della Guardia di Finanza al porto di Genova non l’avessero immortalato a sufficienza. Un incessante e imbarazzante pellegrinaggio di politici di destra, di centro e del solito Pd su e giù dallo yacht di Spinelli, lasciando spesso fuori i cellulari perché non si sa mai, ignari dei trojan ma non dei “troioni” e delle “bagasce” che la cricca metteva gentilmente a disposizione per viaggi all inclusive, pagando pure le borse griffate e gli orologi che i pubblici amministratori straccioni fingevano di regalare a proprie spese. Sono trent’anni che, appena finisce dentro qualcuno dei suoi, la banda del buco rivendica il “primato della politica”. Ma quello sbagliato, sulla magistratura: come se la politica fosse al di sopra della legge. Non quello giusto, sull’economia e le lobby: infatti tutti gli scandali nascono da politici genuflessi a chi li paga. Quelle processioni sulla passerella del “Leila2” ricordano Fantozzi e Filini sullo yacht del direttore magistrale duca conte Pier Matteo Barambani, che finge di invitarli a un weekend in barca perché “la mia famiglia siete voi” e poi li adibisce a mozzi di bordo chiamandoli democraticamente “i miei poveracci, i miei pezzenti, i miei cari inferiori”. Le vere bagasce, i veri troioni sono loro.

L'Amaca

 

La democrazia che noia
DI MICHELE SERRA
Ameno di pensare che la metà della popolazione georgiana sia al soldo delle potenze occidentali (sui social sicuramente è una rivelazione accreditata), da quelle parti, a quanto pare, moltissima gente vorrebbe sentirsi europea, non è attirata nemmeno un po’ dalle maniere vigenti nella vicina Russia, e manifesta per questo: correndo dei rischi sicuramente imparagonabili a quelli, piuttosto blandi rispetto ai loro, che qualunque cittadino europeo corre opponendosi al proprio governo.
È più o meno quanto accadde e accade in Ucraina — mi scuso per la semplificazione, serve solo per capire che effettivamente, in quella vasta e varia fascia di Eurasia che sta a mezzo tra Est e Ovest, ci si sente in bilico tra due destini, e due maniere di vivere. Ciò che Putin e il suo cappellano militare, il mai abbastanza citato pope Cirillo, considerano decadenza e vizio, per milioni di persone, a quelle longitudini, profuma di novità e di conquista.
Chissà se noi europei ci sentiamo davvero coinvolti in quella scelta, che riempie le piazze e accende i Parlamenti a tre ore di aereo da casa nostra. È come se considerassimo scontati, una vuota formalità, diritti e conquiste che ancora grondano il sangue dei nostri genitori e nonni che si sono battuti per la democrazia. Ci sembra vecchio e vuoto ciò che per moltitudini di esseri umani, in giro per il mondo, sarebbe una sconvolgente novità: lo stato di diritto, la fine dell’autocrazia.
È proprio vero che non si apprezza mai ciò che si ha. Se non nel momento, drammatico eppure formativo, nel quale lo stai perdendo. Essere viziati, e annoiati, è la caratteristica fondamentale di ciò che chiamiamo, per convenzione, Occidente.

martedì 14 maggio 2024

Me lo son detto

 


Intervista illuminante

 

“Il caso Liguria insegna: siamo una cleptocrazia”
EX MAGISTRATO E SENATORE M5S - “La maggioranza vuole tappare l’ultima falla rimasta per immunizzarsi: le intercettazioni”
DI ANTONELLA MASCALI
Senatore, alla Camera si voterà l’ordine del giorno per vietare il trojan per corruzione. A palazzo Madama sarà votato il limite dei 45 giorni per intercettare. È un disegno politico per spuntare le indagini e proteggere colletti bianchi e politici collusi?
Dopo la successione di vicende giudiziarie che dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Liguria hanno portato alla luce la progressiva normalizzazione in campo nazionale della commistione tra corruzione e malapolitica, ventre molle delle infiltrazioni mafiose, i partiti della maggioranza hanno impresso una accelerazione alle riforme per correre ai ripari non contro la diffusione della metastasi della corruzione, ma, al contrario, contro il pericolo che altre vicende analoghe vengano alla luce. Bisogna tappare l’ultima falla rimasta nel sistema di autoprotezione che immunizza dal rischio di incriminazione: le intercettazioni. Visto il precipitare degli avvenimenti, occorre concludere in fretta.
Questa corsa per neutralizzare le indagini ci dice che siamo di fronte a una nuova Tangentopoli?
Siamo purtroppo ad una ciclica riedizione di pratiche del passato. Di nuovo c’è l’arroganza di chi invece di emanare una legge seria sul conflitto di interessi e sulle lobby, sta apertamente sdoganando come leciti il conflitto di interesse e la degenerazione della politica in cinghia di trasmissione di occulti interessi di grandi e piccoli comitati di affari, in una forsennata corsa al ribasso che sta ponendo le premesse per una transizione dalla democrazia alla cleptocrazia.
Perché ora è l’imprenditore il dominus e non il politico?
È una replica su scala locale di un fenomeno di portata generale: la subordinazione della politica all’economia, divenuta il nuovo principe.
Il ministro Guido Crosetto ha detto che la magistratura è un potere che non ha più controlli. Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega, auspica un pm asservito al governo. Che lettura dà?
Crosetto prima lamenta che in nessun Paese come in Italia c’è un livello così basso nel rispetto dei ruoli istituzionali, e poi commentando la vicenda giudiziaria che ha portato all’arresto di Toti, da un pessimo esempio personale di questa degradazione del senso delle istituzioni senza tenere conto che l’ordinanza di custodia cautelare non è emessa dal pm, ma da un giudice e senza avere letto una carta del quel procedimento penale. Secondo lui non è bastato avere legalizzato l’abuso di potere finalizzato al voto di scambio con l’abolizione del reato di abuso di ufficio, bisognerebbe normalizzare anche la pratica della prostituzione occulta della funzione pubblica a favore di lobby e comitati di affari in cambio di voti e di finanziamenti, perché ci sarebbe una magistratura politicizzata che si ostina a qualificare tale “innocente” prassi come corruzione, applicando l’art. 318 c.p. Mi pare che forse aspiri a ricoprire una nuova carica: quella di Ministro della Guerra contro la magistratura, mettendo in ombra il Ministro Nordio che sta già svolgendo egregiamente il ruolo di Ministro del disarmo unilaterale della magistratura nel contrasto alla corruzione. E la Lega rivela apertamente la vera finalità dei progetti di riforme costituzionali che riguardano la magistratura: la sua sottoposizione al controllo politico
Pensa che la questione morale non interessi più all’opinione pubblica?
Nei miei dialoghi con la gente registro rabbia e disprezzo per una politica giudicata irredimibile nei suoi vizi. Sentimenti che alimentano l’astensionismo o peggio forme di rassegnato cinismo di chi perviene alla conclusione che il rispetto delle regole sia divenuto perdente e quindi occorre adattarsi perché il pesce puzza dalla testa. Di giorno in giorno la moneta cattiva sta cacciando quella buona.
Senza il trojan non sarebbe esistita l’indagine di Genova. La politica ha paura?
Il divieto del trojan per indagini sulla corruzione è la chiusura del cerchio di altre riforme sulle intercettazioni. Siamo ormai al favoreggiamento per via legislativa della corruzione e del crimine a discapito dei diritti basilari dei cittadini ritenuti sacrificabili in nome della battaglia per la privacy, trasformata in zona bunker che garantisce l’invisibilità dell’esercizio del potere e l’immunizzazione contro ogni forma di controllo penale.
Non ci sarebbe stata l’inchiesta genovese, e non solo, anche con la norma sui 45 giorni di tempo per intercettare….
La riforma è stata votata in commissione Giustizia a tamburo battente senza neppure volere ascoltare gli esperti della materia. Tutte le nostre proposte emendative per limitare i danni sono state bocciate con una alzata di spalle, anche le più ragionevoli e minimaliste, come quelle di escludere da tale tagliola temporale, micidiale per il buon esito delle indagini, i reati più gravi come gli omicidi, i reati da codice rosso, o quelle subordinate di prolungare i tempi sino a 180 giorni o anche 90.

Somarismo

 

Stati senza statisti
di Marco Travaglio
A ottobre, quando scrissi Israele e i palestinesi in poche parole”, pensai che pochi sapessero o ricordassero perché la guerra dei cent’anni era giunta al pogrom di Hamas e alla mattanza di Israele a Gaza. Non sospettavo che i primi a non conoscere la storia fossero proprio i governanti di Israele e i loro sostenitori in Occidente. Altrimenti l’altro giorno non avrebbero negato il Sì alla risoluzione dell’Assemblea dell’Onu che riconosce alla Palestina i titoli per diventare membro effettivo e raccomandare al Consiglio di Sicurezza di rimuovere il veto (dei soliti Usa). Quasi tutto il mondo (143 Paesi) ha votato Sì, mentre Usa, Israele, Argentina e altri sei han votato No e 25 si sono astenuti (fra cui campioni di viltà come Italia, Germania, Gran Bretagna, Canada, Ucraina, Georgia, Olanda, Austria, Svezia, Finlandia, Lettonia e Lituania). “Avete aperto l’Onu ai nazisti moderni dello Stato terrorista palestinese”, ha strillato l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan: “State facendo a pezzi la Carta dell’Onu con le vostre mani”. E l’ha distrutta passandola nel tritacarte. Questo somaro non sa o finge di ignorare – proprio come Hamas e una parte dei filopalestinesi che manifestano contro il “sionismo”, cioè contro il diritto di Israele a esistere – che lo Statuto dell’Onu, siglato nel 1945 dai 51 Stati fondatori, è la fonte del Diritto internazionale che legittima l’esistenza di Israele. Uno dei primi atti dell’Onu fu la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 che a gran maggioranza (33 Sì, fra cui Usa e Urss; e 13 No, gli Stati arabi e pochi altri) spartì la Palestina in due Stati: uno ebraico, uno arabo. Il primo nacque nei confini assegnati dall’Onu il 14 maggio 1948, il secondo no perché la leadership palestinese e i governi arabi vi rinunciarono, ritenendo più urgente cacciare gli ebrei con una guerra che poi persero (come le successive nel 1956, nel 1967 e nel 1973). Il coglione che rappresenta Israele al Palazzo di Vetro (come chi l’ha mandato) non s’è neppure accorto che, distruggendo quella Carta, ha ucciso la madre di Israele (l’Onu) e cancellato il certificato di nascita del suo Stato. E portato altra acqua al mulino di chi ne rimette in discussione la legittimità approfittando delle stragi a Gaza, straparla di “76 anni di occupazione” e reclama lo “Stato palestinese dal fiume Giordano al mare Mediterraneo”.
Trent’anni fa, dopo 27 anni di galera per terrorismo, Nelson Mandela diventava presidente del Sudafrica. E il suo predecessore bianco-boero Frederik de Klerk si degradava a suo vice. Due nemici divenuti statisti per salvare il Paese dal bagno di sangue dopo mezzo secolo di apartheid: infatti vinsero il Nobel. Proprio quello che manca oggi agli israeliani e ai palestinesi in questa carneficina infinita: due statisti.

L'Amaca

 

Il cellulare di Rovazzi
DI MICHELE SERRA
Ieri mattina di buon’ora, come faccio ogni giorno, ho dato una scorsa alle notizie. Mi ha colpito come uno schiaffo il video dello scippo del cellulare del cantante Rovazzi, a Milano, mentrestava facendo una diretta Instagram.
Milano è stata la mia città per una vita intera e tutto ciò che la riguarda mi coinvolge. E anche se so bene, come tutti, che di scippi e violenze ne accadono ogni minuto, quella breve sequenza mi ha procurato disagio e dispiacere.
Ieri pomeriggio leggo che non era vero niente. Nessuno scippo. Era una “trovata pubblicitaria”, come spiega il Rovazzi a un costernato Luigi Bolognini, che essendo un impeccabile professionista esita a dargli del cretino. Provvedo io. Rovazzi, sei un cretino. Perché se anche io fossi il solo che ci è caduto, e si è preoccupato per te, e per Milano, e per il povero ladro che non avendo niente di meglio da rubare ruba il tuo cellulare — pensa che bottino miserabile — beh, tu mi hai procurato ansia, e dispiacere, per un tuo sfizio personale.
Tu potresti essere John Lennon, o l’ultimo dei guitti, ma non hai il diritto di buttare la tua goccia di spavento (per giunta falsa) nel mare di disagio e di malessere (veri) che ci grava addosso. Dai un’occhiata al mondo, Rovazzi, anche se del mondo non te ne può fregare di meno. A Bolognini, che ti spiega quanto la tua trovatina alimenti allarme sociale e conseguenti speculazioni politiche, tu dici: “alla politica non avevo pensato”. E a cosa accidenti pensi, a parte gli affari tuoi? A parte Rovazzi, c’è qualcosa che ti interessa, o ti preme, o ti dispiace, o ti disgusta? Ti sei mai fatto una mezza idea di che cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, a parte la tua ultima canzoncina?

lunedì 13 maggio 2024

Grazie!




Leggere, documentarsi

 

Fratelli, amici, non restate con le mani in mano, documentatevi, ascoltate, leggete, informatevi, che questi se no ci fottono tutti! 

E' questo l'invito di oggi che rivolgo a tutti voi, visto come siamo storditi e abbacinati da una realtà politica sempre più agevolante allo sfascio. 

E allora vi propongo alcune chicche: su Audible ascoltatevi La Cattura il podcast che racconta in maniera fantastica la caduta e l'arresto di Toto Riina, che le fiamme dell'infermo lo rosolino a modino! E' una narrazione perfetta di tutto quanto fecero all'epoca gli uomini eroi del nucleo segreto guidati da Ultimo, che ha la voce di Francesco Montanari, il Libano di Romanzo Criminale. 

Ho scoperto ad esempio in questo podcast la figura di Leonardo Vitale, il quale dieci anni prima di Buscetta raccontò, purtroppo, a Bruno Contrada come Cosa Nostra era formata, i suoi boss, la cupola, Ma non venne creduto e finì in manicomio. Immaginatevi quante morti si sarebbero risparmiate se al posto di Contrada l'avesse audito Falcone o Borsellino! Contrada non gli credette, non so se per amicizia con chi sappiamo o per incompetenza. Resta il fatto che appena uscito dal manicomio fu ammazzato per ordine della Belva corleonese. 

E poi Report di domenica scorsa. Riguardatelo su RaiPlay. Parte dal rapimento Moro, facendo affiorare legami con il potere di allora, arrivando alla stagione buia del 1993, rendendo sempre più visibile la connivenza degli apparati dello stato, delle nazioni cosiddette amiche come l'Inghilterra e gli Usa che temevano l'avvento del Pc di Berlinguer. 

Informatevi, fatevi un'opinione, collegati gli avvenimenti, alzatevi in volo per comprendere meglio misfatti legati tra loro da un'unica matrice, quella di incutere paura per non modificare nulla. Il Gattopardo insomma! 

Buon ascolto e buona visione!  

Gnam Gnam!

 


psssss

 



Con Di Matteo

 


“Gettano la maschera: continuità con Gelli, Berlusconi e Cartabia”
NINO DI MATTEO - Il pm antimafia: “vogliono due giustizie, forte con i deboli e a difesa del potere”
DI GIUSEPPE PIPITONE
Dottor Di Matteo, ha letto le dichiarazioni del ministro Crosetto e del capogruppo della Lega Molinari?
Sì e non sono sorpreso. Finalmente alcuni esponenti della maggioranza hanno gettato la maschera e parlano espressamente di controllo dell’esecutivo sui pm.
Però al congresso dell’Anm il ministro Nordio ha assicurato che l’indipendenza della magistratura non è negoziabile.
Mi sembrano parole vuote: con i fatti porta avanti un progetto opposto. Occorre una visione d’insieme per capire quale è il rischio che sta correndo la nostra democrazia.
A cosa si riferisce?
La riforma Cartabia e quelle del governo Meloni vanno nella stessa direzione. Ed è quella indicata dal primo governo Berlusconi, che a sua volta ha molti punti di contatto con il Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli. Si punta a creare un sistema Giustizia improntato al doppio binario: un diritto penale minimo per i privilegiati e uno massimo per gli altri. Una giustizia classista con uno scudo per il potere.
In che modo si starebbe creando questo sistema?
Da una parte limitando l’incisività delle indagini sui reati tipici dei colletti bianchi. Dall’altra nascondendo fatti rilevanti, grazie a un bavaglio sempre più stretto all’informazione e ai pm.
A proposito di colletti bianchi: questa settimana in Parlamento sarà votato un odg che chiede di eliminare l’uso del trojan per i reati contro la Pa. Lei che ne pensa?
Che così s’indebolisce la lotta alla mafia.
Mai come in questi anni abbiamo capito che mafia e sistema corruttivo sono due facce della stessa medaglia. Invece di sparare, da almeno due decenni le mafie preferiscono corrompere, condizionare le attività delle pubbliche amministrazioni. Quindi spuntare le armi dei pm nella lotta alla corruzione vuol dire indebolire la lotta alla mafia. Chiunque abbia un minimo di esperienza e di onestà intellettuale lo sa. Stiamo vivendo un momento triste.
Cosa intende?
Quando un’inchiesta su politica e criminalità accerta fatti rilevanti, si parla sempre di giustizia a orologeria. Oppure si chiede di aspettare il terzo grado di giudizio. Ma ci sono condotte che dovrebbero subito far scattare l’allontanamento dalla vita politica del soggetto coinvolto. Anche se penalmente non rilevanti. E invece oggi molti personaggi che hanno avuto consapevoli rapporti con la mafia continuano a essere protagonisti della vita pubblica.
A chi si riferisce? A Cuffaro?
Potrei fare almeno una decina di nomi. I rapporti tra parte della classe dirigente e i mafiosi sono molto diffusi. Ma per combattere una situazione simile occorre una magistratura credibile, che abbandoni ogni forma di collateralismo alla politica.
Quindi ha ragione Crosetto, la magistratura è politicizzata?
I magistrati politicizzati non sono quelli che fanno le indagini, ma quelli che su certe inchieste hanno preferito seguire criteri di opportunità politica. Ma è sui primi che una parte del potere ha scatenato una sorta di progetto di vendetta.
Cioè?
Dopo il cosiddetto scandalo Palamara è partito un progetto di rivalsa nei confronti della magistratura, che covava in gran parte della politica, sin dai tempi di Tangentopoli, delle grandi inchieste su mafia e politica dopo le stragi. L’obiettivo è prevenire che in futuro si possano ripetere inchieste simili.
Lei non ha partecipato al congresso dell’Anm, come mai?
Ritengo che la magistratura associata non abbia reagito adeguatamente alla riforma Cartabia. Pur rispettando i colleghi dell’Anm, a partire dal presidente Santalucia, credo sarebbe un errore continuare su questa linea di dialogo. Molti magistrati pretendono posizioni più forti su temi come l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la separazione delle carriere, l’introduzione dei test psicoattitudinali.
Che intende con posizioni più forti?
Proteste più evidenti, come lo sciopero. Non dobbiamo avere paura di denunciare quello che sta accadendo: abbiamo giurato sulla Costituzione e abbiamo il dovere di parlare. Anche per un debito di memoria di tanti uomini dello Stato caduti per applicare i principi della Carta.

Senti senti...

 Il “nullatenente” Angelucci e il suo impero della sanità

IL DOSSIER - Al fondatore non è intestato nulla: il gruppo, gestito dal figlio, ricava il 94% del fatturato e tutti gli utili dalle cliniche
DI GIULIO DA SILVA
Il re delle cliniche private, l’imprenditore che possiede tre giornali di destra (Libero, Il Giornale, Il Tempo) con oltre il 4% della tiratura nazionale dei quotidiani e aspira a comprare l’agenzia giornalistica dell’Eni, l’Agi, il deputato più ricco (e più assenteista) con un reddito lordo di 3.334.400 euro dichiarato per il 2022, è nullatenente.
Stando alle dichiarazioni patrimoniali ufficiali depositate alla Camera, Antonio Angelucci non possiede immobili, terreni, né automobili, moto, barche o aerei. Non possiede azioni o quote di società, non ha cariche di amministratore, pur controllando un impero con più di 3.000 dipendenti e 230 milioni di euro di fatturato aggregato e varie traversie giudiziarie.
L’ex portantino del San Camillo, 80 anni il prossimo 16 settembre, deputato alla quarta legislatura, eletto nella Lega dopo tre mandati in Forza Italia e Pdl, nella dichiarazione del 18 ottobre 2023 afferma di essere solo “parlamentare alla Camera”. Alla casella su attività imprenditoriali, professionali, di lavoro autonomo o di impiego o lavoro privato, Angelucci risponde: “Nessuna attività svolta ma riceve un vitalizio da ente diverso dalla Camera”. In una precedente dichiarazione, del 21 marzo 2018, aveva affermato di essere “deputato” e “imprenditore”, sempre nullatenente. All’inizio della legislatura precedente, il 29 maggio 2013, Angelucci aveva dichiarato di essere “consulente occasionale quale socio fondatore gruppo Tosinvest”.
Le tre Ferrari, la villa a Roma all’inizio dell’Appia Antica con la grande targa sul cancello “onorevole Antonio Angelucci”, un centinaio di metri dopo Porta Sen Sebastiano, dove c’è il quartier generale di un altro potente, Claudio Lotito, le cliniche San Raffaele ufficialmente non appartengono al self made man arrivato a Roma a cinque anni da Sante Marie, il piccolo comune abruzzese nel quale è nato.
In questo riserbo maniacale c’è la cifra di “Tonino” Angelucci, il quale però è molto attivo nel promuovere i propri affari, come testimonia l’attivismo per espandere l’impero editoriale, sfruttando il vento favorevole del governo Meloni. Il segreto del suo successo è l’incrocio tra affari e politica. Se il portafoglio è arricchito dalle cliniche private, 23 strutture con 3.000 letti, soprattutto nel Lazio e in Puglia, ma il 94% dei ricavi proviene dal Servizio sanitario nazionale, il cuore di Angelucci batte per l’editoria. È interessato anche a prendersi La Verità da Maurizio Belpietro e ha fatto avance per comprare Radio Capital da Gedi, ma il vero obiettivo sarebbe convincere John Elkann a vendergli la Repubblica.
Secondo le dichiarazioni depositate alla Camera, Angelucci ha dichiarato di aver percepito negli 11 anni dal 2012 al 2022 redditi complessivi per 42,55 milioni. Sui quali ha pagato imposte nette per 19,27 milioni. Ad Angelucci sono così rimasti 23,28 milioni netti, che corrispondono a un guadagno medio di 2,116 milioni all’anno. Ogni mese sono in media 176.363 euro netti, ovvero 5.800 al giorno. Decisamente non male per un nullatenente. Gli affari della famiglia Angelucci vanno bene, anche se non c’è un bilancio consolidato unitario che mostri in piena trasparenza i conti, eliminando partite infragruppo o trasfusioni finanziarie da una parte all’altra.
Se Angelucci è nullatenente e non svolge attività professionali, da dove arrivano i suoi redditi, a parte l’indennità parlamentare, sui 240mila euro netti all’anno, che rispetto ai suoi guadagni reali sono mero argent de poche? Il bilancio del gruppo San Raffaele spiega che nel 2022 c’è stata la “destinazione al socio fondatore del vitalizio” di 4 milioni: non c’è scritto il nome, ma il beneficiario è lui, Tonino.
Le attività della famiglia sono divise in due grandi filoni societari: la sanità dentro il gruppo San Raffaele Spa, il resto, che spazia dagli immobili e servizi di gestione, manutenzione, pulizia (Natunia), fino all’editoria e alla comunicazione (con Edindustria, rilevata dall’Iri nelle privatizzazioni) nella Finanziaria Tosinvest Spa. Sopra queste società l’assetto proprietario diventa opaco, perché il controllo è esercitato attraverso due società lussemburghesi, la controllante diretta Three Sa e la sua controllante al 100%, la Spa di Lantigos Sca.
Gli ultimi bilanci disponibili sono del 2022. Mostrano che San Raffaele fa utili – 20,56 milioni nel consolidato (9,49 milioni nel 2021) – con un giro d’affari di 159,7 milioni e paga dividendi: nel 2022 ha distribuito 24 milioni ai soci. Nel 2022 la capogruppo San Raffaele ha ceduto il 100% dell’Università telematica San Raffaele di Roma Srl a Multiversity e altre due controllate, con plusvalenze di 173,9 milioni nel consolidato. Il gruppo ha una posizione finanziaria netta positiva per quasi 160 milioni.
Tosinvest ha chiuso il 2022 con un valore della produzione consolidato di 74,3 milioni e una perdita di 959mila euro (dopo il rosso da 6,6 milioni del 2021): un risultato che si scompone in una perdita di 1,18 milioni di competenza dei soci terzi e un utile striminzito di 218mila euro per gli Angelucci. Il gruppo Tosinvest ha un indebitamento finanziario netto di 117 milioni. Tra i debiti finanziari ci sono 242,8 milioni verso il gruppo San Raffaele, per anticipazioni finanziarie erogate alla società con i conti più critici, per un interesse annuo risibile, solo lo 0,01 per cento. La capogruppo Tosinvest Spa ha perso 2,5 milioni nel 2022 e 2,67 milioni l’anno precedente.
I profitti arrivano dalle cliniche, grazie alle erogazioni dello Stato per le prestazioni in convenzioni, mentre il resto soffre soprattutto per il peso dell’editoria, che però è un’attività chiave per esercitare un’influenza politica. Il presidente di Tosinvest è uno dei figli del fondatore, Giampaolo Angelucci, detto Napoleone.
San Raffaele è presieduta da Carlo Trivelli, figlio di due ex deputati del Pci, Renzo Trivelli e Maria Ciai. Tra i manager del gruppo c’è Massimo Fini, fratello dell’ex leader di An Gianfranco, direttore scientifico dell’Irccs San Raffaele Pisana. Gli Angelucci hanno stappato champagne quando Francesco Rocca è stato eletto presidente della Regione Lazio: fino al 2022 faceva parte del cda della loro Fondazione San Raffaele. E dalla Pisana Rocca ha subito ampliato le convenzioni con le cliniche della famiglia dell’ex portantino.
Gli Angelucci sono cresciuti fedeli a un insegnamento di Cesare Geronzi. Secondo l’ex banchiere di Capitalia bisogna avere tanti amici a destra quanti a sinistra. Così, pur schierati a destra, gli Angelucci hanno tessuto ottimi rapporti con Massimo D’Alema. Hanno aiutato il leader dell’ex Pci e Pds nel salvataggio dell’Unità, nel 1998, rilevando il 24,5% della nuova società, l’Unità editrice multimediale, un’avventura durata due anni. La famiglia Angelucci ha colto al volo anche l’occasione per aiutare l’ex Pci a sistemare i debiti, per un valore stimato sui 60 milioni di euro. Il 23 dicembre 2003 hanno firmato il contratto per acquistare, insieme ai debiti del partito, 45 palazzi, tra cui l’ex sede storica del partito, in via delle Botteghe Oscure.
Ricordando la trattativa, l’ex tesoriere del Pci e dei Ds Ugo Sposetti, ha detto: “Noi demmo una bella sistemata al nostro debito…”. Secondo Sposetti “gli Angelucci si dimostrarono persone perbene. Certo, in alcuni momenti si dimostrarono duri (…) complessivamente però si comportarono da imprenditori capaci, seri, molto trasparenti”. I giornalisti dell’Agi che potrebbero essere “venduti” agli Angelucci non sembrano altrettanto entusiasti.

domenica 12 maggio 2024

Nel silenzio



Mi è capitato di leggere un bellissimo racconto su Michel Collins, scomparso nel 2021, pilota dell’Apollo 11 e, per così dire, dimenticato dalla gloria che investì gli altri due componenti la spedizione, Neil Armstrong, primo uomo a scendere sul nostro satellite, e Buzz Aldrin il secondo a toccare il suolo. Ma Michel ebbe un altro e filosofico primato: fu il primo uomo a conoscere la vera solitudine, allorché col modulo attorno alla Luna, si inoltrò nel lato nascosto del satellite che si frappose tra lui e i suoi compagni con nello sfondo la lontana Terra. 
Per quarantasette minuti Michel rimase veramente e filosoficamente da solo, staccandosi dall’umanità intera. Chissà quali pensieri ebbe, cosa impregnò il suo spirito, le sensazioni soverchianti la normalità umana. Chissà se nel suo unico libro scritto vi è riportato qualcosa. A me piace immaginarlo silente e quieto, assaporante il mistero.

Breve riassunto


La vicenda genovese apre scenari golosi per chi, come me, s’ostina a credere ancora nella Politica. Il signor Aldo Spinelli ad esempio, intercettato, che esorcizza i 5 Stelle sognando l’ ammucchiata degli altri, pidini compresi e, in totale euforia, Draghi presidente della Repubblica con la piissima Cartabia al governo, ovvero leggasi la vera repubblica delle banane. Perché tanta avversione verso i Cinquestelle? Ridicolizzati, sminuzzati da quasi tutto il nobile pensiero pluto-tecno-rapto-finanziario, costoro non starebbero ai patti consociativi di ciò che allocchi chiamano ancora politica, in realtà sfera affaristica per mestieranti che lucrano sul bene pubblico. 
Stikazzi! E allora perché non votare proprio loro? Per l’inesperienza frutto del dogma dei due mandati, che dovrebbe essere regola ferrea se s’intendesse la politica come un servizio alla comunità. Ma così non è in questo paese dove la stampa è in mano ai potentati, eccetto pochissimi giornali come il Fatto; per non parlare dei media diretti dalla Fascistina e dalla Famiglia reduce dall’era del Puttanesimo. 
Mentre la ducetta e il peggior ministro della Giustizia dello storia repubblicana stannno tentando di inficiare l’azione della magistratura - “cumunista” solo per il fatto che coglie ancora qualcuno con le mani nella marmellata - depauperando controlli e mezzi investigativi, sorge il solito dubbio pluridecennale, vivo e vegeto dai tempi del gobbo e del cinghialone, inficiante pensieri di speranza nei cuori delle tante persone per bene sequestrate psicologicamente dagli orchi onnivori presenti ovunque nell’avanspettacolo nostrano: “non sarà che Liguria e Puglia invece di essere casi isolati siano dei cretini che si son fatti beccare?” 
Intanto Elly per dare lo scossone sta pensando di candidare, a sostituire Yoghi in regione, Orlando! Una persona onesta, ci mancherebbe. Ma per favore basta! (Voterò certamente i 5 Stelle!)

Prima Pagina

 


Scherzoso

 


Meditativo

 


A pensarci che pazzia!

 

Le Vespe Terese
di Marco Travaglio
Alla demenziale decisione della Schlein di duettare con la Meloni in quella che chiama TeleMeloni, legittimandola proprio nella sua quintessenza che è Porta a Porta, cioè TeleLingua, sono seguite le richieste altrettanto folli dei 5 Stelle e degli altri partiti a Bruno Vespa di inscenare anche per loro siparietti analoghi in nome della par condicio. Come se la par condicio non fosse irrimediabilmente violata proprio dal faccia a faccia fra la premier e la segretaria Pd a due settimane dal voto con l’incredibile avallo di Rai, Agcom e Vigilanza. Ci avevano già provato la Meloni ed Enrico Letta alla vigilia delle Politiche del 2022 e l’Agcom li aveva stoppati proprio in nome della par condicio, tant’è che traslocarono sul Corriere.it (dove fecero dormire tutti). Ora Meloni&Schlein la violano triplamente: perché, diversamente da Meloni&Letta nel 2022, si candidano alle Europee solo per finta; perché alle Europee si vota col proporzionale, ogni partito per conto suo senza coalizioni; e perché non c’è motivo di mettere a confronto due leader alla volta, né di partire con Meloni&Schlein, né di metterle in coppia fra loro e non con altri. Si dirà: valgono i voti delle Politiche. Ma allora con la Meloni dovrebbe duellare (si fa per dire) Letta: nel 2022 la Schlein non solo non era segretaria del Pd, ma neppure iscritta. Se Vespa, alla vigilia delle elezioni del 2013, avesse seguito l’ordine di quelle del 2008, avrebbe invitato B.&Veltroni, salvo poi scoprire dalle urne che i primi due partiti appaiati erano Pd e M5S, che nel 2008 non esisteva e cinque anni dopo balzò da zero al 25,5%. E, se valessero i voti del 2022, sarebbero esclusi Stefano Bandecchi, Cateno De Luca e Michele Santoro.
Quindi la graduatoria vespiana dei leader si basa sui sondaggi? Ma, se così fosse, il leader con più consensi dopo la Meloni è Conte, che stacca sempre la Schlein di 5 o 6 punti. Ma sarebbe assurdo basarsi su dati tanto aleatori. L’unica soluzione equa è sorteggiare le coppie e l’ordine di apparizione. Ma poi, se il numero dei leader è dispari, quello rimasto da solo con chi si confronta: con un cartonato? Con uno specchio? Con un avatar di ChatGpt? Di tanta assurdità si erano accorte persino Meloni e Schlein che, prevedendo un veto dell’Agcom, s’apprestavano ad aggirarlo su Instagram, nel Far West dei social. Invece l’Agcomica ha dato l’insperato ok. Da qualunque lato lo si guardi, il duetto delle due Vespe Terese è una sconcezza contro ogni regola e decenza. E i leader esclusi farebbero bene a non prestarsi come foglie di fico a legittimarlo replicandolo in scala minore nelle serate successive. Lo sketch delle due finte candidate deve rimanere un unicum nella storia, come il Gronchi rosa per i filatelici: un reperto di TeleRegime a imperitura memoria.

L'Amaca

 

La politica in polvere
DI MICHELE SERRA
Sul clima intollerante ed episodicamente poliziesco che si fa largo, una cosa molto giusta la dice Zerocalcare, intervistato a Torino da Fabio Tonacci: “La povertà di conflitto genera società barbariche e chiuse dove ogni espressione di critica diventa qualcosa da reprimere con la galera”. Ovvero: ci siamo progressivamente disabituati al conflitto sociale e politico organizzato (così come alla politica organizzata nel suo insieme) ed è come se si fossero perdute le regole di ingaggio, e con esse il senso delle proporzioni. Le autorità di governo strillano alla censura per la rabbiosa contestazione di una quindicina di ragazzi contro una ministra: che avrebbero detto di fronte alle fiumane di studenti e operai che nel secolo scorso, per anni, hanno invaso piazze e strade urlando slogan non propriamente amichevoli? Avrebbero schierato l’esercito?
Sarebbe intervenuta l’aviazione?
Il conflitto politico si è come polverizzato, ed è finito sui social dove ci si odia individualmente o per piccole tribù o per branchi aizzati da capetti ringhiosi. Un odio-nebbia che non assume mai i connotati nitidi, pubblici, del grande conflitto sociale o ideale. È la morte dei movimenti di massa e la sua sostituzione con una caricatura da cameretta.
Questa vera e propria privatizzazione dei conflitti – tutti contro tutti e ognuno per sé - non solo non compensa in altra forma il ruolo della politica, ma la svuota. E nelle stanze del potere (quello politico e quello economico), ormai abituati a battersi contro nessuno, si resta di stucco al primo segno di antagonismo o di forte opposizione. Il ritorno della politica alla politica - dunque alle idee in conflitto tra loro, ai modelli sociali non conformi, alle differenze che cambiano la scena - non è in vista.
Ogni strillo, invece di essere assorbito in una vicenda più ampia, risuona nel silenzio, e pare uno scandalo essendo solamente uno strillo.

Ma dai?

 

Anche Repubblica se ne è accorta! Finalmente!

LA LOTTA ALLA CORRUZIONE
Le armi spuntate nella guerra alle nuove Tangentopoli
DI GIULIANO FOSCHINI
Se in questi giorni di inchieste e grandi scandali qualcuno vi racconterà che in Italia è tornata la corruzione, voi non credetegli. Perché in Italia la corruzione – dai tempi di Mani Pulite in poi - non se n’è mai andata. Genova oggi. Bari, Torino, Palermo ieri. E prima ancora Roma, Milano. Nel Paese che si prepara all’autonomia differenziata, se c’è qualcosa che non cambia a nessuna latitudine, ecco quel qualcosa è proprio la corruzione.
Secondo stime del centro di ricerca Rand, ogni anno all’Italia la corruzione costa 237 miliardi, circa il 13 per cento del Pil. Si indaga a Nord come a Sud, sono travolte giunte di destra e di sinistra. Si paga con le vecchie e care mazzette in denaro contante o con le “altre regalie” (viaggi, regali di lusso, escort), ci sono i facilitatori e i prestanome, corrompono i mafiosi e i piccoli artigiani, si ruba sui grandi appalti esulle sagre di paese.
Quello che è cambiato, però, è l’approccio dei governi che si sono succeduti. Il governo Meloni, in particolare, sta mettendo a punto tutta una serie di norme e provvedimenti che più che provare a contrastare un fenomeno endemico sembrano voler spuntare le armi a chi quel fenomeno cerca di combatterlo. L’abolizione dell’abuso di ufficio, la nuova formulazione dei reati sul traffico di influenze. E ancora: la limitazione di strumenti di indagine come i trojan per i reati contro la pubblica amministrazione e le norme “di semplificazione” sugli appalti pubblici, sempre auspicate e in parte già realizzate dal ministro Salvini, sono tutti tasselli di un grande mosaico che rende ogni giorno più difficile la vita delle guardie. Più facile quelle di corrotti e corruttori.
Il reportSu questi argomenti è difficile avere dei numeri affidabili che rendanol’idea della situazione. Spesso si racconta la favola secondo cui nessuna inchiesta finisca con condanne definitive. In realtà basta restare a quello che è accaduto negli ultimi mesi: l’ex parlamentare della Lega, Gianluca Pini, ha patteggiato un anno e 11 mesi per corruzione nell’inchiesta sulla fornitura di mascherine alle Asl dell’Emilia Romagna. E per corruzione hanno patteggiato (a un anno e 4 mesi) l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, e il deputato Giangiacomo Calovini. Per corruzione è indagato (e ha chiesto di patteggiare a 2 anni e dieci mesi) anche il cognato del ministro Salvini, Tommaso Verdini, figlio di Denis. Insomma, la cronaca documenta come i processi spesso finiscono con condanne.
Tornando alle statistiche, da tempo viene considerato come autorevole il Corruption perception index, un indice realizzato da Transparency International che segnala appunto il grado di corruzione percepita in ogni singolo paese. L’indice è il risultato di una sintesi fra gli indicatori di 13 diverse fonti fra cui Banca Mondiale, World Economic Forum, società private di consulenza e gestione del rischio, ed è mirato alla grande corruzione pubblica. Quando si parla di percezione, quindi, si fa riferimento a quella della comunità internazionale e finanziaria. Bene. L’Italia è in 42esima posizione su 180, nove punti sotto la media europea. Va molto meglio di Paesi come l’Ungheria, che è ultima in classifica (14 punti in più). Ma molto peggio di Paesi come Finlandia, Norvegia e Svezia che sono ai primi posti nella classifica. Negli ultimi dieci anni il nostro Paese ha fatto importanti passi in avanti, registrando poi una frenata proprio con l’arrivo del governo Meloni: un posto in meno in graduatoria e nessun punto in più. Troppo poco, chiaramente, per emettere un giudizio definitivo (anche perché tra i parametri che vengono valutati ci sono problemi enormi, come la durata dei processi, che non possono essere risolti in pochi mesi) ma chiaramente un’indicazione importante.
Le nuove misure
Ancor più se viene letta nella chiave delle misure in tema di giustizia e appalti pubblici che il governo Meloni sta prendendo nonostante le proteste di magistrati e addetti ai lavori. Nelle prossime ore verrà pubblicato il nuovo dossier dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che seppur svuotata di capacità di incidere, rappresenta uno dei baluardi del nostro Paese: da tempo il presidente Giuseppe Busia denuncia – come è accaduto nel caso di Genova – il fatto che le nuove regole sugli appalti pubblici aprano strade ai predoni. E questo è ancora più vero oggi, con i grandi cantieri del Pnrr, per non parlare del Ponte sullo Stretto.
A preoccupare, poi, è il pacchetto di norme in parte già approvato e in parte prossimo al via libera che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha preparato. L’abolizione dell’abuso di ufficio è stata raccontata come l’eliminazione di un inutile orpello per gli amministratori. Ma in realtà, documentano le ultime sentenze di condanna in Cassazione (3.600 dal 1997 a oggi), rappresentava un argine importante: per dire, quei sindaci e assessori che erano stati condannati per aver annullato delle cartelle esattoriali a loro elettori, alla vigilia di una campagna elettorale, oggi non lo sarebbero più. Per non parlare dell’abolizione del traffico di influenze, misura nell’agenda del governo: dal caso Palamara a quello Alemanno, sarebbero tutti salvi senza quel reato. Così come l’inchiesta di Genova, e decine di altre, non sarebbe esistita se fosse stato in vigore l’emendamento Costa adottato dalla maggioranza di centrodestra: niente trojan, cioè microspie dentro i telefoni, per i reati contro la pubblica amministrazione. Perché la maniera migliore per non trovarla, la corruzione, alla fine è non cercarla.