Mark avaro sul Covid, ma prodigo di saliva e armi per “Paparino”
Dal rigore al riarmo. Frugale in Europa, ma spendaccione nella sua Olanda. La sua linea è la difesa dell’Ucraina a oltranza, però non ha nulla da dire sulle bombe in Iran. Poi la figura del burattino al vertice Nato
Mark avaro sul Covid, ma prodigo di saliva e armi per “Paparino” Da falco del rigorismo europeo a papero della sottomissione americana. Mark Rutte, l’olandese volante, difficilmente delude. L’altro giorno al vertice Nato dell’Aja è stato capace di bruciarsi in un istante una carriera pubblica che dura da 15 anni, scodinzolando al seguito del ciuffo arancione di Donald Trump, come il più tremebondo degli scolari davanti al bullo dell’ultimo banco: “Sei forte paparino!” ha salmodiato via Sms. E poi: “Daddy Donald ci hai condotto verso un momento davvero importante per il mondo. L’Europa pagherà alla GRANDE com’è giusto che sia e sarà la tua vittoria”. The Donald, come il più dispettoso dei padroni, lo ha umiliato rivelando in pubblico il suo messaggio privato. Mark, invece di incazzarsi, ha reagito allo sgarbo come fosse una nocciolina lanciata dal domatore da prendere e inghiottire al volo: slurp!
Niente male per un tizio che da nuovo Segretario generale della Nato guiderà per i prossimi quattro anni, i 32 eserciti dei 32 Paesi dell’Alleanza Atlantica, più o meno 3,5 milioni di soldati attivi, più tutta la ferraglia al seguito, carri armati, aerei, sommergibili. Oltre a un numero illimitato di bombe nucleari in grado di fondere un migliaio di volte l’intero pianeta. E dunque: una garanzia il suo coraggio da gregario, la sua fermezza di gommapiuma.
E dire che Mark Rutte, 58 anni, occhialini, fisico asciutto, risata più nervosa che allegra, titolare di quattro governi in Olanda, amico di Angela Merkel, ammiratore di Margaret Thatcher, per un bel po’ di anni è stato il mammasantissima dei Frugal Four, i riccastri del Nord Europa, gli intransigenti che facevano la guardia al bilancio dell’Unione anche sulla pelle delle migliaia di morti di Covid, contro di noi, gli spendaccioni del Sud Europa, trattati alla stregua dei questuanti, degli imbroglioni, insomma dei “Pigs”, come ci avevano ribattezzato, traendo ispirazione dal loro disprezzo e dalle nostre iniziali nazionali: Portogallo, Italia, Grecia, Spagna.
Grigia quanto i suoi cieli d’Olanda è la tonalità del suo carattere e pure della sua storia, nato e cresciuto tra le cattedrali gotiche dell’Aja e i suoi palazzi d’alta burocrazia europea. Orfano di madre è il settimo di sette fratelli. Il padre vendeva automobili. Lui studia Storia fino alla laurea anche se avrebbe voluto fare il pianista. Veste in giacca e cravatta da quando è ragazzo. Abita da allora la prima casa comprata con il mutuo studentesco. Possiede una Saab di seconda mano. Mangia una mela a pranzo e una volta alla settimana cena nel solito ristorante indonesiano. Il sabato insegna gratuitamente storia civica in un liceo. La domenica suona il piano in chiesa. Non ha moglie. Non ha fidanzate. Non ha figli. Non è gay. Quando glielo chiedono, risponde: “Il solo tabù in Olanda è essere single”. Non compra, non spende, non fa vita sociale. Non per nulla l’unica biografia che gli ha dedicato la giornalista Wilma Borgman, si intitola The Rutte mistery. Che comincia dalla prefazione, dove l’autrice scrive: “Delle persone che ho intervistato, mai nessuna è andata a casa sua”.
Dopo la laurea lavora per due multinazionali come capo del personale, prima alla Calvé, poi alla Unilever. È lì che coltiva le sue attitudini a sbrogliare trattative e fabbricare compromessi. Capacità che verranno buone quando a trent’anni decide che la sua passione è la politica, iniziando a scalare i vertici del Vvd, il partito popolare per la libertà e la democrazia, che vuol dire legge e ordine, spiccato liberismo, elevato welfare, una spolverata di incenso della Chiesa protestante.
In una manciata d’anni Rutte diventa il segretario del partito. Nel 2010 vince le elezioni con 80 mila voti in più dei laburisti, 31 deputati contro i 30, dunque porte spalancate per diventare il più giovane premier dei Paesi Bassi. Al primo giro si allea con la destra populista e antimusulmana di Geert Wilders. Taglia deficit di bilancio e spesa pubblica, vara leggi contro l’immigrazione, si intesta la battaglia “no burqa” nei luoghi pubblici. Il governo dura un po’ più di un anno. Collassa per intemperanze dentro la coalizione. Di nuovo al voto. Stavolta vincono lui e i laburisti. Nuovo governo con la sinistra. Lui così svelto a cambiare tutti i diesis della sua tastiera politica, da guadagnarsi il nome di “Teflon Mark”, cioè a dire l’antiaderente.
Anche le critiche gli scivolano addosso. Regna per tutti e tre i governi successivi, 15 anni filati, nei quali per giudizio unanime, “ha elevato il suo piccolo Paese”, 7 milioni di abitanti sui 447 della Ue, alle più alte dinamiche internazionali, sempre svelto a rimbalzare e a comandare con i più forti. A schierarsi una volta contro Draghi, governatore della Bce, e il suo piano di “Whatever it takes” che vuol dire finanza solidale, per poi appoggiarlo quando vince. Un’altra contro Victor Orbán, l’ungherese, che vara leggi contro i diritti Lgbt. Per poi adottare, nella campagna elettorale del 2017, lo slogan: “Facciamo di nuovo grandi i Paesi Bassi”, che viene direttamente dal primo mandato di The Donald, già scimmiottato da Orbán, il machista.
Anche sul rigore, Rutte va a corrente alternata. Per anni lo impone a Bruxelles insieme con il superfalco Wolfgang Schäuble, custode delle finanze tedesche. Ma in patria se ne dimentica, varando così tante agevolazioni fiscali per i dividendi delle multinazionali, da trasformare l’Olanda in un vero e proprio paradiso fiscale per i super bilanci di Fca, Netflix, Google, Ikea, eccetera. Al diavolo l’equità.
Per due volte usa e dissangua la sinistra. Per due volte si sgancia dalla destra. Chi lo critica in patria sostiene non sia uno statista, ma un navigatore. Uno che risolve problemi, ma non vende idee, o come hanno scritto i commentatori politici: “Aggiusta, ma non ha visione”, se non quella dei vincenti.
Dall’invasione dell’Ucraina, si schiera per la difesa a oltranza di Zelensky. Detesta Putin che giudica “freddo, brutale, spietato”. E sostiene che “la Russia attaccherà l’Europa entro i prossimi cinque anni”. In quanto ai bombardamenti Usa sull’Iran, li giudica “pienamente conformi al diritto internazionale”.
Ammira Giorgia Meloni e la sua linea anti-migranti, e Guido Crosetto, il nostro titolare delle armi. Grazie alla nuova intransigenza guerresca, risulta il predestinato alla guida della Nato dal 2024, quando lascia il governo nelle mani dell’ultradestra di Wilders che lo ha appena sfasciato. Il suo primo vertice con le stelle dell’Alleanza non è proprio un trionfo, visto che ha rivelato un temperamento da burattino. Ma imparerà presto e sarà uno spettacolo vederlo rimbalzare.