Se esiste la fame è per scelta della
politica
DI LUIZ INÁCIO LULA DA SILVA La fame non è una condizione naturale dell'umanità né una
tragedia inevitabile: è il risultato di scelte politiche e di sistemi
economici che hanno deciso di chiudere gli occhi di fronte alle
disuguaglianze. O addirittura di promuoverle.
Lo stesso ordine economico che nega a 673 milioni di persone
l'accesso a un'alimentazione adeguata permette a un ristretto
gruppo di 3.000 miliardari di detenere il 14,6% del pil
mondiale.
Nel 2024 le nazioni più ricche hanno contribuito al maggiore
aumento delle spese militari dalla fine della Guerra Fredda,
raggiungendo i 2,7 trilioni di dollari in un solo anno. Ma non
hanno rispettato l'impegno che esse stesse avevano assunto:
investire lo 0,7% del proprio pil in azioni concrete per
promuovere lo sviluppo dei paesi più poveri.
Oggi assistiamo a situazioni simili a quelle di ottant'anni fa,
quando fu creata l'Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Alimentazione e l'Agricoltura (Fao). A differenza di allora,
però, non affrontiamo soltanto le tragedie della guerra e della
fame che si alimentano a vicenda, ma anche l'urgenza della
crisi climatica. E la concertazione tra le nazioni creata per
risolvere le sfide del 1945 non è più in grado di affrontare problemi attuali.
È necessario riformare i meccanismi globali di governance.
Dobbiamo rafforzare il multilateralismo, creare flussi di
investimento che promuovano lo sviluppo sostenibile e
garantire agli Stati la capacità di attuare politiche pubbliche
coerenti di lotta alla fame e alla povertà. È fondamentale
includere i poveri nel bilancio pubblico e i più ricchi
nell'imposta sul reddito. Ciò passa per la giustizia fiscale e per
la tassazione dei super-ricchi, un tema che siamo riusciti a
inserire — per la prima volta — nella dichiarazione finale del
vertice del G20 del novembre 2024, svoltosi sotto la
presidenza brasiliana. Un cambiamento simbolico, ma storico.
Sosteniamo questa pratica nel mondo — e l'abbiamo adottata
in Brasile. È in via di approvazione in Congresso una riforma
sostanziale delle regole fiscali: per la prima volta nel paese
sarà introdotta un'imposta minima sui redditi delle persone
più ricche, esentando milioni di lavoratori con redditi più
bassi.
Sempre alla guida del G20, il Brasile ha proposto la creazione
dell'Alleanza Globale contro la Fame e la Povertà. L'iniziativa,
benché recente, conta già 200 membri — 103 paesi e 97 partner
tra fondazioni e organizzazioni. Non si tratta soltanto di
condividere esperienze ma di mobilitare risorse e di esigere
impegni concreti. Con l'Alleanza vogliamo che i paesi
dispongano delle capacità necessarie per attuare politiche che
riducano effettivamente le disuguaglianze e garantiscano il
diritto a un'alimentazione adeguata. Politiche che producono
risultati rapidi, come quelli registrati in Brasile dopo aver
elevato la lotta alla fame al rango di priorità di governo nel
2023. Dati ufficiali diffusi pochi giorni fa mostrano che
abbiamo liberato dalla fame 26,5 milioni di brasiliani
dall'inizio del 2023. Inoltre, il Brasile è uscito, per la seconda
volta, dalla Mappa della Fame della Fao, nel suo rapporto sulla
sicurezza alimentare globale. Una mappa alla quale non
sarebbe mai dovuto tornare se le politiche avviate durante i
miei primi governi (2003-2010) e quelli della presidente Dilma
Rousseff (2011-2016) non fossero state abbandonate. Dietro a
questo risultato vi è un insieme coordinato di azioni su diversi
fronti. Abbiamo migliorato e ampliato il nostro principale
programma di trasferimento di reddito, che oggi raggiunge 20
milioni di famiglie, con particolare attenzione a 8,5 milioni di
bambini fino a 6 anni. Abbiamo aumentato i fondi destinati
all'alimentazione gratuita nelle scuole pubbliche che beneficia
40 milioni di studenti. Attraverso gli acquisti pubblici di
alimenti abbiamo garantito reddito alle famiglie di piccoli
agricoltori e distribuito cibo gratuito e di qualità a chi ne ha
più bisogno. Inoltre, abbiamo incrementato la fornitura
gratuita di gas da cucina ed elettricità per le famiglie a basso
reddito, liberando risorse nei bilanci domestici e rafforzando
così la sicurezza alimentare.
Tuttavia, nessuna di queste politiche può reggere senza un
contesto economico favorevole che le sostenga. Quando c'è
lavoro, quando c'è reddito, la fame perde forza. Per questo
abbiamo adottato una politica economica che ha dato priorità
all'aumento dei salari, portandoci al più basso tasso di
disoccupazione mai registrato in Brasile e anche al più basso
indice di disuguaglianza di reddito pro capite.
Il Brasile ha ancora molta strada da percorrere per garantire la
piena sicurezza alimentare a tutta la sua popolazione ma i
risultati raggiunti dimostrano che l'azione dello Stato può
davvero sconfiggere il flagello della fame. Tuttavia, tali
iniziative dipendono da cambiamenti concreti nelle priorità
mondiali: investire nello sviluppo e non nelle guerre;
privilegiare la lotta alle disuguaglianze e non le politiche
economiche restrittive che da decenni generano un'enorme
concentrazione di ricchezza; affrontare la sfida del
cambiamento climatico mettendo le persone al centro delle
nostre preoccupazioni.
Ospitando la COP30 in Amazzonia, il mese prossimo, il Brasile
vuole dimostrare che la lotta al cambiamento climatico e
quella contro la fame e la povertà devono procedere insieme.
A Belém vogliamo adottare una Dichiarazione su fame,
povertà e clima che riconosca gli impatti profondamente
diseguali del cambiamento climatico e il suo ruolo
nell'aggravare la fame in alcune regioni del mondo.
Porterò inoltre questi messaggi al Forum Mondiale
dell'Alimentazione e alla riunione del Consiglio dei Campioni
dell'Alleanza globale contro la fame, eventi ai quali avrò
l'onore di partecipare oggi, 13 ottobre, a Roma. Messaggi che
dimostrano che i cambiamenti sono urgenti ma possibili.
Perché l'umanità, che ha creato il veleno della fame contro se stessa, è anche capace di produrne l'antidoto.
L' autore è il presidente del Brasile