giovedì 31 ottobre 2024

Perché Vasco è Vasco!



Il 31 ottobre del 1979 te ne sei andato piegato dalla fatica. 
Ricordo ancora il tuo mezzo sorriso, caro papà… dolce e gentile. L’altra metà te l’aveva portato via il campo di concentramento nazista a Dortmund …che avevi dovuto scontare per non essserti piegato alla barbarie del nazifascismo e per non aver accettato di combattere contro altri italiani. 
Non ci crederai ma sono tornati… travestiti da agnelli !!
Con i loro deliri ..i loro dileggi.. 
le loro falsità… la loro propaganda… e la stessa ignoranza !
Io resto orgoglioso di te ! ❤️
Viva Giovanni Carlo Rossi… Papà Carlino

Preparativi



Quando ti prepari da un anno per Halloween…

Giusta osservazione

 


Dubbio

 



Aria fritta

 



Natangelo

 



Siamo a posto!

 



Zinzinino di parte... (chiedo venia!)

 

Morte presunta
di Marco Travaglio
Molti mi scrivono a proposito del mio articolo sul voto in Liguria. Rispondo a chi l’ha equivocato: se un giornalista viene frainteso è colpa sua, non del lettore. Le obiezioni principali sono due.
1) “Ma allora ha ragione Grillo a opporsi all’alleanza organica di Conte col Pd”. Purtroppo Grillo non ha più idee (o, se le ha, le nasconde bene), ma solo rancori e interessi. E la sua recente avversione alle alleanze non è credibile: fu proprio lui a conficcare il M5S nell’alleanza più innaturale ed eterogenea mai vista (il governo Draghi, addirittura con B.). Conte non ha stretto alleanze organiche col Pd: diversamente da qualche smemorato dei suoi, non ha neppure applicato ai 5Stelle l’etichetta di centrosinistra. Nello Statuto approvato dagli iscritti, li ha definiti “progressisti”: l’opposto dell’attuale Pd, refrattario a ogni cambiamento e nostalgico di Renzi. Ha fatto bene ad allearsi col Pd in Sardegna per sostenere la Todde e ora fa bene a riprovarci in Umbria con una civica pacifista e green come la Proietti. Ha fatto bene a non appoggiare il Pd degli affari in Piemonte. Ha sbagliato a donare il sangue a candidati invotabili in Liguria, Abruzzo e Basilicata. Le alleanze è insensato sia darle per scontate sia rifiutarle “a prescindere”: dipende dalle persone e dai compagni di strada. Nessun atto dovuto: si decide caso per caso. Idem per il governo: se il Pd sarà aperto alle idee 5Stelle come Salvini all’inizio e poi Zingaretti, si firma un contratto e lo si realizza. Sennò, opposizione.
2) “I 5Stelle sono finiti, Conte si faccia da parte e si torni alle origini con Grillo, Raggi e Di Battista”. I 5Stelle, malgrado sconfitte, scissioni, espulsioni, calunnie e risse, restano la terza forza d’Italia, stimata nell’ora più buia fra il 14 e il 12%. Cosa debba fare Conte lo decideranno gli iscritti che l’hanno votato due volte. Grillo, dopo i capolavori di Draghi e del vitalizio da 300 mila euro, le origini non sa più cosa siano. Anche la Raggi si schierò pro Draghi fin dal primo giorno. E Di Battista strappò la tessera proprio quel giorno. I 5Stelle sono in crisi perché sono gli unici ad aver realizzato il loro programma (Draghi e Meloni non han fatto altro che distruggerlo). Ora devono darsene uno nuovo: a questo serve l’Assemblea di novembre. Se ce la faranno o falliranno, si vedrà alle elezioni politiche, dove han sempre dato il meglio. Li davano già per morti nella culla e da allora il loro funerale viene annunciato un paio di volte all’anno. Poi, quando meno te lo aspetti, tornano su, come i fenomeni carsici. In questo Conte, il politico più sottovalutato del secolo, è il più grillino di tutti. Il loro motto è quello di Mark Twain quando lesse il suo necrologio sui giornali: “Spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è fortemente esagerata”.

L'Amaca

 

Aspettare e sorridere
DI MICHELE SERRA
Avendo la convinzione (antica) che esista una spiegazione razionale per tutte le cose, ogni tanto leggo ancora qualche articolo sul dissidio Conte/Grillo e sulla situazione interna dei Cinquestelle. Ma ci capisco poco, forse perché mi manca la chiave politica per decifrare una vicenda che, almeno in teoria, dovrebbe riguardare la politica. Là dentro tutto è diverso e tutto misterioso: non valgono destra e sinistra, movimentismo e governismo, lite sulle alleanze, non vale alcuna delle categorie che fin qui, grosso modo, ci hanno aiutato a capire perché i partiti si scontrano tra loro e perché dentro i partiti si litiga e ci si divide.
In questo senso la storia del Movimento è coerente con i suoi presupposti. C’è, fino dai primi passi, qualcosa di extra-razionale, di emotivo e quasi di esoterico (i vaniloqui galattici del co-fondatore Casaleggio, la mitizzazione del web come “nuovo mondo”) che impedisce ai comuni mortali di orientarsi. Tappa dopo tappa, si capisce solo che l’idea sostitutiva enunciata dal tonante Grillo delle origini (ci sostituiremo a tutti i partiti, di destra e di sinistra) sta funzionando, ma all’inverso, nel senso che destra e sinistra stanno riassorbendo inesorabilmente ilbig bang del 2013, e dunque prima o poi sostituiranno il Movimento.
Nel frattempo è quasi ammirevole la fatica di Schlein, che giustamente si sente in dovere di fare i conti con quella strana creatura pur sempre nata dall’ambientalismo e dalla buona volontà civica (mettersi in gioco in prima persona nella gestione della cosa pubblica non è mai una scelta biasimevole), ma non sa, e nessuno può saperlo, per quanti anni o mesi sopravviverà, cosa diventerà, come vorrà spendere i voti, non pochissimi, dei quali ancora dispone in Parlamento e nel Paese. Credo di capire che la strategia di Schlein sia una sola: aspettare e all’occorrenza sorridere. Anche perché non può fare altro.

mercoledì 30 ottobre 2024

Domandina




Simil nazisti




L'Amaca

Perché Matilde è tutti noi

di Michele Serra 

Se sapessi davvero scrivere riuscirei a spiegare meglio di come sto per fare perché la morte della giovane campionessa di sci Matilde Lorenzi mi ha così addolorato, e credo molti come me anche se non la conoscevano, e hanno saputo di lei solo nel momento dell’esito.

Ci sono morti più ingiuste, più nere, e ben più insopportabili per i modi e le cause. Specie parlando di ragazze. Matilde è morta facendo la cosa che più amava al mondo, sciare nel sole e nella luce, scendere velocissima, in solitudine, lungo il fianco del monte, trasformando l’inclinazione in ebbrezza, la legge di gravità in destrezza.

Chiunque abbia sciato conosce quella gioia inesprimibile, quella leggerezza dinamica, quello spolverio gelato, l’aria fredda alle tempie e il sibilo delle lamine sulla neve che è subito alle spalle. Matilde era in quella dimensione magnifica, in quel perfetto equilibrio quando la sua traiettoria è impazzita e il suo corpo ha perduto il controllo e ha perduto la vita.

Non aveva ancora vent’anni, che possiamo dire di lei che non suoni stupido, retorico, risaputo? Forse possiamo dire, come la sua compagna di nazionale e di stanza Carlotta, che nelle prossime gare, a dicembre, «di sicuro saremo in due».

Nei muscoli di Matilde, nel suo talento, nella sua giovinezza, nella sua bellezza, nella sua velocità, insomma in Matilde come era e come sarà sempre, ci ritroviamo tutti, anche un sedentario attempato come me, che ho figli ben più grandi di lei. Anche chi non ha mai sciato, e però ha vissuto e dunque conosce la felicità.

Natangelo

 



Attorno ai 5S

 

Ora i 5 stelle lascino perdere schlein: devono radicalizzare la loro alterità
DI DANIELA RANIERI
In questo buffo Paese non importa chi vince le elezioni, importa che le perda il M5S. Che la crisi sia considerevole è innegabile. Le elezioni liguri sono state la tempesta perfetta: Conte che mette il veto su Renzi (e ci sarebbe mancato altro), nella lucida cognizione che uno come lui i voti li fa perdere; il Pd che dà la colpa a Conte perché coi voti di Renzi si vinceva (e però nel 2022 Bucci ha vinto anche grazie ai voti di Renzi, per dire la totale illogicità del tutto); il garante che inscena uno psicodramma anti-Conte a poche ore dal voto e non va nemmeno a votare (300 mila euro l’anno in cambio di chissà quali strategie comunicative: bastava farsi vedere al seggio). Ora i soloni del blocco padronale, che aspettavano questo momento dal 2013, hanno buon gioco a dire che il M5S deve “evaporare”, come da maledizione di Grillo-Crono che divora i suoi figli, e magari accodarsi al Pd come un innocuo animale da compagnia. Se vuole incidere sui destini di milioni di persone, invece, il M5S deve radicalizzare la sua alterità. Deve puntare sulla ricostruzione dello Stato sociale: Sanità pubblica; politiche del lavoro; salario minimo; patrimoniale sui grandi redditi; imposte sui maxi-profitti; lotta alla corruzione e all’evasione; stretta sulle lobby e sui conflitti di interessi dei parlamentari. In breve: redistribuzione della ricchezza. Deve fare una battaglia culturale contro la guerra e il riarmo e riempire le sue file di studiosi e accademici per contrastare il governo di macchiette col fez. Si ispiri a Sanchez in Spagna e a Mélenchon in Francia (che le elezioni le ha vinte). Lasci stare il Pd, abbandoni Schlein alle sue pastoie semantiche, al suo ritorno di fiamma col senatore d’Arabia e alle sue politiche all’acqua di rose, e consideri che Avs conquista voti. C’è il 50% degli elettori che non va più a votare. Libero dai rituali da setta e dal pesante crisma del fondatore, diventi un vero partito socialista e popolare.

Robecchi

 

Controllo. Siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i dati (rubati)
di Alessandro Robecchi
“Guardi che ha il colesterolo alto, se ci dà 200 euro le diciamo anche glicemia e trigliceridi”. Finirà così, potete giurarci, con i nostri corpi esposti, tutto archiviato, tutto stipato da qualche parte, in qualche armadietto, o server, o database, che ci assicurano essere segretissimo e impenetrabile, e dove entrare sarà (è) uno scherzetto da ragazzi. Il fatto è che ci sono, là fuori, nell’universo, magari ad Afragola, o a Belluno, o in un server lituano, tutti i vari pezzettini della nostra vita, che a comporli, a montarli come un mosaico, ci darebbero la biografia assoluta e incontestabile, lo screening delle nostre azioni, pulsioni, desideri, bisogni, fantasie, conti in banca e relazioni. Toccherà aggiornare Shakespeare: siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i dati.
Che una banda di farabutti, metà uomini d’ordine (l’ex poliziotto) e metà uomini di mercato (il manager-imprenditore) peschi affondando le mani fino ai gomiti nei segreti di vip e sottovip, alla ricerca di informazioni utili al ricatto, non sembra una gran novità, se non per l’ampiezza del fenomeno. E le pagine e pagine e pagine che raccontano la vicenda, con aneddoti e storielle, dettagli e particolari, sembrano fatte apposta non tanto per creare l’allarme che la situazione giustificherebbe, ma per placarlo. Visto? Li prendono. Visto? Che scandalo. Adesso più controlli, norme più severe, pene più alte. La solita storia che non cambierà niente, perché non esiste segreto che non possa essere violato: il semplice fatto di essere segreto prevede una sua possibile rivelazione.
Al punto che siamo vicinissimi al paradosso: essere spiati è una specie di status symbol: nessuno ti controlla, nessuno ti guarda il conto o la fedina penale? Nessuno ti legge i whatsapp? Che sfigato!
E poi c’è la doppia morale, tripla, quadrupla, insomma, tutto il pantone colorato delle morali che siamo abituati a vedere. Perché c’è grande scandalo per gli spioni che frugano nelle vite degli altri per i loro fini politico-criminali, che sono deplorevoli delinquenti, ma poi si perdona tutto a chi lo fa in altri modi per fini economico-commerciali. Cercate un maglione e vi compariranno maglioni per settimane, digitate “stampante a colori” e per giorni e giorni e giorni sarete inseguiti da inserzioni, e recensioni, e offerte e prove su strada. Di colpo, che ti serve una stampante lo sanno tutti, a tutte le latitudini, dall’Argentina al Kirghizistan,. Vi aspettate che suoni il citofono da un momento all’altro: “Chi è”? “Sei tu lo stronzo della stampante”? Ciò che oggi si rimprovera ai ricattatori tecnologici, lo si permette, non da oggi, al mercato.
E naturalmente ci culliamo nell’illusione di avere – in democrazia – qualche minima garanzia di riservatezza, di rispetto, che è un’altra fesseria grossa. Perché le garanzie scadono, cambiano, si dissolvono davanti a questa o quell’emergenza contingente, che sia la peste o il terrorismo, per dirne una. E allora non solo si permetterà il controllo totale e capillare, ma lo si invocherà, si creerà – come si è visto più volte – un movimento d’opinione che dirà: controllateci, vi prego! Come se ce ne fosse bisogno.
E poi, naturalmente, scatterà la logica tagliente e subdola del controllore: ma se non hai niente da nascondere, perché ti arrabbi? Ecco fatto, controllati e controllori uniti nella lotta, tutto pronto per la democratura prossima ventura, che la temiamo molto, la evochiamo come rischio, ci spaventa e ci sgomenta. Ed è già qui, ci guarda da un server. E ride.

Calcolando

 

La somma non fa il totale
di Marco Travaglio
Apprendiamo dalle migliori gazzette che in Liguria hanno perso, nell’ordine: i pm, i forcaioli manettari, Report e il veto di Conte su Iv. A noi, molto più banalmente, pare che le Regionali, con elezione diretta a turno unico, siano una sfida a due: l’hanno vinta Bucci e chi l’ha voluto (la Meloni) e appoggiato (FdI, Lega, FI, centristi totiani e soprattutto scajoliani); l’hanno persa Orlando e chi l’ha voluto (la Schlein) e appoggiato (Conte, Calenda e Avs). La maggioranza dei liguri che sono andati a votare (46% scarso) ha preferito di poco il sindaco di Genova, un civico moderato in politica da 7 anni, a uno scialbo capetto del Pd in politica da 35 anni e in Parlamento da 5 legislature. Strano, no? Il Pd ha sorpassato in retromarcia FdI rispetto alle Europee perché ha perso molti meno voti. Ma Orlando l’han votato solo gli elettori del Pd e i loro naturali alleati di Avs. I 5Stelle sono rimasti quasi tutti a casa. Chi dopo 15 anni non li ha ancora capiti scrive che Orlando ha perso per colpa di Conte. Invece è Conte che ha perso (anche) per colpa di Orlando: ha donato altro sangue per il candidato perfetto per il Pd, ma invotabile per i suoi. Gli elettori non sono tutti uguali: quelli del centrodestra e del Pd, con quello che han dovuto inghiottire, digeriscono anche i sassi pur di governare; quelli del M5S no, sono esigenti e cagacazzi. Non si sentono alleati organici del Pd, né protagonisti di campi larghi purchessia contro le destre: vogliono cambiare la politica, l’opposizione non li spaventa, accettano di governare col Pd solo a condizioni ben chiare e votano candidati esterni solo se molto innovativi. Cioè se non sono Orlando: brava persona, ma incapace di discontinuità rispetto al sistema Calce&Martello che precedeva la banda Toti e minacciava di subentrarle in caso di vittoria. Se poi l’ammucchiata avesse incluso pure bin Rignan, il M5S avrebbe perso altri voti (e così il Pd e Avs). Sommare le mele, le patate e i cetrioli col senno di poi è ridicolo.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Ora che il duo Pd-M5S ha perso 9 Regionali consecutive in 5 anni (escluse quelle sarde, dove però la candidata era la Todde, 5Stelle e fortemente innovativa), Conte ha un’indicazione netta dagli elettori ancor prima degli Stati generali: niente alleanze organiche o rapporti preferenziali col Pd. Fino alle Politiche, il M5S faccia opposizione e intanto si rifondi e si apra alla società cercando dei candidati credibili e i votanti perduti. Anche a costo di ritirarsi per un po’ dalle Amministrative come faceva Casaleggio quando i meet-up litigavano sulle liste. Così il Pd potrà finalmente liberarsi dei barbari grillini, fare coming out con l’amato Renzi e assumersi le proprie responsabilità senza il solito capro espiatorio. Poi, fra un paio d’anni, chi non muore si rivede.

Uèèè Uèèèè!

 



martedì 29 ottobre 2024

Ciao Inga!



Un saluto alla bellissima assistente del dottor Frankenstein!  Ti sia lieve la terra Inga!

Sconfitta per il futuro


Se fossimo un paese normale ciò che è accaduto ieri in Liguria non sarebbe mai successo: dopo sei mesi di prigionia domiciliare del passato governatore, rivince la stessa coalizione, puntellata dal dimissionario sindaco di Genova, Bucci, che diresse la costruzione del nuovo ponte di Renzo Piano dopo che il Morandi crollò per gravi mancanze manutentive (verrebbe da dire "egraziealcaxxo col progetto di Piano e il via libera dai giusti vincoli di controllo ero in grado pure io di rifare un ponte in un anno" ma non serve perché, tutto sommato, Bucci è una persona onesta) 


Imperia è stata la grande agevolatrice di questa vittoria del centro destra; Imperia col suo signore che non s'accorse di avere un appartamento con vista Colosseo, si proprio lui, lo Scajola che da quelle parti ancora tutto può. Imperia, terra di agevolazioni, cemento, fatture in cerbottane, intrisa da sempre da quel turismo pro loro pregno di sfavillanti barche da urlo. Da Imperia è partita la riscossa per un altro quinquennio di attacco alla sanità pubblica, di elevazione di terre magiche per accogliere ricconi e spaventare noi normali. Non ci dovremo più lamentare se le liste di attesa di una visita medica si allungheranno oltre l'immaginabile per agevolare il pagamento nel privato della stessa, in ambienti dorati e ultra veloci; nessun gemito salga per ospedali da costruire con l'intervento dei privati, con rette annuali decennali da pagar loro che indeboliranno le già faticose prestazioni del pubblico. 

Non s'alzi nessun gemito da coloro che non sono andati a votare per chissà quale motivo, visto che lor signori, fingendo il contrario, son ben felici di vedere astensioni abnormi come quella ligure; meno gente vota infatti e più è certo e sicuro il nuovo sacco politico. 

Non bofonchino i cinque stelle impelagati in sterili guerriglie d'aria fritta, col fondatore in preda alla classica smania di non scomparire tipica di ogni umano; si silenzino i comunisti al 2% che, sull'esempio del Faustino amante di Cortina e irrorato da una mega pensione alla faccia dei compagni che non magnano come lui, preferiscono lo scellerato isolamento simile al tagliarsi le gonadi per far dispetto alla moglie. 

Sia silente anche il Rignanese commentante dall'Arabia la sinistra caporetto a causa della sua cacciata: nel caso fosse entrato in coalizione i voti sarebbero stati molti di meno, compreso il mio. 

E quindi via di corsa verso un nuovo quinquennio di grandi opere, di liofilizzazione di concetti sociali a scapito delle tipiche ribalderie sempre più divaricanti la condizione tra ceti, tra province, tra noi; ciao alle spiagge libere, addio pronto soccorso dignitosi, bye bye a politiche sociali proteggenti i deboli, alla protezione dell’ecosistema di per sé già martoriato. 

Code, pusillanimi infoiati ad ingolfare luoghi un tempo da rispettare ed assaggiare nel silenzio, ristoranti scoppiettanti coi tripli turni e cerbottane per le ricevute fiscali, mega navi da crociera per i giusti suffumigi degli indigeni, tappeti rossi ovunque accoglienti attila e compagnia, carte di credito in bocca per cercar rimedi alla caducità della vita! 

Evviva il popolo ligure ha deciso: frustateci ancora che ci piace tanto!

Natangelo




Ringraziamenti

 



Risposta

 

Molly e il delitto di “perculamento di parlamentare”: tintinnar di manette
DI DANIELA RANIERI
Da quando Lollobrigida è uscito dalle grazie di Giorgia e Arianna, e quindi dalle sorti della Nazione, siamo in cerca di un degno sostituto. Forse l’abbiamo trovato: Federico Mollicone, “deputato di Fratelli d’Italia, comunicatore, quasi filosofo, creativo”, almeno stando alla biografia che s’è scritto da solo su X. Ieri, di colpo famoso perché secondo alcuni è stato lui ad alimentare il tirassegno contro Giuli (ha pure baccagliato con Arianna), ha dato un’intervista a Repubblica (come a dire: io non c’entro). Innanzitutto ha redarguito duramente Report e i media che fanno “character assassination, una tecnica giornalistica per distruggere la credibilità dei politici”, come se non ci riuscissero benissimo da soli, come se a Sangiuliano la “influencer del wedding” gliel’avesse fatta conoscere Report. Poi biasima il fatto che “il giornalismo parlamentare è diventato giornalismo satirico, sembrano tutti autori di Crozza o del Bagaglino”. Povere stelle. Hanno la fiamma nel simbolo, le aquile tatuate e i busti di Mussolini, e gli fanno paura gli sfottò da Bagaglino? No, è che “ormai lo sport preferito sui giornali è prendere per i fondelli Tizio e Caio, con toni diffamatori e derisori. Una cosa a cui bisogna porre rimedio”. Mollicone non dice come intende farlo: un decreto che introduca il reato di perculamento di parlamentare? Ci fa arrestare? Più avanti Molly (che ha solo il diploma di liceo linguistico ergo è presidente della Commissione Cultura) ci fa volare: “Quando si parla di un deputato o di un senatore, tutelati dall’art 68 della Costituzione, si devono usare toni rispettosi”. Per chi non lo sapesse: l’art. 68 dice che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni e che occorre l’autorizzazione della Camera per arrestarli, perquisirli o intercettarli. Come fa a leggerci un diritto del parlamentare a non essere preso in giro, lo sa solo lui.
Prima che istituiscano la polizia speciale contro le prese per il culo di onorevoli e senatori: Mollicone è colui che montò tutta una polemica no-gender contro Peppa Pig perché in una puntata compariva una famiglia di orsi gay. Rischi dell’esser filosofi, o quasi (in caso ci appelliamo all’art. 21, che almeno c’entra qualcosa).

Analisi Brics

 

La riunione Brics, esempio di cooperazione globale
DI ELENA BASILE
Nell’indifferenza della stampa occidentale, ha avuto luogo a Kazan, sotto la presidenza russa, il XVI vertice dei Brics che ha riunito i membri fondatori (Russia, Cina, India, Brasile e Sudafrica), i nuovi membri a partire dal 1º gennaio 2024 (Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Iran, Etiopia), i partner sulla via dell’adesione (Cuba, Bolivia, Indonesia, Malesia, Thailandia, Vietnam, Algeria, Nigeria, Uganda, Turchia, Bielorussia, Kazakistan, Uzbekistan) e tanti altri paesi rappresentativi del cosiddetto “resto del mondo”. Il Segretario generale dell’Onu ha partecipato. L’Anp, in rappresentanza dello Stato di Palestina, era presente. I Brics rappresentano il 40% della popolazione mondiale e il 37% del Pil mondiale. Si è trattato di un evento storico che ha riunito i rappresentanti di civiltà millenarie: l’Egitto, l’Iran discendente dalla Persia, la Cina, l’Etiopia… Allo spirito suprematistico dell’uomo bianco, i Brics oppongono il dialogo interculturale in una paritaria diversità. I rappresentanti dei produttori di petrolio Arabia Saudita, Emirati, Iran, Russia, Nigeria, Algeria, cooperano in uno stesso foro. I principali Paesi africani che da tempo bussano alle porte dell’Onu come Sudafrica, Nigeria, Uganda sono candidati alla membership. Paesi sotto embargo statunitense come Cuba e Venezuela hanno la possibilità di affrancarsi dal ricatto di Washington grazie a una rete di alleanze. L’Indonesia, Paese di 240 milioni di abitanti, strategico per la politica di contenimento statunitense della Cina, e la Turchia, paese membro della Nato, dimostrano di rivendicare un’autonomia in politica estera dai diktat imperiali basata sull’interesse nazionale. L’assenza del sovrano saudita, impegnato in un incontro col Segretario di Stato Blinken, e il fatto che l’Arabia Saudita non abbia completato l’iter di adesione, hanno fatto supporre a molti osservatori pressioni fortissime di Washington su Riad al fine di evitare l’adesione ai Brics. Secondo alcuni analisti, gli attentati terroristici dei curdi, ormai pilotati dagli Stati Uniti contro la Turchia, costituirebbero il disperato ricorso alla violenza di un impero in declino per richiamare all’ordine un membro dell’Alleanza atlantica. Si potrebbe fare una facile ironia sulla retorica occidentale relativa alla mitica libera scelta di Kiev di entrare nella Nato.
Come l’impero inglese nel suo intento di scalzare l’impero olandese nel Diciannovesimo secolo e quello americano in grado di spodestare nel Ventesimo il Regno Unito. I Brics costruiscono la loro potenza puntando sullo sviluppo economico, manifatturiero e tecnologico, guardando alla Cina, in grado di liberare dalla povertà 800 milioni di persone in soli 40 anni, come un esempio. Puntano sulla interconnettività e le reti di trasporti marittimi, le dinamiche portuali, la cooperazione energetica. Considerano la Via della Seta cinese un progetto pieno di opportunità. Hanno creato una Borsa del grano e sono in programma le Borse dei prodotti petroliferi e di altri metalli. Infine, cercano di stabilire una finanza indipendente creando banche proprie, un sistema di pagamenti alternativo allo Swift, incentivano il commercio bilaterale in monete nazionali, studiano la possibilità di realizzare piattaforme digitali alternative. Escludono infine la moneta unica consapevoli che essa è espressione di convergenze economiche oggi ancora lontane tra economie differenti. Non seguono in altre parole il cattivo esempio dell’euro. Preferiscono alla moneta privilegio di un singolo Stato, come il dollaro, un sistema più equilibrato basato sull’ancoraggio a materie prime come l’oro, e sulle compensazioni ideate da Keynes col modello Bankor.
La presidenza russa ha evitato di porre in agenda il conflitto russo-ucraino e di forzare il sostegno dei membri Brics alla postura di Mosca nella guerra. Si è invece perorata la riforma delle Nazioni Unite al fine di dare agli emergenti il ruolo che l’Occidente collettivo ha negato negli anni. Contro le regole create a proprio piacimento dall’unipolarismo Usa, i Brics si appellano al multilateralismo basato su parametri oggettivi, espressione della volontà comune, della mediazione tra interessi differenti. Il Segretario dell’Onu non poteva mancare a una riunione di tale portata. Particolarmente sgradevole è stato l’attacco a Guterres da parte di una certa stampa occidentale. Il politico portoghese, ex primo ministro famoso in patria per le sue posizioni moderate e inclini al compromesso, in qualità di Segretario Onu ha cercato di assolvere ai suoi compiti senza appiattirsi acriticamente sulle posizioni occidentali. A dire la verità ha fatto il minimo. Ma questo è bastato alla classe di servizio per condannarlo e accusarlo di filo-putinismo e di plaudire alla vergognosa decisione israeliana di considerarlo persona non grata.

L'Amaca

 

Le sardine e la balena
DI MICHELE SERRA
Non ho mai spiato nessuno, né ho mai messo nel conto la possibilità di essere spiato.
Questo non favorisce il mio grado di comprensione della gravità di quanto sta accadendo: ammesso che le mie o le vostre analisi del sangue siano finite nel dark-web (come si legge), capisco poco e male i vantaggi che qualcuno potrebbe trarne, e anche gli svantaggi a mio e vostro carico.
Credo di capire, però, che il grado di ricattabilità di ciascuno sia direttamente proporzionale al suo livello di potere. Più hai potere, più sei ricattabile. E dunque l’opera dei ricattatori dovrebbe circoscrivere il bersaglio. Sembra invece che siano milioni i dati “rubati” dagli spioni, una specie di pesca a strascico nella quale si spera che, assieme alle sardine, resti impigliato anche qualche tonno, o addirittura una balena. È un po’ come quando vennero resi pubblici gli elenchi della P2 e insieme ai pezzi grossi (tipo i capoccia dei servizi segreti) si fu costretti a notare che c’erano anche parecchi pirla, incomprensibilmente reclutati da quella lobby maligna. E un poco si sorrise, pur nella gravità del momento.
Nella famosa crisi dei corpi intermedi (i partiti, i sindacati) metterei anche gli spioni. Sono confusi. Non hanno ben chiari i criteri per stabilire chi è classe dirigente, chi ha davvero potere (e dunque vale la pena ricattarlo) e chi invece passava di lì per caso. Spiano all’ingrosso. Sperano di azzeccarci. Ma se nella loro faticosa e raffinata rete fossero davvero finite anche le mie analisi del sangue, vuol dire che di questi tempi nemmeno i cattivi sanno più che pesci pigliare. In ogni modo, per facilitare il compito dei sorveglianti: ho il colesterolo un po’ alto, ma il resto è abbastanza a posto.

Giustissima osservazione

 

Facciamo un gioco
di Marco Travagilio
Facciamo finta che il cranio squarciato come una tela di Fontana e ricucito come una palla da rugby non sia del fratello d’Italia Gennaro Sangiuliano e che a ridurlo così non sia stata Maria Rosaria Boccia, celebrata dall’opinionismo progressista come una brillante “imprenditrice” tradita dal maschio cattivo nella sua legittima aspirazione di emanciparsi allargando il giro d’affari al ministero della Cultura. E immaginiamo che il cranio sia di un ministro di centrosinistra e la ferita sia opera di una sorella d’Italia, tipo un’Isabella Rauti o un’Arianna Meloni. Secondo voi, la feritrice continuerebbe a passare per una povera perseguitata, o qualcuno troverebbe due parole per chiamarla col suo nome, smetterebbe di auscultarla come la Sibilla cumana e solidarizzerebbe con la vera vittima?
Facciamo finta che Jeff Bezos, editore del Washington Post, avesse bloccato un endorsement del suo giornale a favore di Trump contro la Harris a una settimana dalle Presidenziali. Secondo voi la stampa democratica di tutto il mondo griderebbe alla censura, al bavaglio, alla fine della democrazia e al fascismo, come sta facendo ora che Bezos ha bloccato l’endorsement del suo giornale a favore della Harris contro Trump? O celebrerebbe l’eroico editore che difende l’indipendenza della libera stampa dalle ignobili pressioni del puzzone dalla chioma pittata?
Facciamo finta che in Georgia, dove la presidente è filo-occidentale e il premier filo-russo (anzi, neutralista fra Est e Ovest), la coalizione della presidente avesse sonoramente battuto alle elezioni il partito del premier col 54% contro un misero 37% e il premier sbaragliato avesse chiamato la gente in piazza per gridare ai brogli, al golpe, alla truffa e per chiedere di rivotare. Secondo voi Usa, Ue e media al seguito avrebbero accusato di golpe la presidente vincitrice o il premier che rifiuta di riconoscere la sconfitta, come invece stan facendo con la presidente sbaragliata che imita Trump e strilla al golpe contro il vincitore?
Facciamo finta che il mega-scandalo dello spionaggio, delle intercettazioni, degli hackeraggi e dei trojan privati, anziché a un uomo del centrodestra come il presidente della Fiera di Milano Enrico Pazzali, girasse attorno a uno qualsiasi del Pd o, peggio, del M5S. Secondo voi il governo e i suoi media non starebbero già ululando come vergini violate per la conferma alle loro trentennali denunce sulla sinistra politico-mediatico-giudiziaria che congiura contro la povera destra indifesa e perseguitata?
E potremmo continuare all’infinito. Sempre più gente non vota e non legge anche per questo: non ne può più di chi dà ragione agli amici che hanno torto e torto ai nemici che hanno ragione.

lunedì 28 ottobre 2024

Un aiuto



Invece di meravigliarsi ed incoraggiarlo, occorrerebbe che le persone vicine, gli amici, si prestino indefessamente ad aiutarlo. Perché Francesco non concepisce un’altra vita se non sul campo da gioco; non esiste per lui il “c’è dell’altro.”
Molti campioni non si sono rassegnati a vivere fuori dal recinto della gloria che lo sport gli ha riservato; tanti sono finiti male, alcuni malissimo. Totti è un patrimonio universale, le sue gesta hanno esaltato romanisti e non. Ma il tempo scorre per tutti. Psicologicamente va rafforzata in lui la voglia di vivere senza pallone, evitando sciatterie circensi capaci di oltraggiare il campione che fu. 
Circondato dagli affetti il capitano dovrà necessariamente ricollocarsi nel mondo, respirando la normalità della vita che tempi addietro non ha mai conosciuto. Forza Francesco che la vita t’aspetta, lontano dai campi in erba!

Così è!




Armiamo l'Ucraina!!!!

 


Secondo Umberto

 



Saggio

 

Quella “difesa della razza” che ancora agita Meloni&C.
LE ORIGINI DI UN INSULTO DISUMANO - La lingua stravolta. Il libro del filologo Lino Leonardi ricostruisce la derivazione dal francese del termine: che riguarda le mandrie di animali e offende gli uomini
DI TOMASO MONTANARI
Il rapporto della Commissione europea contro il razzismo e ‘l’’intolleranza che ha suscitato la (comprensibile) rabbia dell’estrema destra al governo e (l’incomprensibile) stupore del presidente Mattarella, fotografa un’Italia (e in particolare un apparato di polizia, una politica, un discorso pubblico) ancora razzista: verso i neri, i migranti, gli omosessuali. In generale, poco capace di comprendere il valore della diversità.
Nelle 48 pagine del rapporto, la parola “razza” è sempre scritta tra virgolette: per far capire che la razza non esiste, ma i razzisti, che invece ci credono, esistono eccome. Quando, al contrario, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha detto: “Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”, ecco lui le virgolette non le ha usate. E nemmeno Giorgia Meloni le usa quando, nel libro-intervista di Alessandro Sallusti, dice: “la razza è cosa siamo fisicamente, l’etnia è cosa siamo culturalmente”. Si tratta di affermazioni da brividi, innanzitutto sul piano cognitivo.
Perché la genetica e la biologia hanno da tempo dimostrato che le razze umane, semplicemente, non esistono. L’unica specie Homo sapiens, tutta originata da un nucleo primigenio in Africa (!), non conosce suddivisioni genetiche: i caratteri esterni (il colore della pelle, per esempio) non sono il segno di un bagaglio genetico uniforme tra chi li possiede identici. E dunque “razza” è una parola che si può usare per gli animali, ma non per gli umani.
A fare definitivamente luce sull’origine e la storia di questa parola maledetta arriva ora un bel libro di Lino Leonardi (Razza. Preistoria di una parola disumana, il Mulino 2024), che insegna Filologia e linguistica romanza alla Scuola Normale di Pisa. Vi si ricostruisce come, nel 1959, Gianfranco Contini riuscì a stabilire definitivamente che “razza” non deriva dal latino “ratio” (la stessa parola che porta a”‘ragione”), come invece si credeva, ma arriva in Italia (nel Duecento) dal francese “haraz”, che significava mandria, e allevamento, di cavalli. E continuerà a significarlo molto a lungo, come dimostra (tra i tanti esempi citati da Leonardi) il fatto che, all’inizio del Cinquecento, Teofilo Folengo scriva, nel suo meraviglioso latino maccheronico: “Hinc cavallorum bona razza crescit”.
Sarà poi dall’italiano che si diffonderà, nel Quattrocento, in tutte le lingue europee. Lo stesso Contini, soddisfatto, commentava: “Per l’appoggio terminologico di tanta abiezione, ferocia e soprattutto stupidità, quanto è più ricreativo avergli scovata una nascita zoologica, veterinaria, equina!”.
Come scrive Leonardi, si tratta di un “caso formidabile in cui la scoperta dell’origine di una parola può cambiarne la percezione e l’uso, può accompagnare e determinare la sua trasformazione da nobile segno di eccellenza e di distinzione a specifico marchio di bestialità”. E, tuttavia, molti vocabolari delle principali lingue europee non accolgono di fatto ancora oggi questa evidenza scientifica, rimanendo ancorati al superato, e nobile, etimo: “ratio”. Perché? Per la forza inerziale dei vecchi, autorevoli, repertori etimologici, certamente. Ma forse, suggerisce Leonardi, anche “perché il discorso pubblico … non ha più percepito l’urgenza di tornare a ribadire il significato primo e più profondo di quel termine abusato, dando per scontato il superamento dell’abiezione razzista”. Gli studiosi non vivono fuori dalla società, e ciò che era urgente chiarire per un antifascista e partigiano come Contini, lo era assai di meno per la generazione successiva, che immaginò di essersi lasciata per sempre alle spalle tutto quell’abisso di odio, ignoranza, atroce violenza. Per la stessa ragione, oggi il tema torna purtroppo attuale: se la presidente del Consiglio di un grande Paese come il nostro, usa la parola “razza” per definire ciò che siamo fisicamente, è urgente dire che, no, “razza” è una parola che non si usa per definire fisicamente gli umani. Perché è una parola che ha un’origine, e poi un uso, radicalmente “disumani”.
Il libro di Leonardi si chiude con una meravigliosa citazione dal Convivio di Dante – il Dante che questa destra ha provato, tragicomicamente, ad accaparrarsi come padre ideale –, in cui si dice che “sanza dubbio, forte riderebbe Aristotile udendo fare spezie due dell’umana generazione, sì come delli cavalli e delli asini”. Aristotele riderebbe, sì, ma noi abbiamo purtroppo meno da ridere: perché quelli che credono che l’umanità si divida tra chi sta sopra e chi sta sotto per diritto di sangue e per colore della pelle, sono tornati al governo di buona parte dell’Occidente. L’unico modo per sconfiggerli è aprire gli occhi ai nostri concittadini: a ciò serve anche un libro come questo, scientificamente esemplare e civilmente consapevole. Perché, davvero, che razza di idiota deve essere chi sul serio crede che gli umani si dividano in razze?

domenica 27 ottobre 2024

Ottimo intervento

 


Per dire







Dedica

 



Attorno al Comico

 

Grillo scordi Conte e sia il consulente di Draghi
DI DANIELA RANIERI
Ci pare, ma potremmo sbagliare, che i giornali improvvisamente prendano molto sul serio Beppe Grillo e le sue crisi emotivo-pecuniarie. Ieri Repubblica dedicava all’ultima puntata di “Grillo minaccia Conte” una pagina intera e ospitava un’intervista a Jacopo Fo in cui l’artista pendeva decisamente per il garante contro Conte (“Un movimento di furbetti e nullità… Grillo sognatore, romantico… Ma ha presente quanto ha speso Grillo per il M5S nel tempo?”). Prodigi alchemici dell’odio per Conte, che induce il blocco padronale a rivalutare persino un debosciato come Grillo dacché ha imbracciato il bazooka contro l’avvocato (brividi di piacere quando riportano i suoi insulti: Conte è “un incapace”, “Non ha visione politica né capacità manageriali”, “Ha preso più voti Berlusconi da morto che Conte da vivo”); d’altronde si fecero piacere pure Berlusconi quando Scalfari disse anzi prescrisse di preferire lui a Di Maio (erano i tempi di Berlusconi “argine al populismo”).
È successo che è filtrata la notizia (a proposito di saper fare comunicazione) che Conte ha dichiarato a Bruno Vespa, per il prossimo suo libro natalizio, che il contratto stipulato col “garante” affinché curi la comunicazione del movimento dovrà essere rivisto, giacché i risultati comunicativi conseguiti a botte di 300 mila euro l’anno non sono proprio brillantissimi. In effetti, come osservammo anche noi, che un curatore della comunicazione di un movimento saboti costantemente il presidente di quel movimento prendendo soldi degli iscritti è quantomeno incongruente, se non autolesionista, posto che la questione del Creatore-Garante-Consulente continua a sembrarci più teologica che politica. Grillo gli ha risposto con un video casalingo (Open lo chiama addirittura “editoriale”) in cui sfotte Conte chiamandolo “mago di Oz” (a dire, s’immagina, che dietro al mago che fa la vociona e indirizza i destini si nasconde un ometto scialbo, senza qualità) e delibera che “già leggere un libro di Vespa è perversione, figurarsi metterti dentro con un’intervista: siamo nel feticismo dell’informazione”. Si è scordato il nome del primo grillino che andò a farsi intervistare da Vespa: Beppe Grillo (a riprova che le perversioni sono sempre quelle degli altri), nel 2014. Poi ricomincia con la solita solfa: comitato, notaio, lo statuto, i mandati (che lui vorrebbe restassero due, lui che si è auto-nominato garante a vita, come i monarchi). Come non ci fossero 43 mila morti a Gaza per mano di Israele, una guerra con la Russia che stiamo combattendo per procura, una Sanità pubblica che si sta placidamente sgretolando e un governo di macchiette incapaci e draghiani col fez; e, soprattutto, riuscendo a non citare manco di striscio la questione sollevata da Conte: vale ancora la pena pagare Grillo per le sue imboscate contro il presidente che lui ha richiamato a lavorare (gratis, peraltro, per un anno e mezzo) al fine di risollevare un partito boccheggiante dopo l’appoggio sadomaso al pessimo governo Draghi?
Poi critica Conte per le elezioni in Liguria ed Emilia-Romagna: “I candidati che appoggiano questo movimento progressista di sinistra: chi li ha votati? Sono stati catapultati dall’alto, i soliti giochi della vecchia politica”. Eh già, si sarebbero dovute tenere delle primarie. Pure qui, s’è scordato di quando lui in persona annullò le primarie per il candidato sindaco di Genova, nel 2017, perché la vincitrice non era di suo gradimento, salvo poi annunciare una nuova votazione, con un solo candidato in gara, però. “Se qualcuno non capirà questa scelta, vi chiedo di fidarvi di me”, disse, oscuro e apodittico come la Pizia. Quindi lancia il suo anatema: “Da creatore del movimento, rivendico il diritto all’estinzione del movimento”. Che tempismo: proprio nelle ore in cui si sta tenendo la Costituente, con gli iscritti riuniti per discutere le proposte dal basso, il padrone dichiara il M5S “evaporato”. Il nichilismo ha la meglio sulla trasparenza, vero sacramento dei grillini insieme all’onestà e alla democrazia diretta. Chissà come mai Grillo non chiarisce una volta per tutte la corrispondenza d’amorosi sensi che, stando al prof. De Masi, ha tenuto con Draghi quand’era presidente del Consiglio, e la richiesta avanzata da questi di far fuori Conte, di imporgli di allineare i suoi ministri sulla orrenda legge Cartabia, di unirsi alla scissione di Di Maio e abbandonare Conte al suo destino, etc. Potrebbe mostrare agli iscritti gli sms che si scambiava con Draghi e metterli ai voti. Non è importante sapere se il Demiurgo è (stato) un doppiogiochista? Peraltro, se è convinto che Conte senza simbolo non arriva all’8%, ammette implicitamente che i voti li porta il simbolo, non la sua consulenza da 300 mila euro, motivo per cui il soprannome di “mago di Oz” si attaglia più a lui che a Conte. (Una soluzione all’impasse, gratis: Grillo si metta a fare il consulente per Draghi).

Per i Tromboni

 

Facce da Nato
di Marco Travaglio
Mentre Putin riceve il segretario generale dell’Onu Guterres e i leader dei Brics, che si moltiplicano e raggiungono ormai quasi metà della popolazione mondiale e il 35% del Pil globale, tornano alla mente 32 mesi di oracoli dei migliori esperti atlantisti: Putin morente e sul punto di essere deposto, la Russia sola al mondo, schifata anche dagli alleati e prossima alla disfatta contro l’invincibile armata di Kiev e dei 40 Paesi dell’Asse del Bene (i 32 Nato e i loro amici). Chiunque osasse rispondere con i dati impietosi delle forze in campo e delle battaglie al fronte, con i numeri dei Paesi che all’Onu non condannavano l’invasione russa, con le analisi storiche e geopolitiche sul complesso fronte eurorientale, con le evidenze delle guerre e delle paci (tutt’altro che “giuste”) del passato, finiva ipso facto nelle liste dei “putiniani”. Guai ad auspicare negoziati, compromessi territoriali, cessate il fuoco per il bene degli ucraini aggrediti e devastati: la risposta era sempre “vuoi la resa di Kiev”, “ti paga Putin”. Giornalisti come Innaro espulsi dalla sede Rai di Mosca, professori come Orsini cacciati dal loro giornale, isolati dalla loro università e privati del contratto Rai già firmato, Elena Basile trattata da falsa ambasciatrice e vera millantatrice, storici, analisti e intellettuali non allineati al non-pensiero unico della propaganda che crede alle balle che racconta bollati per tre anni con il marchio d’infamia del rublo.
Sui social spopola un collage di profezie del prof. Vittorio Emanuele Parsi, che riassume tutto il meglio di quel peggio in una sola persona: “Più si va avanti, più la Russia rimane isolata… Più passa il tempo e più la Cina vede i suoi interessi divaricarsi da quelli russi perché la Cina sa che nel futuro c’è la Cina, ci sono gli Usa, c’è la Ue e non c’è la Russia… Putin ha il mondo contro di lui… Persino i cinesi… addirittura Kim ha detto che non intende mandare armi alla Russia… Putin non è eterno, secondo me non mangerà il panettone nel 2023… Allearsi con la Russia è strategicamente un fallimento per i Paesi che possono avere una tentazione anti-occidentale… I russi non possono sostenere ancora sei mesi di conflitto”. Ne avesse azzeccata mezza. Per carità, nessuno pretende che chi ha sbagliato tutto lo riconosca e si scusi (solo Rampini ha avuto l’onestà intellettuale di ammettere i suoi errori, e rispetto agli altri ne aveva commessi pochi): basta intendersi sul concetto di “esperto”, smettere di considerare tale chi non ne indovina una neppure per sbaglio, lasciare la propaganda ai propagandisti e affidare l’analisi ai veri analisti. Anche perché tutti sanno come andrà a finire in Ucraina, ma pochi osano dirlo perché devono salvare la faccia. Vogliamo rassicurarli: la faccia può perderla solo chi ne ha una.

L'Amaca

 

L’autocrazia del denaro
DI MICHELE SERRA
Se la democrazia è ricerca di equilibrio tra i poteri, nel tentativo precario ma giusto di impedire che qualcuno sia “meno uguale” degli altri e possa sopraffarli, la sua smentita materiale viene dall’economia di mercato, almeno nella sua forma attuale. Non esiste calmiere o contromisura (per esempio: una forte tassazione, o leggi antitrust efficaci) che impedisca a singoli individui di accumulare quantità di denaro smisurate, forse mai viste al mondo, arrivando a condizionare la politica e la vita sociale almeno tanto quanto potrebbe fare un partito. Con la differenza che un partito è un’entità elettiva, rappresentativa di moltitudini.
In rappresentanza solo di se stesso, Elon Musk, secondo un’inchiesta del Wall Street Journal ,avrebbe un rapporto diretto e frequente con Vladimir Putin. Forte della sua flotta privata di satelliti, della sua posizione di punta nell’IA, della sua corsa al cosmo, Musk parla al presidente della Russia da pari a pari, dall’alto di un potere economico che diventa, di fatto, potere politico. Questo potere politico (che, ripeto, rappresenta una sola persona) è un problema gigantesco, perché per sua natura, anche se con le intenzioni più virtuose (e non è il caso di Musk), tende a scavalcare con totale disinvoltura le istituzioni, i governi, le convenzioni tra gli Stati, quel poco o quel tanto che siamo riusciti a fare per dare una forma collettiva e trasparente alla politica. I soldi hanno sempre fatto la storia del mondo. Basti pensare alla Compagnia delle Indie, o alla conquista delle Americhe. Ma ci eravamo illusi che, almeno in una certa misura, la democrazia politica potesse fare da contrappeso all’autocrazia economica. 
Così non è.

sabato 26 ottobre 2024

Torna alla mansione tua!



Ok il suo Sire ahimè è nel mausoleo; ma se tornasse però alle sue origini professionali, ovvero il  maggiordomo, ne guadagneremmo tutti! Soprattutto per mancanza di cazzate come questa! 

Inenarrabili atrocità!

 



Toti - Toti - Toti!

 


A rapporto

 


Altro

 



Natangleo

 



Soluzione

 

Israele è criminale, stia fuori dall’Onu
SIMILITUDINI - Le Nazioni Unite non hanno mai espulso nessuno Stato membro. Tuttavia nel 1974 si tentò di allontanare il Sudafrica dell’apartheid: un caso che presenta diverse analogie con l’oggi
DI PINO ARLACCHI *
La misura è colma. Lo Stato di Israele non può più stare nelle Nazioni Unite. È diventato uno Stato fuorilegge che infrange uno dopo l’altro i capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio della propria impunità potendo contare sulla protezione politica e sul sostegno militare senza limiti degli Stati Uniti.
Se così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato insultare l’Onu, in piena Assemblea Generale, definendola “una palude di bile antisemita”, e non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023, 230 dipendenti dell’Unrwa nel corso di bombardamenti, incendi e assalti a scuole, depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati Onu. L’Unrwa è l’agenzia creata nel 1949 dall’Assemblea Generale per assistere i rifugiati palestinesi creati dalla “Nabka”, la catastrofe del 1948 che vide 700 mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’Onu, e inaugurando una lunga serie di crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello Stato di Israele nonché di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili.
Accanto all’Unrwa, la seconda maggiore vittima dell’ostilità israeliana verso le Nazioni Unite è l’Unifil, una missione composta da 50 paesi, creata nel 1978 dal Consiglio di Sicurezza per promuovere la pace in Libano. L’Unifil ha pagato finora con 337 vite umane l’attuazione del suo mandato. Non tutte le sue perdite sono dovute ad attacchi israeliani, ma è proprio in queste settimane che è esplosa tutta l’insofferenza di Tel Aviv contro possibili testimoni di atrocità pianificate e sul punto di essere attuate.
Dal 1948 fino a oggi, sono oltre 24 le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che criticano o condannano l’occupazione illegale di territori e le crudeltà di Israele contro i palestinesi. Alcune di queste risoluzioni sono diventate famose per essere richiamate di frequente durante le crisi scatenate da Israele.
La risoluzione 242 del 1967 stabilisce il ritiro di Israele dai territori occupati dopo la Guerra dei Sei giorni allo scopo di favorire una pace duratura nel Medio Oriente. Le risoluzioni 446 del 1979, 904 del 1994, 1073 del 1996 e 1394 del 2002 si uniscono alle 155 risoluzioni approvate dall’Assemblea generale dal 2015 a oggi e che riguardano i tre interventi militari in Libano precedenti quello in corso, gli insediamenti illeciti in Cisgiordania, il ritiro da territori occupati, le stragi e le deportazioni di civili palestinesi.
Queste deliberazioni della maggioranza globale sono altrettante tappe del solco che si è scavato tra i governi di Israele da un lato, e le Nazioni Unite e il resto del mondo dall’altro. I 41 mila morti di Gaza, i 100 mila feriti, i milioni di sfollati del Libano e di Gaza, i ripetuti attacchi all’Iran, allo Yemen e alla Siria, gli assassini mirati di singole personalità straniere avvenuti nel corso dell’ultimo anno non sono giustificabili in alcun modo. Non sono eccessi di legittima difesa causati dal massacro di 1200 civili israeliani.
Ci troviamo di fronte a uno Stato membro dell’Onu colpito da un processo degenerativo. Diventato un aggressore seriale che non riesce ad astenersi dal commettere crimini contro l’umanità, crimini di guerra, tentati genocidi e stragi a ripetizione per poi fare la parte della vittima e rifugiarsi dietro lo scudo degli Stati Uniti.
Nessuno Stato membro è mai stato espulso dalle Nazioni Unite. Tuttavia, l’organizzazione ci è andata molto vicino, nel 1974, nel caso del Sudafrica, un caso che presenta evidenti analogie con quello odierno di Israele. Il dibattito all’Onu sull’espulsione del Sudafrica non fu scatenato solo dalla crescente avversione internazionale nei confronti dell’apartheid, ma anche dalla continua occupazione Sudafricana della Namibia, definita illegale dalla Corte internazionale di giustizia, come nel caso dell’attuale occupazione israeliana del Libano e della Cisgiordania.
Tutto iniziò nel 1969, con la risoluzione 269, in cui si affermava che, qualora il Sudafrica non si fosse ritirato dalla Namibia, il Consiglio di Sicurezza si sarebbe “riunito immediatamente per stabilire le misure efficaci” da adottare.
Fu sollevato il tema dell’applicazione dell’articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite, che riguarda la procedura di espulsione di uno stato membro, da votare in Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.
Il Sudafrica non fu espulso dall’Onu solo perché tre su cinque membri del Consiglio di Sicurezza – Usa, Francia e Regno Unito – posero il veto sulla proposta. Si trattava pur sempre di un bastione anticomunista da proteggere. Ma l’Assemblea Generale aggirò l’ostacolo nel 1974 rifiutandosi di accettare, a stragrande maggioranza, le credenziali della delegazione sudafricana. Il Sudafrica restò così escluso dalla partecipazione all’Assemblea Generale per ben venti anni, fino al 1994, rientrandovi solo dopo la fine dell’apartheid.
La situazione attuale di Israele è molto più grave di quella Sudafricana degli anni 70. In entrambi i casi siamo di fronte a regimi rogue, “delinquenti”, ai margini della comunità internazionale. Ma lo Stato razzista bianco – posto di fronte agli attentati commessi dall’ala terroristica del movimento di liberazione guidata dal giovane Mandela e alle enormi manifestazioni di piazza – non tentò il genocidio o la deportazione della popolazione nera. Gli anni della transizione alla democrazia, perciò, costarono ai neri sudafricani “solo” 14 mila morti. Negli ultimi decenni della sua vita, il regime di Joannesburg non mosse guerra né all’Onu né alle missioni Onu. Il suo tramonto è avvenuto con un accordo tra le parti e con la promessa di una futura riconciliazione.
Mandare via Israele dall’Onu è una misura drastica, ma necessaria. Occorre rompere la bolla di isteria e onnipotenza dentro cui vive un regime di psicopatici che non si rendono conto di essere in guerra non contro i palestinesi e il Medio Oriente, ma contro il mondo intero. Lo choc può essere salutare anche per il suo protettore, una superpotenza in declino tentata di andare nella stessa pericolosa direzione.
* Già vicesegretario generale dell’Onu