lunedì 31 marzo 2025

AHAHAH!

 


Perché queste risate? 

Per il fatto che in un articolo di Repubblica , questo: 


sulla notizia della condanna di Marine Le Pen - grandi i francesi! Non come noi dove tutto il sistema politico è super protetto dal Cincin Nordio e allegra brigata di nero vestita - il Cremlino pare abbia commentato con "Violata la democrazia!" 

Loro che si ergono a commentatori della democrazia! 

Standing ovation! E vai di risate!!!



Avanti!

 



L'assurdo

 

La chiesa con le coperte d’oro dei migranti acceca la destra

“Eldorado”. Gli ingressi della Basilica dei Servi di Maria avvolti come rifugio sicuro. FdI sbraita, l’arcivescovo: “Le paure di essere invasi? Sono propaganda di chi non sa nulla”

Secondo Michel Foucault, è all’arte che oggi tocca l’antica funzione della parresìa, dire la verità in pubblico, e assumersene la responsabilità: “nell’arte … si concentrano, nel mondo moderno, nel nostro mondo, le forme più intense di un dire-il-vero che accetta il coraggio e il rischio di ferire”. Ed è proprio questo un indizio che può guidare chi cerca irriducibilmente una risposta alla domanda, impossibile e necessaria, su cosa sia arte, e cosa non lo sia. In questi giorni a Firenze è stata temporaneamente collocata in Piazza della Signoria una statua moderna: ennesima, stanca, ripetizione di una operazione di sciacallaggio del Rinascimento andata mille volte in scena. Tutto il contrario della parresìa: l’arte non abita qui. Ma, si sa, “lo Spirito soffia dove vuole”: e oggi aleggia con clamorosa evidenza in un’altra, vicinissima piazza fiorentina, quella della Santissima Annunziata. Qui l’artista Giovanni De Gara ha coperto d’oro – l’oro delle coperte termiche in cui avvolgiamo in mare i migranti, quando qualcuno riesce a salvarli – le porte della venerata Basilica dei Servi di Maria, come aveva fatto nel 2018 a San Miniato al Monte: nasceva così il progetto ‘Eldorato. Nascita di una nazione’. E da allora, come scrisse l’Osservatore Romano alla fine dell’anno seguente, “cardinali, vescovi e parroci hanno foderato le porte delle chiese cattoliche e i pastori quelle delle chiese protestanti e ancora sindaci, consiglieri comunali, assessori e direttori di museo gli edifici civili. Venezia, Verona, Pavia, Brescia, Parma, Biella, Bologna, Ravenna, Genova, Pistoia, Roma, Napoli, Palermo, Lampedusa. Una delle ultime per ordine è Lucca, nella chiesa valdese e in quella di San Sebastiano, ma soprattutto nella cattedrale di San Martino, dedicata proprio a quel santo che divise il proprio mantello con un povero infreddolito: una coperta termica ante litteram. Tra le prossime il sacro convento di Assisi. Molte altre ancora se ne aggiungeranno”. Così è stato: e oggi quel progetto torna a Firenze, per volere della comunità servita e del nuovo arcivescovo, Gherardo Gambelli. La densità del segno inventato da De Gara è vertiginosa: le porte come frontiere; come soglie della linea abissale tra sommersi e salvati; le porte delle chiese come secolare accesso a un rifugio sicuro; le porte del cielo da cui non passano i ricchi benpensanti, ma i poveri Cristi; le porte della religione come strumento del dominio di classe, quelle dei “templi che rigurgitan salmi di schiavi, e dei loro padroni” (De André); la Porta d’Oro di Gerusalemme, quella attraverso cui si manifestava la presenza di Dio. Un Dio che ha promesso che sarà con noi nei più piccoli, sofferenti, esclusi, colpiti: il Dio dei migranti, non dei potenti. E, puntualmente, i potenti avvertono il pericolo: e attaccano. “La deriva immigrazionista della sinistra cittadina oggi, nel giorno del Capodanno Fiorentino, ci ‘regala’ la porta di una delle più importanti basiliche della città, la Ss.ma Annunziata, fasciata con coperte termiche. Sul piano politico e anche artistico, mettere le coperte termiche su una chiesa è, oltreché irrispettoso, una schifezza anche estetica”: parole del vicepresidente vicario del Consiglio comunale di Firenze, il Fratello d’Italia Alessandro Draghi, e del confratello consigliere Giovanni Gandolfo, “Quale nazione – chiedono i due ‘patrioti’ – quella dei clandestini?”. Più che la cattiveria, è come sempre la monumentale ignoranza, la sciatteria impunita, di questi custodi della cultura tradizionale a colpire. Sfugge a lorsignori che il ‘capodanno fiorentino’ è il 25 marzo perché quel giorno si celebra la solennità dell’Annunciazione, cioè l’Incarnazione, il cominciamento per eccellenza, l’avvio di una umanità nuova. E che quel giorno è stato scelto per celebrare la Vergine nel tempio cittadino appunto dedicato alla sua Annunciazione. E che la Vergine ha lodato Dio, nel Magnificat, per aver rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili, rimandato i ricchi a mani vuote e ricolmato di beni gli affamati. Non per aver torturato i migranti e stabilito la purezza della razza… Questa comunista immigrazionista palestinese! – direbbero i due ineffabili fratellini d’Italia. Ignoranza, violenza verbale, industria della paura e dell’odio: c’è tutto il repertorio. Liquidato, con paterna fermezza, dall’arcivescovo di Firenze: “Queste paure di essere invasi molto spesso vengono montate da campagne che non conoscono fino in fondo la realtà”. Le opere d’arte, invece, dicono la verità: ci costringono a vederla, a riconoscerla. La verità su chi difende identità, cultura, arte e tradizione italiane senza saperne nulla. La verità su cosa davvero importa, su cosa può salvare non solo i migranti, ma anche noi, tanto sicuri dei nostri valori e dei nostri buoni sentimenti. Quelle coperte termiche non sono fatte per coprire, ma per scoprire: ed è proprio qui che l’arte può ancora essere “un dire-il-vero che accetta il coraggio e il rischio di ferire”.

Commenti su Gaza

 

Striscia di Gaza. La finta di Doha e il vero piano Idf: riprendersi tutto
DI FABIO SCUTO
Siamo sull’orlo di una guerra che un giorno verrà chiamata la Guerra dei 1000 Giorni. La ripresa delle operazioni militari nella Striscia di Gaza indica che le mediazioni, le trattative, il via-vai delle delegazioni nelle lussuose hall dei grandi alberghi di Doha, sono una cortina fumogena per coprire le vere intenzioni di Israele e del suo attuale governo: riprendere il pieno controllo della Striscia.
Finora l’IDF si è concentrato principalmente su attacchi aerei e raid terrestri limitati nel nord di Gaza, nella parte orientale del corridoio di Netzarim al centro e nell’area di Rafah a sud. Tuttavia, sono ancora in corso i preparativi per l’attuazione del piano più ampio del nuovo capo dell’esercito israeliano Eyal Zamir: mobilitare diverse divisioni, tra cui molte unità di riserva, per un’offensiva terrestre su vasta scala a Gaza. Il decreto è stato approvato ma le “chiamate” dei riservisti sono ancora in stand by. Quel moto di indignazione dopo la strage del 7 ottobre nelle comunità ebraiche lungo il confine della Striscia, si è affievolito. Oggi solo il 60% dei richiamati si presenterebbe nelle caserme. Ma Zamir ha detto ai ministri che il suo piano potrebbe finalmente realizzare ciò che Israele non è riuscito a realizzare in quasi un anno e mezzo di guerra: la completa distruzione del governo e delle capacità militari di Hamas, un’Amministrazione militare per gestire la Striscia e poi espulsione dell’Onu dalla Striscia lasciando all’IDF il compito di distribuire aiuti e viveri.
L’ex capo delle IDF Herzl Halevi si era fortemente opposto a questo approccio, avvertendo che i soldati non devono essere messi in una situazione in cui vengono uccisi mentre distribuiscono farina alla popolazione civile palestinese. All’interno del ministero della Difesa, poi, è già stato creato dalla scorsa settimana un nuovo dipartimento “per preparare e facilitare il movimento dei residenti di Gaza che desiderano trasferirsi​ volontariamente in Paesi terzi”. Un Ufficio Diaspora anche per i palestinesi.

Maggiani

 

Abbiamo riscoperto il tempo della guerra basta parlar bene della natura umana
Maurizio Maggiani
Il sottoscritto, il Maggia, il Gancio, Barolo e Fabri, siamo un quartetto di lunga durata; da dieci anni ormai, ma non ci ricordiamo bene e forse sono nove o forse undici, ci vediamo ogni settimana, il mercoledì salvo cause di forza maggiore e passiamo assieme la serata. No, non siamo un circolo culturale, non stiamo lì ore e ore a raccontarci la fava e la rava, ma ci facciamo una partita a carte, quello che è diventato un torneo senza fine di cirulla bugiarda. La cirulla bugiarda è un gioco di carte molto particolare; innanzitutto è di esclusiva tradizione ligure, ne esiste una variante argentina porteña frutto della massiccia emigrazione genovese, dopodiché è una scopa a cui vengono applicate molteplici complicazioni e, soprattutto, viene giocata a carte coperte, ovvero la presa viene effettuata sulla parola e la coppia avversaria deve decidere se credere o dubitare, se vedere o lasciar correre, se, vedendo, cogliere un'opportunità di fare punti o rischiare di perderne. Sembra cosa da poco ma non lo è, è gioco di azzardo psicologico, una riserva protetta di pura paranoia, mentire con destrezza, sincerità travestita da menzogna, bluff, controbluff, controcontrobluff, acume nell'interpretazione dei pur minimi movimenti involontari e rivelatori, una conoscenza profonda dell'avversario e del compagno di gioco. Per questo le coppie si uniscono per sempre, io e Fabri contro il Gancio e Barolo, per non disperdere il patrimonio di conoscenze delle nostre più intime e subdole pulsioni dell'animo, e quando, per ragioni di salute, gravi, un giocatore viene sostituito dalla Punta, la nostra riserva, un pio lavoratore del sociale tutto cuore e sentimento, l'azzardo si fa caccia alla strega, perché il più buono tra noi si rivela il più maligno.
Perché sì, siamo tutti brave persone, e senza farci su una teoria abbiamo deciso in piena età adulta di prenderci una sera alla settimana per dare il peggio di noi, quello che ci rifiutiamo di cavar fuori nella nostra vita corrente, nel lavoro, negli affetti, nella vita sociale, nella politica. La cirulla bugiarda è lo spazio, il ring, diligentemente e severamente circoscritto dove ci prendiamo la libertà di scaricare la zavorra delle infami pulsioni che ci portiamo sulle spalle vivendo una vita civile e dignitosa che ne esclude la pratica e persino l'esistenza. Oh, non è quella gran genialata, il nostro quartetto, con rincalzo, non opera le sue catarsi che nel solco di un'antica, ancestrale tradizione di giochi, squisitamente maschili, di teatralizzazioni, persino di pratiche religiose che neutralizzano ritualizzandole le pulsioni pericolosamente asociali. Naturalmente parte essenziale del ring della cirulla è il turpiloquio, anche questo nel solco di un'onesta e universale tradizione; risparmio qui di riportarne il dizionario, ma il lettore che abbia messo piede in un'osteria, in un circolo, in qualunque occasione di una, vera, partita a carte ne è ampiamente edotto. Sì, ce ne diciamo di tutti i colori, rivolti all'avversario e anche all'amato compagno colto in errore, ma, non detto, e forse neppure immaginato, poniamo un limite e il limite è l'insulto.
Ci abbiamo ragionato su l'ultima volta che ci siamo visti noi del quartetto, abbiamo cercato di ricordare, ma no, non è mai capitato, neppure in una delle partite più epicamente combattute, che uno di noi abbia osato l'insulto. E ci siamo dati una risposta piuttosto semplice, l'insulto non può far parte del nostro gioco, l'insulto è una selvaggia pratica di violenza e pretende l'odio, e noi ci vogliamo bene. L'etimo latino di insultare è saltare addosso, colpire, sopraffare; l'insulto è efferatezza perché il suo scopo è colpire fino all'annientamento, che sia fisico, morale, psicologico non importa, che l'arma dell'insulto sia materiale o verbale o giudiziaria o digitale, l'esito è sempre aggressione intenzionalmente annientatrice; e sappiamo fin troppo bene come possa essere anche quella verbale un'aggressione mortale; l'ultima vittima dell'insulto verbale digitalizzato, al momento, è il ragazzo in transizione sessuale che si è suicidato lasciando come ultimo messaggio, perché c'è questo bisogno di insultare?Già, perché?
È ora di finirla di parlar bene della natura umana. Intanto perché la natura umana non esiste; siamo viventi appartenenti al regno animale, tra gli animali, forse, i più evoluti, talmente evoluti da essere tra loro un'unicità, abbiamo mangiato del frutto del bene e del male, e la nostra è la storia di un conflitto continuo e mai risolto di quanto male e di quanto bene siamo portatori e agenti. E in un senso o nell'altro siamo capaci di tutto l'immaginabile, l'Eden lo abbiamo lasciato per sempre; per darci una regolata ne abbiamo inventate di ogni, la religione, la filosofia, lo stato, li usiamo come grandi macchine consolatorie, li usiamo come feroci macchine belliche. Oh, sì, la guerra, il potere della sopraffazione e del dominio, l'instaurazione del regno della morte; quanto profonde nella storia umana siano le radici della guerra, questo è il nostro grande rimosso, di noi che ci sentiamo sinceramente delle brave persone dedite alla vita e ci guardiamo attorno smarriti ora che la guerra ce la siamo portati in casa. Questo è il tempo della guerra, e la guerra non ha aggettivi diminutivi; ci abbiamo provato a esorcizzare, rimuovere, abbiamo inventato ossimori fantasiosi, la guerra umanitaria, la guerra chirurgica, abbiamo escogitato fantasiose teorie, la fine della Storia, il mercato globale come antidoti alla guerra, ma quello che ci accade sotto il naso in Ucraina, a Gaza, in Sudan, nel Kiwu, per citare solo quello che non possiamo non vedere, è solo la solita, vecchia guerra, il massacro, l'esercizio del potere assoluto di vita o di morte su chiunque capiti sotto tiro. E l'insulto ne fa parte, è arma di cecchino, e ognuno di noi brava gente è capace anche di questo, vogliamo solo ricordare quante persone per bene, onesti padri di famiglia hanno scelto la carriera di cecchino durante le guerre nell'ex Jugoslavia? Come possiamo stupirci se l'insulto si è consolidato come arma politica, se la politica si è ridotta a pratica dell'annientamento dell'avversario? Nell'età dei Cesari, l'assassinio dell'avversario non era permesso ma era largamente consentito, oggi la cosa creerebbe qualche problema in più, ci siamo fatti più cauti nell'uso del pugnale e del veleno, ma l'insulto li sostituisce con evidente efficacia, e l'insulto non permesso è ampiamente consentito. Esibire della povera gente in catene per essere deportata è sputarle addosso un insulto mortale, annientamento dell'umanità, privazione della dignità, riduzione a schiavitù, nessuno degli insultati ne potrà sopravvivere illeso, la ferita nel suo animo non cicatrizzerà mai, ma questo nella bocca dell'insultante è vittoria nella dura battaglia contro il nemico. E avrà grande apprezzamento tra gli elettori che hanno scelto il male nel tempo che il male ha la meglio sul bene, il bene è dei deboli nel tempo della guerra, e piace, dà gioia essere tra i forti. I soldati sghignazzanti sopra i corpi dei nemici martoriati, torturati, non sono solo un insulto a quei corpi, ma all'intera umanità, insultano persino sé stessi, e se sopravviveranno lo saranno solo da superstiti invalidi in eterno, la spada ferisce da entrambe le parti, ribadiva Simone Weil. Ma dove e come è diverso il tiktoker sghignazzante sul corpo del ragazzo che sta uccidendo mentre domanda disperato perché c'è questo bisogno di insultare? Forse nella quantità? Possiamo forse stupirci se avendo scelto la guerra ci facciamo governare da degli assassini? Possiamo stupirci se nel tempo della guerra pullulano gli aspiranti assassini? E, sia chiaro, la guerra non ce l'abbiamo sulla punta delle dita e della lingua da sei mesi o tre anni, ma da un bel pezzo, e è da un bel pezzo che i pacifisti che si ritrovano sul ring della cirulla bugiarda volendosi bene e volendone al mondo sono insultati con l'appellativo così caro ai cultori della sopraffazione, buonisti.

Le oscillazioni calendiane

 



Leggi fiabe




domenica 30 marzo 2025

Estika!

 



Considerazioni

 



Ciak!



Fossi stato un regista attrezzato stamani mi fregherei le mani in attesa della statuetta! Perché la faccia del giovane che gira l’angolo assieme agli amici sul confine della maggiore età, dopo un’evidente serata, col carrello di un supermercato, e s’imbatte nei carabinieri, è stata da antologia, mentre nel bar cresceva l’inquietudine dei titolari che si domandavano se fossero maggiorenni, viste le consumazioni appena trangugiate di alcolici! Hanno lasciato il carrello dolcemente e piano piano si sono allontanati, mesti ed affranti. Fellini dall’alto sicuramente avrà esclamato “buona la prima!”

Non cedete!

 



Natangelo

 



Milano

 

Milano, svuotata da alberi e vita
DI MASSIMO FINI
Nel mio quartiere ci sono un panificio, un fruttivendolo e un minimarket, se ho bisogno di un martello devo rivolgermi a eBay. Per il resto: traffico, cemento e parchi pubblici abbandonati
Milano è una città di merda, abitata da una media borghesia di merda da quando i ceti popolari, più o meno all’epoca del boom, sono stati espulsi per andare a vivere nell’immenso hinterland, luoghi che di paese hanno solo il nome e a volte nemmeno una piazza o una chiesa.
Si calcola che ogni giorno entrino a Milano un milione e 300 mila abitanti dell’hinterland e altrettanti se ne vadano a sera alla chiusura degli uffici. Il risultato è che Milano ha perso la sua socialità. Di sera la città è deserta, sia per quel milione e passa che se n’è andato sia perché i milanesi dopo una dura giornata di lavoro (ed è indubbio che nel capoluogo lombardo si lavori seriamente perché il lavoro sta nel Dna dei milanesi che ne hanno fatto una mistica) non hanno voglia di uscire e di andare a infilarsi in quel poco di movida che c’è. La desertificazione di Milano dopo le otto di sera crea quel clima di insicurezza che si respira in città. Perché manca il controllo sociale. Diversa è la situazione a Roma dove i romani sia per il clima sia per il loro dna escono la sera. Diciamo in estrema sintesi: a Milano si lavora, a Roma non si fa un cazzo.
A causa della desertificazione sono spariti i negozietti, le botteghe artigianali e anche attività tradizionali dell’alimentare come il fruttivendolo o il macellaio o il salumiere (per fare un esempio di vita da me vissuta: nel mio quartiere ci sono un panificio, un fruttivendolo e un minimarket, se ho bisogno di un martello devo rivolgermi a eBay). Al loro posto ci sono enormi supermarket dove le commesse fiaccate da un anonimo e massacrante lavoro non hanno il tempo e nemmeno la voglia di fare due chiacchiere. È la stessa ragione per cui i cinema, ma questo discorso vale in generale anche se qui il fenomeno è più acuto, si sono molto ridotti in città, da 160 negli anni Sessanta agli attuali 29. Recentemente sono stato all’Orfeo a vedere Babygirl, il film detestato dal bacchettone Travaglio, e c’erano solo otto spettatori. Ma anche il cine è un momento di socializzazione perché sei con altri spettatori, senti i loro commenti e dopo, magari, ti fermi sul marciapiede per commentare. Altra cosa è vedere un film standotene seduto comodamente a casa perché puoi farlo grazie a Netflix.
A Milano c’è un traffico allucinante, come a Roma ma con minori giustificazioni di Roma. Milano è tutta piatta. Roma, “la città dei sette Colli”, no. Le piste ciclabili si potevano fare già mezzo secolo fa e fare quindi della bici un mezzo di locomozione come ad Amsterdam. Si sono fatte adesso, troppo tardi, per cui formano imbuti per il traffico delle automobili. Il traffico diventa poi totalmente insostenibile se ci sono grandi eventi come la moda o il mobile. In quei giorni è praticamente impossibile trovare un taxi, cosa già difficile in tempi normali, bisogna affidarsi ai mezzi e in questo Milano con le cinque linee di metro più il passante resta un’eccellenza.
Milano a differenza di Roma ha già di per sé pochissimi parchi pubblici, i Giardini Montanelli, il Parco Sempione, Trenno e qui ci si ferma. In realtà ci sono nel centro molti giardini privati, me ne resi conto una volta che sorvolavo Milano con un aereo da turismo (adesso non si può più fare) ma quelli se li godono solo gli abitanti di quei ricchi edifici. Come se ciò non bastasse Milano è vittima – come ha documentato Gianni Barbacetto in vari articoli e nel libro Contro Milano, ma non solo lui – di una cementificazione selvaggia. Scrive Barbacetto: “I dati ufficiali Ispra dicono che a Milano tra il 2019 e il 2020 sono stati impermeabilizzati ben 935 mila metri quadrati e che nel 2023 sono stati consumati altri 190 mila metri quadrati, l’equivalente di 26 campi di calcio” (il Fatto, 14.2). Come se ciò non bastasse le proprietà di Milan e Inter, americane, vogliono abbattere San Siro che per noi milanesi è come abbattere il Duomo, anzi peggio, e costruirvi attorno il solito gozzillaio di hotel superlusso, centri congressi, eccetera, andando quindi ad intaccare e quasi a cancellare il Parco Trenno dove ci sono le piste di allenamento per i galoppatori (il trotto è sparito) come quella “alla Maura” in particolare. È un’area, quella, molto particolare perché sei a Milano e insieme fuori Milano, dove si respira ancora un profumo di erba e di campagna e dove c’è il Cemetery, cioè il cimitero che raccoglie le spoglie dei soldati del Commonwealth, dei ragazzi di vent’anni o poco più, fra cui sudafricani, i ‘razzisti’ sudafricani a cui dobbiamo anche a loro la liberazione dal nazifascismo, “venuti a morire inutilmente per la libertà d’Europa” (Curzio Malaparte).
Scriveva Dino Buzzati nel 1958 e quindi prima di Celentano (Il ragazzo della via Gluck) e di Barbacetto: “Ma nulla la città odia quanto il verde, le piante, il respiro degli alberi e dei fiori” (Il tiranno malato).
E il clima, vogliamo parlare del clima? Milano è una città mefitica, dove il tasso di umidità è quasi sempre vicino al novanta per cento e oltre e dove l’aria che si respira è quella dello scappamento delle auto. Luglio è il mese più tremendo. Non tira un alito di vento, chi può se ne fugge ai laghi o al mare. E chi non può, quasi sempre anziani con poca lira a disposizione, quasi sempre single perché Milano è una città di solitudini a due ma più spesso a uno? Ascolta, col batticuore, le sirene delle autoambulanze che scorrazzano in una città finalmente liberata dal traffico e si dice: “Se le sirene non sono per me questa volta, sarà la prossima”.

Meditate

 

Piazzisti&pizzini
DI MARCO TRAVAGLIO
Ieri il presidente Mattarella, sempre così allergico alla “guerra ibrida” e alle interferenze straniere in Italia, sarà sobbalzato sulla poltrona. In stereo, su Corriere e Stampa, due europapaveri – la presidente della Commissione Von der Leyen e il leader del Ppe Manfred Weber – hanno impartito ordini perentori di riarmo al governo e alla maggioranza. Due mega-pizzini con lusinghe alle nostre industrie militari e velate minacce ai dissenzienti: non è vero che il piano Ursula favorisca l’unico Paese che può permettersi di indebitarsi, cioè la Germania da cui casualmente provengono entrambi. Anzi: è tutta manna per l’Italia, che ha il record europeo di poveri assoluti e giovani senza lavoro né studio, il tasso di occupazione, i salari e il potere d’acquisto più bassi, il costo dell’energia più alto, la produzione in rosso da 23 mesi, dunque deve affrettarsi a fabbricare più armi per per spararsi nelle palle, che è il vero sport nazionale. Tra una balla e l’altra sulla “Europa progetto di pace”, il “kit di resilienza” magistralmente illustrato dalla commissaria Lahbib, l’Ucraina “porcospino d’acciaio completamente indigesto per qualsiasi invasore” (testuale), Putin che “ha fallito” perché ne ha occupato appena un quinto, l’Ue adorata dal 74% degli europei, la von der Leyen fa la piazzista di imprese&affari: “L’Italia trarrà grandi benefici… Avete giganti dell’aerospazio come Leonardo, imprese navali innovative come Fincantieri. Si tratta di investire in queste industrie, che creeranno buoni posti di lavoro… Leonardo ha annunciato una joint venture con Rheinmetall e beneficerà degli investimenti tedeschi”.
Rheinmetall è il colosso privato, casualmente tedesco, famoso per aver fornito cannoni e carrarmati all’Impero germanico nella Prima guerra mondiale e poi al Terzo Reich hitleriano nella Seconda grazie ai lavoratori forzati in prestito dai lager, poi purtroppo costretto a “diversificare” per il disarmo imposto alla Germania dai vincitori. Ma ora è tornato a produrre armi da fuoco, missili, tank, F-35 e altre delizie e vola in Borsa grazie al riarmo cosiddetto “europeo” lanciato dalla connazionale Ursula. Anche il tedesco Weber nega che il piano Ursula favorisca l’industria tedesca: “È un falso argomento” (infatti piace solo ai tedeschi). Segue pizzino a Salvini e Giorgetti che, non essendo tedeschi, osano dubitare: “Sono lieto che il mio amico Tajani segua l’eredità di De Gasperi” (sono due gocce d’acqua) e, “se i leghisti non capiscono che queste divisioni non fanno che danneggiarci (in quanto tedeschi, ndr), non hanno capito la portata storica di questa missione”. Nel timore che gli siano sfuggite, segnaliamo le due interviste al capo dello Stato perché metta a posto i due crucchi impiccioni come solo lui sa fare.

L'Amaca

 

C’era una volta l’America
di MICHELE SERRA
Le professioni di “atlantismo”, con la ricorrente invocazione della indissolubile alleanza tra Europa e Stati Uniti, cominciano a sembrare quasi surreali mano a mano che dal governo americano arrivano segni di disprezzo e insofferenza nei confronti degli europei.
Fossero solo parole, si potrebbe fingere di non sentirle, sacrificando la dignità alla convenienza. Ma sono gli atti politici a dirci che le cose stanno cambiando molto rapidamente, tanto da far dubitare che i famosi “valori comuni dell’Occidente” siano ancora tali da cementare l’alleanza geopolitica nata dopo la Seconda guerra.
La stretta dell’amministrazione Trump sui diritti, sulle politiche di inclusione, sulla libertà di insegnamento, sull’amministrazione pubblica e dunque sul Welfare, sul diritto di manifestare (vedi l’epurazione dalle università degli attivisti filopalestinesi, e l’incredibile arresto per la strada di una di loro, prelevata da agenti in borghese), sulla sopravvivenza delle istituzioni governative destinate alla solidarietà internazionale, su tutto ciò che puzza di solidarietà e dunque puzza di sinistra, parla di un secondo maccartismo che non si prende nemmeno la briga di travestire la caccia alle streghe allestendo commissioni di indagine e pseudo-procedimenti contro i presunti “traditori”. Basta firmare un decreto, bypassare ogni autorità di controllo, ogni voce terza che parli nel nome della Costituzione e non nel nome del governo, e il traditore è liquidato.
Non sappiamo con quanta inquietudine oppure quanta indifferenza i governi europei valutino questo cambiamento di scena, così manifesto, così brutale. Ci basterebbe sapere che “atlantismo”, così come ci avevano detto, non è solo mera convenienza militare, è anche condivisione di un orizzonte di valori. Che fare, dunque, nel caso i valori non fossero più gli stessi?

sabato 29 marzo 2025

Micron



Micron Calenda a volte fa tenerezza! Dall’alto del suo 2% crede di essere in grado di far sermoni. Il Trottolino che viaggia da una sponda all’altra ci agevola sentimenti misericordiosi. Vai a nanna Micron!

Ciuc ciuc Molinari!

 




Come fare per insinuare a poco a poco l’idea di un possibile conflitto tra il popolino: prendere un Molinari qualsiasi, istruirlo e lasciare che spernacchi deontologia, intelligenza e dignità!

Muto

 



Calma calma! Ci spiega!

 



Natangelo

 



Prima Pagina

 



Orsini

 

Ma fu l’Ucraina la prima a tradire i patti coi russi
DI ALESSANDRO ORSINI
“Trattare con Putin è impossibile perché Putin non rispetta gli accordi e viola i trattati. La colpa della guerra in Ucraina è soltanto sua”.
Nessuna delle più prestigiose università americane, da Harvard a Cornell University Press, pubblicherebbe mai una monografia accademica con questi contenuti. Quale rivista scientifica pubblicherebbe una tesi del genere? Nessuna. Quando si tratta di spiegazione causale, il metodo delle scienze storico-sociali prevede di includere il punto di vista di tutti gli attori coinvolti nello studio. Il ricercatore deve condurre la sua indagine privo di pregiudizi e con distacco emotivo. Secondo i russi, i primi a violare i trattati sono stati gli ucraini. È vero? Indaghiamo per verificare.
L’Ucraina ha violato il Trattato di amicizia, cooperazione e partenariato russo-ucraino, firmato a Kiev il 31 maggio 1997 da Kuchma e Eltsin iniziando una corsa verso il baratro. Quel Trattato, noto anche come il “grande trattato”, impegnava l’Ucraina a non usare il proprio territorio per nuocere alla sicurezza della Russia e viceversa. Ne consegue che il Trattato russo-ucraino del 1997 proibiva a entrambi di stringere alleanze militari ritenute pericolose dalla controparte. Prima di spiegare quando e come l’Ucraina ha violato il Trattato del 1997, dobbiamo collocarlo nel suo contesto storico e domandarci perché Eltsin avvertì l’esigenza di firmarlo proprio nel 1997. La risposta è agevole per chi conosca la storia dell’espansione della Nato. Il 1997 è l’anno in cui Clinton ordina alla sua segretaria di Stato, Madeleine Albright, di avviare il processo di inclusione nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, compiuto nel 1999. Intuita la manovra, Eltsin si affrettò ad assicurarsi che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato. Ecco perché il Trattato fu firmato nel 1997.
L’Ucraina ha violato il Trattato di amicizia russo-ucraino il 4 aprile 2008, quando la Nato ha annunciato che l’Ucraina sarebbe diventata suo membro nel summit di Bucarest. Il Trattato di amicizia tra Russia e Ucraina sopravvisse per i successivi undici anni. Scadde il 31 marzo 2019 perché il presidente Poroshenko non volle rinnovarlo. Poi l’Ucraina ha condotto tre esercitazioni militari con la Nato sul proprio territorio nell’estate 2021.
La prima esercitazione militare della Nato in Ucraina, “Sea Breeze”, si è svolta dal 28 giugno al 10 luglio 2021 e ha coinvolto ben 32 nazioni. All’epoca, la Nato si componeva di 30 membri, ma l’Occidente ha voluto invitare anche alcuni Paesi “amici”, come l’Australia. Le esercitazioni si sono svolte nel Mar Nero e a Odessa.
La seconda esercitazione militare della Nato in Ucraina, “Three Swords”, si è svolta dal 17 al 30 luglio a Javoriv, vicino al confine con la Polonia. Questa esercitazione è stata definita dalla Reuters di “ampie dimensioni”. Ha coinvolto anche Stati Uniti, Polonia e Lituania. Poco dopo, il 31 agosto 2021 Lloyd Austin, segretario alla Difesa americano, e Andrij Taran, l’allora ministro della Difesa ucraino, firmarono a Washington il “US-Ukraine Strategic Defense Framework”, un accordo di penetrazione della difesa americana nella difesa ucraina. Il 20 settembre 2021 la Nato ha avviato la sua terza esercitazione militare in Ucraina, “Rapid Trident”, di nuovo a Javoriv, per un totale di dodici Paesi. Il 10 novembre 2021 Antony Blinken, segretario di Stato americano, e Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, hanno firmato il “US-Ukraine Charter on Strategic Partnership”, un altro accordo di penetrazione della difesa americana nella difesa ucraina. Nel frattempo, l’esercito di Kiev uccideva migliaia di civili russi in Donbass. Il 13 aprile 2022, il Wall Street Journal ha rivelato che la Nato ha addestrato 10.000 soldati ucraini all’anno a partire dal 2014 nell’articolo significativamente intitolato Il successo militare dell’Ucraina: anni di addestramento Nato.
Sotto il profilo politico, il mancato rinnovo del Trattato di amicizia del 1997 da parte di Poroshenko ha posto fine al Memorandum di Budapest. Nel momento in cui Poroshenko ha aperto l’Ucraina alle armi e ai soldati della Nato, i russi hanno ritenuto che il Memorandum di Budapest fosse carta straccia. Da qualunque punto di vista si guardi il problema, la classe dirigente ucraina ha commesso molti errori. La distruzione dell’Ucraina inizia a renderli evidenti. I vincitori distorcono sempre la storia. Figuriamoci gli sconfitti.

Attorno ai balordi

 

Criminali volenterosi
DI MARCO TRAVAGLIO
Che al negoziato trumpiano Ucraina-Russia la cosiddetta Europa preferisca la guerra per procura fino all’ultimo ucraino l’hanno capito tutti. Infatti gli euro-guerrafondai e i loro trombettieri si nascondono dietro una neolingua da Ministero della Verità orwelliano (“La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”). Il piano di riarmo da 800 miliardi si chiama “Prontezza 2030” (cioè lentezza: però magari Putin, per invaderci, aspetta 5 anni finché siamo pronti). Gli interventisti Macron, Starmer&C. vogliono inviare truppe a Kiev per sabotare i negoziati e spingere Zelensky a non firmare né tregua né pace. Ma non possono ammettere di aver mentito fin qui ai loro popoli (“mai un solo uomo in battaglia per evitare la terza guerra mondiale”): sennò si capisce che stanno mettendo nel mirino di Putin l’intera Europa, mai finora nelle mire di Mosca. Quindi si son dati un nome civettuolo e rincuorante: “volenterosi”. E i soldati che intendono mandare a morire sul fronte ucraino (ovviamente i russi sparerebbero anche a loro) non si chiamano “truppe di guerra”, ma “forza di rassicurazione”, “missione di monitoraggio” e “rafforzamento dell’esercito ucraino” (che è già il primo d’Europa). Raccontano che partiranno solo dopo la tregua o la pace, per difendere gli ucraini da altri attacchi. Ma è chiaro che è una balla: i soldati sono fatti apposta perché la tregua e la pace non arrivino. Se arrivano, non sono certo i “volenterosi” a decidere chi fa il peacekeeping. È uno dei punti più controversi del negoziato: difficilmente i vincitori russi accetteranno di ritrovarsi gli eserciti Nato al confine, visto che hanno invaso l’Ucraina proprio per evitarlo.
Se Mosca firmerà una tregua e una pace – come sa chi ha studiato i negoziati di Istanbul del marzo-aprile 2022 e la dottrina militare russa, che non muta ogni due per tre come quella Nato – sarà solo in cambio di un’Ucraina neutrale e ampiamente smilitarizzata: quella che Nato, Ue, Usa e Kiev avevano promesso nei primi anni 90 a Eltsin, tradendo poi continuamente i patti con golpe bianchi ed espansioni a Est ben prima che arrivasse Putin. È un ricatto basato sulla legge del più forte? Sì, almeno per chi guarda solo l’ultimo fotogramma ignorando tutto il resto del film, cioè la storia degli ultimi 30 anni. Ma è l’unica condizione per chiudere la guerra. L’alternativa è farla proseguire con lo stesso esito disastroso (per gli ucraini e per l’economia europea) di questi tre anni. A meno di non pensare che i territori occupati (oltre il 20% del Paese), dati per persi pure da Zelensky, siano riconquistabili con 20-30 mila soldati inglesi, francesi, canadesi, australiani, polacchi e baltici. E allora chiamiamoli col loro nome: non “volenterosi”, ma “pazzi criminali”.

L'Amaca

 

Una discussione bombardata
di MICHELE SERRA
Ricevendo una delegazione dell’Aeronautica, il presidente Mattarella ha detto che «le profonde trasformazioni geopolitiche, tecnologiche, strategiche» richiedono una risposta rapida, e con una voce sola, da parte dell’Europa. Se non lo fa, l’Europa si condanna alla subalternità, perché «le nuove minacce ibride, dalla guerra cibernetica all’uso strategico dello spazio, stanno alterando il contesto di regole faticosamente costruito dalla comunità internazionale dopo la seconda guerra mondiale».
Con Musk che usa il cosmo come il bigliardo di casa, Trump che vuole annettersi la Groenlandia (territorio europeo), i carri russi in Ucraina, il macello di Gaza che continua con zero possibilità che siano i vicini europei a dire o fare qualcosa di umano e di utile, quelli espressi dal capo dello Stato sono pensieri inevitabili, e preoccupazioni diffuse in una parte rilevante della pubblica opinione.
Eppure è quanto basta, nei peggiori bar del Paese, per essere tacciati di bellicismo, di essere al soldo dell’industria delle armi, di preparare la guerra.
In attesa che qualcuno chieda a Mattarella “chi ti paga?”, ci si domanda se e quando sarà possibile parlare di difesa europea (che in questo momento vuol dire anche difesa della democrazia, se è lecito farlo presente) al riparo dal bombardamento ideologico che ammorba il dibattito.
Se il nuovo governo degli Stati Uniti dice, nelle chat così come nei discorsi istituzionali (la differenza, sotto Trump, è impercettibile), che è finita l’ora della difesa europea pagata dagli americani, è più ragionevole prenderne atto oppure imitare Meloni, che fa finta di niente? E avere manifestato per decenni contro le basi americane in Europa, non dovrebbe suggerire un giudizio più circospetto di fronte all’ipotesi che in Europa ci siano le basi europee?

venerdì 28 marzo 2025

Forse rosichiamo ma...

 


Lo ammetto, potrebbe essere vista come invidia, frustrazione, rigurgito esistenziale. Non lo è, garantisco. Guardate il tutto come rivendicazione sociale. Tutto qui. Di cosa sto parlando? Il Sior Bezos, quello dei pacchi consegnati, dal 24 al 26 giugno ha sequestrato quasi interamente Venezia per festeggiare le sue seconde nozze. Il suo veliero immenso da 500 milioni di euro già staziona nei pressi della città lagunare. Per i suoi ospiti, che arriveranno sicuramente con voli personali, alla faccia di chi centellina persino i meteorismo per cercare di non inquinare, e che sono oltre duecento, sono stati prenotati già sei mega hotel ad una media di 3200 euro per stanza, e tutti i taxi motoscafo presenti a Venezia, la quale, già da tempo immemore deturpata da una forma di turismo tendente alla razzia, dovrà sopportare anche questa smargiassata di ultra ricconi. 

E allora in cosa sperare? Nel tempo, nella meteorologia, in giornate particolari dove vento, onde e piogge potrebbero insufflare nelle teste coronate da dollari che in fondo in fondo, a guardar bene, i miliardi non riescono ancora a divaricare tanto profondamente il già eclatante sopruso sociale che i ricchi muovono contro gli apparenti comuni mortali. Un livella di giustizia filosofica per intenderci! 

E per finire all'unisono: tutti a corvare!     

Actung!

 

La Nuova supremazia della Germania

È il vero nemico della difesa comunitaria. L’Unione europea verrà disgregata: c’è un solo Stato che può estendere il debito oltre misura e farsi carico delle spese necessarie a preparare la guerra

Andrebbe fatta un po’ di chiarezza sul Piano Riarmo-Europa, che è stato ribattezzato Prontezza 2030 per volontà dell’italiana Meloni e del socialista spagnolo Sánchez e che nella sostanza resta quello che è: l’instaurazione di un’economia di guerra, grazie alla quale gli Stati europei mobilitano 800 miliardi di euro contro i due “nemici strategici” che sono Russia e Cina, oltre a Corea del Nord, Iran, parti imprecisate dell’Africa.

La parola ReArm scompare dal titolo, ma non dal testo, scritto da due baltici: l’estone Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera, e il lituano Andrius Kubilius, commissario alla Difesa.

Le minacce russe e cinesi sono molteplici, stando al Libro Bianco Ue: è in pericolo “la libertà d’azione nell’aria e nello spazio”; crescono le “minacce ibride con attacchi informatici, sabotaggi, interferenze elettroniche nei sistemi di navigazione e satellitari, campagne di disinformazione, spionaggio politico e industriale, armamento della migrazione”. Armamento della migrazione è orrenda traduzione di Weaponisation of Migration, migrazione usata come arma dai summenzionati nemici.

Come ai tempi della guerra antiterrorista globale scatenata dopo l’attentato al Qaeda del 2001 (ma pensata anni prima), il nemico esistenziale “minaccia il nostro stile di vita e la capacità di scegliere il nostro futuro attraverso processi democratici”. Quale stile? Se è lo stile basato sulla giustizia sociale e il pluralismo delle idee, il Riarmo lo squassa: il Welfare sarà ancor più decurtato e agli apparati militari-industriali sarà affidata la cosiddetta way of life.

Quanto all’uso russo e cinese della disinformazione, converrebbe andarci piano. Si descrive una “Cina autoritaria che estende il potere sulle nostre economie e società”, e si sottace l’immenso reticolato di influenze/ingerenze occidentali nel mondo. Per i sostenitori di ReArm Europe – termine insensato: lo Stato europeo non c’è, dunque ognuno farà da sé – l’interferenza russa o cinese è guerra ibrida, mentre la planetaria ingerenza occidentale si chiama soft power, “potere soffice”, anche quando rovescia governi come in Ucraina nel 2014, con soldi e violenza, o delegittima esiti elettorali non allineati alla Nato, come quello in Romania del dicembre 2024.

L’ordine da difendere è quello “basato sulle regole” (rules-based order) che dalla fine della Guerra fredda ha violato ogni legge internazionale in difesa di una sola regola: il dominio unipolare Usa sul pianeta, peraltro fallito. Le difficoltà che abbiamo davanti – migrazioni, disinformazioni – non nascono mai a casa nostra. Sono bombe lanciate dall’esterno contro l’immacolato, mite Occidente. Le “fabbriche russe sfornano milioni di fake news al giorno”, ammonisce gridando Roberto Benigni.

Ma la questione centrale è un’altra. Il Piano Riarmo disgregherà l’Unione in modi non subito percepibili, ma fin d’ora evidenti: infatti c’è un solo Stato che può oggi estendere il debito oltre misura, facendosi carico delle ingenti somme destinate a riarmo e infrastrutture (1.000 miliardi di euro): ed è la Germania. Gran parte degli altri, tra cui Roma e Parigi, sono talmente indebitati che l’Ue, sbilanciandosi, rischia la bancarotta. La rischia anche ostinandosi ad armare la guerra di Kiev, proprio mentre Trump tenta la pace, ingiusta come tutte le paci, con Zelensky e Putin.

Macron promette di proteggerci con le atomiche, ma ne ha poche: con 290 testate contro le 6.000 russe non crei gli equilibri della deterrenza. Inoltre il presidente non sa quello che dice, vende la pelle dell’orso senza averlo preso: il prossimo capo dello Stato, nel 2027, sarà un nazionalista. Marine Le Pen, se vince, vuole iscrivere la sovranità inalienabile dell’atomica nella Costituzione.

Dunque la Germania, che nell’originario atlantismo postbellico andava imbrigliata (“Americani dentro, Russia fuori, Tedeschi sotto”), riemerge con serie mire egemoniche. Il cancelliere in pectore Merz non ha aspettato i colleghi Ue per annunciare il proprio piano di riarmo, nel discorso al Parlamento del 18 marzo, e per opporlo a un’aggressività russa data per certa e imminente, contro i tedeschi e il resto d’Europa. Sono d’accordo gli alleati socialdemocratici e i Verdi, che sono i primi spregiatori della Russia di Putin. Nel voto più delicato, il 21 marzo alla Camera dei Länder, la Linke (“Sinistra”) ha votato a favore, con la scusa che parte dei fondi a debito andrà ai governi regionali cui partecipa.

Parlare di abbandono dell’austerità perché il tetto del debito viene sforato è mezza verità. La svolta tedesca frantumerà ancor più l’Europa. E intanto Merz spenderà meno per il reddito di cittadinanza (Bürgergeld) e l’integrazione dei migranti. Infine imporrà il silenzio Ue sulle guerre di sterminio di Israele in Palestina.

È la conferma della rivoluzione mentale iniziata da Scholz con il “cambio epocale” annunciato nel 2022 in tema di difesa (100 miliardi di euro, tre giorni dopo l’assalto all’Ucraina) e dilatato al massimo da Merz. Si conclude così una lunga epoca della nazione tedesca e in particolare della sua socialdemocrazia, che torna alle origini weimariane pre-naziste, quando il ministro della Difesa socialdemocratico Gustav Noske represse varie insurrezioni sociali e seminò migliaia di morti comunisti, tra cui Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (“Se c’è bisogno di un segugio sanguinario, un Bluthund, eccomi qua”). Il riarmo di Merz è il culmine di un lungo processo iniziato con la supremazia economico-finanziaria tedesca che impose nel 1997 i vincoli del Patto di stabilità, poi si accanì contro la Grecia, umiliando un Paese membro come mai era avvenuto nell’Ue. L’evento è tuttora descritto come “gran successo dell’euro” e del whatever it takes. I greci si pronunciarono in un referendum contro il rigore dell’Ue (privatizzazioni e tagli sociali). Furono tacitati come se non avessero votato.

La regressione tedesca è spettacolare, rispetto agli anni 60 e 70 del secolo scorso. Viene sepolta l’esperienza di Willy Brandt, che dopo anni di arroccamento antisovietico costruì la distensione – la Ostpolitik – e sfociò nel 1973-1975 nella Conferenza sulla sicurezza europea di Helsinki. L’Atto finale della Conferenza obbligava i firmatari, tra cui Usa e Urss, al rispetto dei confini, alla soluzione pacifica dei conflitti, alla non ingerenza nei reciproci affari interni, alla difesa dei diritti umani.

Se l’Atto fosse durato avrebbe sostituito la Nato, quando nel 1991 furono sciolti Patto di Varsavia e Urss. Gli occidentali avrebbero protetto le minoranze russe nell’Europa post-sovietica (nei Baltici, in Ucraina, in Georgia). Non lo fecero. La lingua e i diritti dei russi sono oggi calpestati da Kiev come nei Baltici: il 25% della popolazione lettone è russa e così si dica per il 24% degli estoni e il 4,5% dei lituani.

Se la questione della diaspora russa non sarà risolta, sarà difficile far finta che Mosca abbia attaccato nel 2022 senza mai esser stata provocata, dopo 14 allargamenti della Nato e otto anni di guerra di Kiev contro russi e russofoni del Donbass (14.000 morti).

Lezione tomasea

 

Israele “siamo noi”: e “noi” stiamo devastando Gaza
DI TOMASO MONTANARI
In questi giorni terribili, nei quali il massacro accelera verso esiti ancora più mostruosi, Gaza scompare dai siti dei grandi giornali, dalle aperture dei telegiornali, dalla coscienza mainstream. Non vediamo, non sentiamo, non ce ne curiamo: i dazi, la Groenlandia, le sanzioni alla Russia. Questo ci riguarda, Gaza no. Come non ci riguardano il Sudan, il Myanmar o il Congo. E la ragione, come ha scritto con la consueta precisione Paola Caridi, è “il razzismo sostanziale” con cui guardiamo: “Non solo non sono bianchi, ma non contano nelle dinamiche politiche internazionali, perché ci sono ‘gli interessi occidentali’ che debbono essere protetti. Anche fuori da un indefinito occidente. Sono massa, sono poveri, sono sfigati, non sono rilevanti. La politica-politica si fa da altre parti”. Per tutti questi pezzi di mondo non vale il paradigma ‘un aggredito e un aggressore’, perché ce n’è un altro, sovraordinato: ‘noi e loro’.
Il primo paradigma vale solo se l’aggredito siamo noi: se siamo l’aggressore, allora subentrano ‘lotta al terrorismo’, ‘buoni contro cattivi’. Così è per il diritto umanitario internazionale, prodotto occidentale per occidentali: guai se è il Sudafrica a mettere sotto accusa ‘uno di noi’. Ciclicamente, questo brutale egoismo a geometria variabile (nel 2001, per dire, Putin era uno dei crociati del bene contro il ‘terrore islamico’) torna a vestirsi di legittimazioni ideologiche, attingendo al pozzo senza fondo dell’invenzione della tradizione. “Solo l’Occidente conosce la Storia”, recitano le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione Valditara-Galli della Loggia. Ed “è attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti”, “che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzitutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli”. Tutto detto in chiaro: il suprematismo occidentale affastella la sua mitologia, dalla Bibbia alle saghe nordiche. Uno schemino puerile, pieno di debolezze ed errori. Antropologi hanno spiegato che il “ministero dell’Istruzione … esprime ideologie predefinite invece di acquisizioni scientifiche”, l’Associazione Italiana Studi Cinesi è andata al fondo del problema, chiarendo che “il concetto di ‘Occidente’, che riflette l’essenzializzazione di una dimensione culturale e temporale specifica, è vago dal punto di vista sia del tempo sia dello spazio. Semplificazioni che possono risultare in una mistificazione della realtà storica”.
Gli storici del Medioevo hanno deplorato, “in un testo destinato a indicazioni (cioè orientamenti, tracce per la programmazione didattica e per il lavoro in classe), la pretesa di inseguire le verità ultime”, la Società Italiana di Didattica della Storia ha denunciato il fatto che il documento “subordina la storia a un progetto politico”, cancellando “la storia, intesa come ricostruzione scientifica del passato, per sostituirla con un racconto che la storiografia conosce come ‘biografia della nazione’ e che annovera da tempo fra le tradizioni inventate. Questo testo non prescrive di studiare la storia italiana, ma una sua versione mitologizzata”. Come tutte le mitologie, anche quella dell’identità occidentale è pervasiva: non domina solo i discorsi delle destre, ma anche di altri che pensano sé stessi come alternativi. Per esempio, quello di Roberto Vecchioni in piazza del Popolo, un impressionante rigurgito di razzismo culturale: “Socrate, Spinoza, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Cervantes, Pirandello, Manzoni, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?”. Il cerchio si chiude quando, dallo stesso palco, uno scrittore dice che noi europei “non siamo gente che invade paesi confinanti, non siamo gente che rade al suolo le città, non massacriamo e torturiamo civili con gusto sadico”. Ebbene, non è esattamente quello che sta facendo Israele a Gaza? Ripetiamo, come un atto di fede coloniale, che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, l’unico baluardo di civiltà: la nostra. Che Israele ‘è come noi’, anzi: siamo noi. Siamo dunque proprio noi che radiamo al suolo l’antica città mediterranea di Gaza, le sue persone, i suoi monumenti, la sua storia. Ma guai a dirlo, perché ‘noi queste le cose non le facciamo’ anche quando è evidente che le stiamo facendo qui e ora. Cosa potrebbe essere più illuminante di questo clamoroso ritorno del rimosso, compiutosi in piazza di fronte a decine di migliaia di persone? Ci indigniamo per il Manifesto di Ventotene, ma abbiamo costruito un’Europa che è il suo opposto; difendiamo le radici cristiane della nostra civiltà, ma la nostra morale di rapina e guerra è violentemente anticristiana; ci appropriamo di Socrate, ma chiamiamo traditore chi disobbedisce al pensiero unico della guerra e delle armi. Occidentali, non umani: ‘Gaza non siamo noi’. Che il massacro continui.

Lodi tra colleghe

 



Natangelo

 



Dategli una Picierno!

 

Le favole di Pinocchia
DI MARCO TRAVAGLIO
Prima che l’ennesimo euro-scandalo – gli incontri della lobby israeliana di estrema destra Idsf, mai registrata né autorizzata, con 19 eurodeputati, fra cui la pidina Pina Picierno – diventi la solita disputa burocratica su regole e regolette, è bene andare alla sostanza. Se la vestale del renzismo, del bellicismo e dell’atlantismo (ma solo, coerentemente, fino all’elezione di Trump), riceve i capi dell’Israel Defense and Security Forum con tanto di foto opportunity nel Parlamento europeo di cui è una dei 14 vicepresidenti, il problema politico non è se e come abbia registrato gli incontri. Né che siano avvenuti. Chi mai dovrebbe incontrare quella congrega di fanatici estremisti che teorizzano la colonizzazione illegale della Cisgiordania e reclutano mercenari per le guerre di Israele, se non la Picierno, che in quest’anno e mezzo, col giochino “E allora il 7 ottobre?”, è riuscita a non condannare mai nettamente ed esplicitamente il governo Netanyahu per lo sterminio di 50 mila (almeno) palestinesi a Gaza e a tacciare di antisemita filo-Hamas chiunque lo chiamasse col suo nome? Il problema politico è cosa ci faccia questa signora nel Pd. O, in alternativa, quale credibilità abbia il Pd quando tuona (di rado) o pigola (spesso) contro i crimini di Netanyahu&C. se poi si tiene le Picierno e altri sedicenti “riformisti” per mancanza di riforme. Un altro frequentatore dell’allegra brigata israeliana è il lituano Andrius Kubilius, commissario Ue per la Difesa, e anche lì nessuno stupore: è un altro tifoso del riarmo e non poteva non empatizzare. Ma almeno sta in un partito di destra catto-nazionalista. Non in uno di presunta “sinistra”.
Ma, in questa spettacolare farsa chiamata Europa, capita che la Commissione, cioè il governo, sia composta da Cdu, FdI, Liberali, Verdi e Pse. Infatti continua a sfornare auto-sanzioni alla Russia, ma non s’è mai sognata di discutere e men che meno votare sanzioni a Israele. Neppure per bloccare le forniture di armamenti che Netanyahu usa per radere al suolo la striscia di Gaza, attaccare la Cisgiordania aizzando e armando i coloni più violenti, il Libano, la Siria, l’Iran, lo Yemen e ogni tanto pure l’Iraq. Intanto la Picierno dichiarava con grave sprezzo del ridicolo che “l’Italia non vende armi a Paesi in guerra”. Stilava liste fantasy di putiniani. E riusciva a chiedere, restando seria, “alla Commissione e al Consiglio Ue l’inserimento di Ciro Cerullo, in arte Jorit, tra gli individui sottoposti a sanzioni” perché l’artista di strada napoletano aveva dipinto un murale su Mariupol e incontrato Putin a Mosca per portare messaggi di pace. Invece, per una che incontra i lobbisti delle guerre e delle stragi d’Israele, niente sanzioni. Anche perché dovrebbe sanzionarsi da sola.