Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
giovedì 31 marzo 2022
Prof Orsini
Antò
mercoledì 30 marzo 2022
Se per caso…
Accade anche questo
Grande Robecchi!
L'Amaca
martedì 29 marzo 2022
Orsini dal Fatto Quotidiano
Ucraina. L’unica speranza è appesa alle sanzioni contro i bambini uccisi
DI ALESSANDRO ORSINI
La mia proposta di vincolare le sanzioni contro la Russia al numero dei bambini uccisi in Ucraina ha ricevuto alcune critiche, nessuna decisiva. La prima critica è che, nell’anno 2021, il numero di bambini uccisi nei bombardamenti in Yemen è aumentato rispetto al 2020. Questa obiezione è facilmente superabile. La mia analisi prende in considerazione il periodo 2016-2020. Non è metodologicamente corretto utilizzare i dati del 2021 per confutare un ragionamento relativo al 2016-2020. Nel mio articolo del 18 marzo su queste colonne, spiegavo che l’Onu ha inserito l’Arabia Saudita nella lista nera nel 2016, depennandola nel 2020. Questo è confermato. La seconda critica è che il numero dei bambini uccisi era verificato dall’Arabia Saudita stessa, ma, nel periodo 2016-2020, l’Onu ha elaborato un proprio report. La terza critica è che avrei trascurato di dire che l’inserimento nella lista nera dell’Onu non equivale a una sanzione. Questa obiezione è corretta in apparenza, ma non nella sostanza. Essere inseriti in quella tragica lista ha causato danni seri all’Arabia Saudita. Il governo inglese, ad esempio, ha sospeso la vendita di armi ai sauditi per effetto di una sentenza della Corte d’Appello del Regno Unito del 20 giugno 2019. Secondo i giudici, il governo di Theresa May non aveva condotto un’indagine adeguata per accertarsi che i sauditi non avrebbero utilizzato le armi inglesi in violazione del diritto umanitario internazionale (International Humanitarian Law). Dall’inizio dell’intervento saudita in Yemen nel 2015, fino al giorno della sentenza del 20 giugno 2019, il Regno Unito aveva esportato armamenti ai sauditi per 5,9 miliardi di dollari, inclusi aerei da guerra e bombe di precisione. Ricevuta la sentenza, il governo inglese ha deciso, in autotutela, di sospendere il rilascio di nuove licenze per l’esportazione di armi. La sentenza del 20 giugno 2019 ribaltava la precedente sentenza del 10 luglio 2017, con cui l’Alta Corte di Giustizia di Londra aveva dichiarato legale la vendita di armi ai sauditi da parte del governo inglese. Commentando la sentenza della Corte d’Appello del 20 giugno 2019 davanti al Parlamento, l’allora segretario di Stato per il Commercio internazionale, Liam Fox, disse che, sebbene il governo May fosse deluso dalla sentenza della Corte d’Appello, era costretto a rispettarla.
I miei critici non riescono a inquadrare bene la mia proposta perché trascurano alcuni fatti fondamentali. Il primo è che molti bambini e molti civili yemeniti vengono uccisi non dalle bombe saudite, bensì dagli Houthi. Il secondo fatto è che l’aumento dei bimbi yemeniti morti è dovuto alla recrudescenza del conflitto: recrudescenza scaturita, in larga parte, dal miglioramento delle capacità offensive degli Houthi, i quali hanno iniziato a colpire il territorio saudita ed emiratino più frequentemente, causando una veemente contro-reazione militare. Il fatto che il numero dei bimbi morti sia tornato a salire nel 2021 non implica che l’inserimento dell’Arabia Saudita nella lista nera abbia fallito nelle sue finalità. Significa, più precisamente, che un nuovo fattore – la crescita delle capacità offensive degli Houthi – è intervenuto all’improvviso alterando un equilibrio benefico per i civili. È ovvio che l’impennata dei bombardamenti da ambo le parti causi una crescita delle vittime civili. In conclusione, la mia proposta di vincolare le sanzioni contro la Russia al numero dei bambini uccisi in Ucraina è ancora l’unica speranza a nostra disposizione per salvare la vita di qualche bimbo, che poi è il senso profondo – io credo – della vita di ogni uomo. Nell’attesa che qualcuno proponga una soluzione migliore della mia, ringrazio chi ha dedicato il proprio tempo a verificare le mie tesi.
Booom!
Gramellini fa l’apologia del nazista di Azov: ‘giusto’ come Schindler
Continua la rivergination dei nazi, purché ucraini: il generale che offre la sua vita
DI DANIELA RANIERI
Prosegue la romantizzazione dei nazisti ucraini del battaglione Azov da parte dei nostri media bellicisti, e anzi sfiora vette liriche (speriamo) intoccate in altri Paesi. Vi abbiamo detto dell’intervista su Repubblica a un capitano dell’Azov che legge e cita Kant: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, omettendo le fosse comuni sotto di lui, come da rapporto Osce del 2016 che li indica come responsabili di uccisioni di massa, occultamento di cadaveri e torture. Ieri su Corsera c’era un bel ritratto del comandante del Reggimento Azov maggiore Projipenko, ultrà nero della Dinamo Kiev, che Zelensky ha appena proclamato eroe dell’Ucraina.
Sabato sera è andato in onda su Rai3 un elogio struggente di un altro soldato di Azov, il generale Vyacheslav Abroskin. Massimo Gramellini, campione dello storytelling glicemico, lo presenta così: “Soldato sanguinario che chiama ‘orchi’ i russi e ne ha già uccisi a grappoli senza pietà, sta difendendo Odessa, ma sua figlia adolescente è rimasta a Mariupol”, da dove racconta al papà “dei bambini che stanno al freddo al buio, che bevono l’acqua dei termosifoni e mangiano grano saraceno inzuppato con l’acqua sporca delle pozzanghere”. È l’antica tecnica del chiaroscuro: la ferocia del primo fa risaltare l’innocenza dei secondi. Ma c’è un “ma”. Il “terribile generale Abroskin”, dice Gramellini, sottolineando la parola terribile per preparare il colpo di scena, “ha ascoltato sua figlia in silenzio”, in silenzio: come fanno i virili eroi classici (Gramellini era presente?), “poi ha aperto la sua pagina Facebook e ha scritto una lettera ai russi”, che il conduttore solennemente legge. Per farvela breve, Abroskin offre la sua vita in cambio di quella dei bambini di Mariupol. Gramellini: “Questo generale è un guerriero fanatico, un violento, un simpatizzante nazista”, ma? “Ma è disposto a sacrificare la sua vita, e chissà quali torture gli farebbero prima di ucciderlo, per mettere in salvo quella dei piccoli sopravvissuti di Mariupol”. (Il programma si chiama Le parole, perché le parole sono importanti).
L’eroizzazione del “simpatizzante nazista” sarebbe completa, ma la musica cresce col pathos: “Non è un uomo buono. Gli ebrei lo definirebbero un ‘giusto’”. Sì. “Com’era Oskar Schindler”. Anche questa blasfemia tocca sentire dal servizio pubblico, dove il prof. Orsini non può parlare dietro compenso perché le sue analisi geopolitiche sono troppo “complesse” e quindi “filo-Putin”. Possibile, direte voi, che il ragionamento sia così pedestre da far passare per “giusto” un nazista, pur di tenere il punto contro i presunti “filo-Putin”? Sì: “I giusti possono anche avere delle idee sbagliate, ma i gesti non li sbagliano mai, perché non sono sordi al richiamo dell’umanità”.
Gramellini ha completato la scuola dell’obbligo. Dovrebbe sapere che Schindler non uccideva le persone, non le buttava nelle fosse comuni: le salvava. Che il senso dell’onore e il vitalismo misto allo sprezzo della vita e all’esaltazione del sacrificio sono marchi dell’ideologia nazi-fascista. Che essere nazisti non è “un’idea sbagliata”, ma un crimine condannato dalla Storia. E che la glorificazione del “gesto” sacrificale che annulla l’ideologia mortifera è precisamente la vile tecnica manipolatoria dei fascisti esaltati. Peraltro il nazista di Azov – questo consesso di giovani kantiani che lottano perché l’Ucraina “guidi le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i popoli inferiori guidati dai semiti” (così proclama Biletsky, capo di Azov) – ha solo scritto un post, non si è consegnato ai russi in cambio della vita dei bambini (chissà se lo farebbe per i bambini di “popoli inferiori”). Tutta questa musica emozionale, questo groppo in gola del conduttore, questa maschia retorica di morte per un post su Facebook?
Tutto, pure un’orrenda guerra fratricida, viene piegato allo storytelling; l’apologia dei nazisti diventa storiella edificante, gradita al ceto medio che ingoia di tutto, sentendosi intriso di alto senso morale. La chiosa di Gramellini è incredibile: “Sarebbe più tranquillizzante pensare che ci sono solo i buoni e i cattivi, ma è proprio quando la vita ci mette sotto pressione che ci spogliamo dei pregiudizi delle ideologie. E scopriamo chi siamo davvero”. Simpatizzanti dei nazisti?
L'Amaca
lunedì 28 marzo 2022
Lo pensavamo ma...
Le false coincidenze per fare le guerre
IERI SERBIA, OGGI UCRAINA - Le fosse comuni allestite dalla Nato nel 1999 in Kosovo e le “notizie” tutte da verificare sulle stragi di civili nell’ospedale e nel teatro di Mariupol a ogni vagito di tregua: tutto cinicamente scontato
DI FABIO MINI
Tre “coraggiosi” leader europei arrivano nottetempo a Kiev, e fuori c’è il coprifuoco totale, per due giorni. Mentre parlano con il presidente Zelensky si susseguono boati come mai prima.
Le sirene fischiano e nessuno bombarda. Gli impercettibili progressi dei colloqui fra russi e ucraini svaniscono. Il segretario di Stato Usa Tony Blinken è in giro per l’Europa e il 9 marzo uno degli ospedali di maternità di Mariupol viene bombardato. È una strage di donne incinte e di bambini, dice Zelensky; è una montatura, dice il ministro degli Esteri russo Lavrov, forse anche perché in realtà ci sarebbero solo tre feriti e la città è in mano alle milizie che Mosca definisce naziste. I bambini trucidati si riducono poi a una bambina di 6 anni, morta di disidratazione. Lavrov si deve incontrare il 17 marzo in Turchia con l’omologo ucraino per il primo salto di qualità e di livello dei negoziati e il giorno prima, ancora a Mariupol viene bombardato il teatro nel quale si trovavano “migliaia di persone”, secondo i nostri giornali, in centinaia, secondo il sindaco; uccisi dai bombardamenti russi che sapevano che il teatro era un rifugio per i civili, secondo gli ucraini, o dagli ultras neo-nazisti ucraini della brigata Azov che ce li avevano messi apposta, secondo i russi. Alcune crepe nella narrazione di entrambi i campi compaiono subito, ma si presta poca attenzione quando dai “rifugi sotterranei del teatro distrutto” emergono un centinaio di persone incolumi e, quando, fortunatamente, le immagini del giorno dopo riprese da uno dei “rifugiati” che stanno organizzando l’evacuazione dell’edificio queste persone scendono dai piani alti del teatro verso l’uscita. E i bunker sotterranei? Poi arrivano altre notizie contrastanti. La verità si saprà alla fine della guerra e dipenderà da chi la vince. Intanto il mondo scandalizzato da una parte e rassicurato dall’altra continuerà a fornire armi ancora più efficaci agli ucraini: parola di Biden. Zelensky e le milizie possono stare tranquilli: la guerra continua.
Perché è tutto così cinicamente scontato? È semplice: per via delle coincidenze. Kosovo 1999, la situazione sul terreno sta volgendo a favore della Serbia. La polizia effettua rastrellamenti ed elimina i “patrioti”. Le accuse di eccidi s’intrecciano. La Serbia acconsente all’invio di una missione di verifica dell’Ocse. I Paesi membri dovrebbero darne 300, l’Italia ne ha pronti 130. Ne partiranno una decina. Il capo della missione, l’ambasciatore americano William Walker, si fida di più dei 90 forniti dalla Vinnell corporation. Tutta gente esperta di guerra: ex militari, operativi della Cia e polizie varie. Lo stesso Walker è un diplomatico esperto, ma sfigato, ovunque vada compaiono squadroni della morte, eccidi di civili e guerre. Prima dei colloqui “di pace” fra Nato e Serbia la polizia serba organizza un tour di giornalisti per assistere ad alcune operazioni antiterroristiche per il controllo del territorio. L’appuntamento è a Racak. Quando arrivano i giornalisti, vengono casualmente trovati in un fosso una cinquantina di corpi di civili. Walker si affretta a dire che è un massacro intenzionale dei serbi, “sono centinaia di vittime innocenti tra cui donne e bambini trucidati in una esecuzione di massa”, tuona la democratica segretaria di Stato Madelaine Albright. I colloqui parigini saltano: è guerra.
Pian piano si accerta che tra le vittime non c’erano né donne né bambini, che i corpi appartenevano a combattenti albanesi uccisi nel corso di mesi in varie parti del Kosovo e accatastati nottetempo nel fosso. Alcuni di essi sono stati opportunamente svestiti e rivestiti. Le ferite mortali di tutti sono incompatibili con una esecuzione di massa. Il freddo invernale ha conservato i corpi e comunque la storia dell’eccidio del giorno prima viene smontata. Ma gli ex-terroristi dell’Uck possono essere soddisfatti. La guerra della Nato li consacrerà vincitori. E le coincidenze continueranno. L’Ocse organizza e sorveglia le elezioni locali e ventotto esponenti del partito moderato vengono uccisi. Le chiese ortodosse saltano in aria ad ogni cambio di Rappresentante dell’Onu e comandante di Kfor; si annuncia la visita di Kofi Annan ed esplode un’autobomba nel centro di Pristina, un telecomando viene casualmente trovato in un appartamento già occupato dalle forze speciali inglesi. Arriva l’intero Consiglio di sicurezza e salta una ferrovia, arriva il segretario generale della Nato e sei bambini vengono presi a fucilate. Per due volte Onu e Nato bloccano le iniziative unilaterali di dichiarazione dell’indipendenza e si verificano altri eccidi e incidenti. Bisogna dire agli altolocati turisti di guerra, e qualcuno ci ha provato, di starsene tranquilli a casa. Perché ogni loro brindisi alla pace formulato dove si combatte coincide con i massacri. E dovrebbero essere più cauti quelli che evocano armi biologiche, attacchi chimici e porcherie del genere e le altre che la fantasia dei criminali riesce ad escogitare: perché in tutti i teatri di guerra appena se ne parla si avvera. Preveggenza? No, pura coincidenza.
E ci sono altre coincidenze: in Kosovo arriva la principessa Anna d’Inghilterra e non succede niente, arriva Wolfowitz mentre sta organizzando la guerra in Iraq e la Brigata inglese lascia le operazioni, subito dopo se ne va anche il reggimento russo; arriva una commissione del Senato americano per smantellare Camp Bondsteel, ma ci ripensa e non succede niente, arriva l’ex presidente Clinton per fare una conferenza a Pristina e non succede niente: il popolo albanese gli è grato per averlo liberato dalla dittatura e gli intesta un viale. Il Tribunale dell’Aja spicca un mandato di cattura per i kosovari responsabili di crimini contro albanesi e serbi, e non succede niente. Spariscono carteggi immani di prove documentali e della novantina di testimoni a carico non si presenta nessuno. Una ventina sono stati ammazzati e gli altri convinti a ritrattare. Per coincidenza, gli arrestati e accusati diventeranno ministri. La gente? La popolazione albanese è tutta compatta nell’odio verso la Serbia, i Roma, gli Ashkalia e le altre minoranze di “maiali”. È quasi compatta nella celebrazione della resistenza e dei patrioti. Erano non più di 2mila i combattenti adottati dalla Nato, ma dopo i bombardamenti se ne “imbucheranno” altri 23mila e qualcuno dell’Uck se ne lamenta. La prevista smilitarizzazione delle formazioni partigiane, non avverrà mai. Inizieranno invece le ritorsioni e le vendette personali. I 600mila profughi albanesi (sul milione di abitanti) che vengono evacuati per consentire i bombardamenti non si allontaneranno oltre la ventina di chilometri dai confini con Macedonia e Albania. Rientreranno quasi tutti. Gli altri, sparsi un po’ in tutto il mondo, rimarranno nei paesi ospitanti o saranno aiutati a rientrare. Come la Germania che ne incluse 160mila (ai quali alcuni dei Lander avevano rifiutato lo status di “rifugiato”) nelle liste di rientro obbligatorio. I serbi? Non ci sono quasi più, sono scappati dalla guerra e dalle vendette in 200mila. Le loro case sono occupate, le fabbriche distrutte, le cooperative abbandonate, in alcune parti del Paese i sopravvissuti sono protetti dalle forze militari. Il Battaglione greco deve proteggere una (di numero) nonna con nipotina a Mitrovica sud e scortarle per andare a comprare il pane e a scuola dall’altra parte del ponte. I reggimenti italiani da 23 anni devono proteggere quattro frati custodi del monastero di Decane e il Patriarcato di Pec. Vent’anni fa due suore ortodosse si ostinavano a coltivare cavoli nella campagna della Drenica. Nessuno le proteggeva. O forse sì.
Lezione
domenica 27 marzo 2022
Ottimo Marco!
sabato 26 marzo 2022
Ottimo vendicativo
Vai Daniela!
Travaglio!
L'Amaca
Pensiero di don Luciano Locatelli
venerdì 25 marzo 2022
Quando uno è bravo giornalista...
L'Amaca