lunedì 31 dicembre 2018

Brutta piega


In questo contenitore nato 14,7 miliardi di anni fa, sulla sfera che ci ospita, vecchia di oltre 4 miliardi di anni, stiamo fremendo, ansimando per festeggiare l’arrivo di un pulviscolo nano particellare chiamato 2019, tra tonnellate di mascara, pomate, gel oceanici, pronti a sottostare al diktat di cenoni stordenti, annaffiati da vini per lo più incongrui, rallegrandoci inspiegabilmente che un altro giro di valzer attorno all’astro si sia finalmente concluso, tra vegani della logica i quali, travestendosi da astrologi per spillare qualche soldone, c’insuffleranno nelle tramortite cervici la malsana idea che al prossimo tour avremo successo in amore, carriera e non ingoieremo neppure un’aspirina. Non sono convinto, comunque Cincin!

Fiuuuu!



Bravo guagliò!



Proteste insalubri



domenica 30 dicembre 2018

Preparativi


Stanno arrivando gli strumenti musicali per il veglione di fine d’anno in Piazza Autolavaggio (ex Verdi)

Meraviglioso


Ahhhhhh che delizia!

domenica 30/12/2018
Strategia della pensione

di Marco Travaglio

Noi fortunati che abbiamo seguito in tv il cosiddetto dibattito parlamentare sulla manovra di bilancio abbiamo attraversato un’ampia gamma di sentimenti contrastanti. L’invidia per l’atletica prestanza di Emanuele Fiano, che balza felino verso i banchi del governo, si divincola dal placcaggio rugbistico dei colleghi, offre il petto seminudo alla pugna contro gli odiati sovranisti e infine aggira la barriera dei commessi col lancio liftato di un dossier che centra in pieno volto il sottosegretario Garavaglia. L’entusiasmo per l’intrepido Michele Anzaldi, ieri epuratore e fucilatore di chiunque si permettesse di non beatificare Renzi nella Rai tutta renziana e oggi inconsolabile per la fine del pluralismo in viale Mazzini. L’idolatria per Filippo Sensi, che fino all’altroieri diramava le veline di Renzi & Gentiloni e ora lacrima come una vite tagliata per il taglio dei fondi pubblici a giornali e Radio Radicale, scambiandoli per “pluralismo”. La gioia per Giachetti e Fiano che accusano Fico di parzialità perché non silenzia la pentastellata Manzo che accusa imprecisate opposizioni di aver favorito i truffatori delle banche, ma poi tacciono quando le pidine Serracchiani e Bruno Bossio danno della truffatrice alla Manzo. L’ammirazione per i trafelati scopritori della centralità del Parlamento, o di quel che ne resta dopo il loro passaggio, le loro leggi incostituzionali, le loro mozioni sulla nipote di Mubarak, i loro canguri e ghigliottine, le loro destituzioni di dissidenti, le loro compravendite di parlamentari, i loro decreti senza necessità né urgenza, le loro fiducie smodate (107 solo nella scorsa legislatura), i loro salvataggi impunitari di fior di delinquenti. Il rimpianto per l’assenza in Parlamento di misure d’ordine pubblico, tipo il Daspo, già previste nelle ben più educate curve degli stadi. E infine una grande empatia per la sofferenza di Graziano Delrio e Maria Elena Boschi dinanzi alle sorti degli adorati pensionati, scippati dalla manovra giallo-verde.

Delrio li chiama tutti in piazza, la Boschi trattiene a stento le lacrime: “La legge di Bilancio taglia tutte le pensioni, non solo quelle d’oro o di platino. Conte dovrebbe pulirsi la bocca quando attacca i pensionati”. In effetti la famiglia Boschi per i pensionati ha fatto molto, forse troppo. Il pensiero corre al pensionato Luigi D’Angelo, che il 28 novembre 2015 si impiccò a Civitavecchia perché aveva appena perso i risparmi di una vita: 100mila euro affidati a Etruria, dopo che il governo Renzi-Boschi aveva azzerato dal giorno alla notte, col cosiddetto dl Salva-banche, il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate.

Del resto il Pd, per i pensionati, ha sempre avuto un occhio di riguardo. Tipo quando votò il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, senza la piena rivalutazione per l’inflazione, ininterrottamente dal 2011 a oggi. Vediamo nel dettaglio cosa votarono gli attuali paladini dei pensionati. Tra 2012 e 2013, col blocco totale per le pensioni superiori a tre volte il minimo (dai 1500 euro in su), chi prendeva ogni mese 1600 euro lordi ne perdeva 500-600 l’anno; chi percepiva 2100 euro ne perdeva 1500; chi aveva 2600 euro ne perdeva 1800. Nel 2015 la Consulta bocciò la legge in quanto incostituzionale e ordinò al governo di restituire la refurtiva. Intanto, ai 5,5 milioni di pensionati, erano stati rapinati 8-9 miliardi di euro. Ma Renzi ne rimborsò appena 2,2 (che secondo l’Upb corrispondeva ad appena il 12% medio delle perdite di ogni pensionato) ed ebbe pure la spudoratezza di chiamare quella mancia “bonus Poletti”: come se quello non fosse un furto con destrezza, ma addirittura un gentile omaggio. Intanto nel 2014 il governo Letta aveva fatto altri danni: un sistema di perequazioni in cinque fasce, che lasciava quasi intatta la rivalutazione delle le pensioni fino al quadruplo della minima, mentre la tagliava del 25% la rivalutazione per quelle sopra i 2000 euro lordi e del 50% oltre i 2500. I governi Renzi e Gentiloni prorogarono quel blocco fino al 1° gennaio 2019, lasciando la patata bollente ai successori.

Secondo la Uil, la mancata perequazione delle pensioni fra il 2011 e il 2018, votata da centrodestra e centrosinistra (Monti e Letta) e poi dal solo centrosinistra (Renzi e Gentiloni) è costata 79 euro al mese e 1000 all’anno a ciascun pensionato da 1500 euro mensili. Chi invece percepiva 1900 euro al mese nel 2011 ha perso 1500 euro lordi, pari a una intera mensilità netta. Che fa ora il governo Conte sulle pensioni? Tre cose. Abbrevia l’età pensionabile per chi vuole ritirarsi prima (quota 100). Aumenta le minime fino a 780 euro per chi non ha altri redditi (pensione di cittadinanza). E “raffredda” il blocco delle indicizzazioni varato da Letta, Renzi e Gentiloni, rendendolo un po’ meno penalizzante per le pensioni più basse e lasciandolo pressoché inalterato sopra ai 3mila euro. La battuta di Conte (“Non se ne accorgerebbe nemmeno l’Avaro di Molière”), per quanto infelice, rende l’idea. Rivalutazione quasi totale, senza blocchi, per le pensioni fino al quadruplo della minima (cioè fino a 2030 euro mensili lordi). E sacrifici graduali per le pensioni più alte. La Cgil stima che chi intasca 2030 euro al mese perderà 1 euro nel 2019, 1 euro nel 2020 e 2 euro nel 2021. Chi supera i 2537 euro al mese, dovrà rinunciare a 70 euro l’anno (meno di 7 euro al mese). Chi supera i 3mila euro al mese, “restituirà” circa 180 euro all’anno (15 euro al mese). E così via a salire, con prelievi più sostanziosi per i pensionati d’oro (già toccati dal contributo di solidarietà). Anche così si finanzieranno il reddito di cittadinanza e quota 100. Si chiama “redistribuzione della ricchezza” e un tempo era una battaglia della sinistra. Infatti ora, sulle barricate, ci sono Forza Italia e il Pd.

venerdì 28 dicembre 2018

Fraintendimento


E io che a quella parola avevo da sempre legato un soffrire, a volte bovino, interiore, uno sfottere gli altri colori, un partire all'alba assieme ad altri scapestrati, mangiando qualche camogli pagati a peso d'oro nelle succursali autostradali dei Benetton, vivendo l'attesa immerso in giaculatorie alla dea Eupalla, per poi attanagliarsi cuore e viscere nei canonici novanta minuti, indi far ritorno a casa a volte mesto, a volte euforico, sempre pronto il giorno dopo a discutere verbalmente di quel rigore non dato, di quel fallo non visto, di quella bischerata commessa dal solito centrale idiota! Leggo invece che quel signore morto e facente parte dei Blood Honour Varese, un gruppo ultras con radici neonaziste, viene definito "tifoso", leader storico, quasi un esempio di fedeltà ai colori.
Chiedo venia, avendo da sempre travisato il significato del suddetto sostantivo. Mentre i giornaloni fanno a gara a chiedere fermezza, punizioni esemplari, i tuttologi si concentrano su questi vili esempi di pazzia sociale, i presidenti di club assestano buffetti ai capi tifoserie che in gran loggia segreta supportano, coccolano, spronano, continuo a rimanere basito difronte al personale fraintendimento del concetto di tifoso, inviando però jingle bells di vaffanculo ai tanti paraculi che fingono di non vedere la macelleria sociale attorno a noi, frutto di squallide politiche pro loro, iniettanti spot, indegni spettacoli mediatici al fine di intorbidire sinapsi e cultura, creando eroi e dei di tale risma.

Travaglio


venerdì 28/12/2018
Il filo di Marianna

di Marco Travaglio

Un tempo, per capire che aria tirava, bastava pedinare Clemente Mastella: se mollava un governo, era chiaro che la crisi era questione di giorni; se scaricava un alleato per sposarne un altro, era inutile aspettare le elezioni perché lo sconfitto e il vincitore erano già decisi. Ora che Clemente nostro s’è ritirato (provvisoriamente, s’intende) nel Sannio natìo, bisogna seguire il filo di Marianna. Nel senso di Madia. Grazie a un fiuto sconosciuto ai rabdomanti, ai cani da trifola e persino ai vecchi democristiani, la ragazza riesce sempre a stare dove tira il vento, e con largo anticipo. Ora, per dire, sostiene Nicola Zingaretti alle primarie del Pd. Che a questo punto sono inutili, tanto si sa già chi vince. I guai, per Zingaretti, cominceranno il giorno dopo: come farà a superare il renzismo con un partito pieno di ex renziani? Auguri. Classe 1980, romana, nipote di un avvocato missino e figlia di un giornalista-attore-consigliere comunale veltroniano, liceo francese Chateaubriand, poi Scienze politiche alla Sapienza, poi dottorato di ricerca all’Imt di Lucca con una tesi un po’ copiata, già fidanzata di Giulio Napolitano, collaboratrice di Minoli a Rai2, moglie del produttore Mario Gianani, la Madia si accosta alla politica prim’ancora di laurearsi.

Un giorno segue una conferenza di Enrico Letta, ne rimane (non si sa come) rapita, glielo va a dire e quello la fa entrare in Arel, la fondazione che ha ereditato da Andreatta. Nel 2008, a 27 anni, grazie all’amico Veltroni è addirittura capolista del Pd nel Lazio. Ed entra a Montecitorio con queste storiche parole: “Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”. Siede nello scranno accanto a D’Alema, che se la porta nella redazione di Italianieuropei. Radio Luiss le domanda chi sia il suo politico preferito, e lei: “L’intelligenza politica di D’Alema è già Storia”. Poi Max tramonta e la giovine deputata si schiera con Monti. Alle primarie del Pd, fa campagna per Bersani contro Renzi: “Voto Pier Luigi, è il miglior premier che l’Italia possa avere. Solo lui ha statura da presidente del Consiglio”. Così viene rieletta deputata, solo che poi il premier lo fa Letta. Ma lei non deve nemmeno spostarsi: era già lettiana da piccola. Segue una breve fuitina con Civati. Quando Renzi diventa segretario, lei è già renziana. E lui, non avendo la statura, la promuove subito responsabile del Pd per il lavoro. Per impratichirsi su quella strana materia, la Marianna incontra il ministro Zanonato e attacca a illustrargli le sue strategie contro la disoccupazione giovanile (peraltro mai conosciuta in vita sua).

Con un filo d’imbarazzo, il titolare dello Sviluppo economico la blocca e le fa presente che ha sbagliato ministro: quello del Lavoro si chiama Giovannini. Lei: “Ma scusa, non sei tu che ti occupi di lavoro?”. Lui la prende sottobraccio con fare paterno e le indica il ministero del Lavoro dall’altra parte della strada: “Marianna, hai sbagliato indirizzo”. Siccome il talento va premiato, Renzi diventa premier e la fa ministra della PA e della Semplificazione. Lei dichiara: “Sono molto contenta, anche se non ho avuto ancora il tempo di rendermene conto. L’ho saputo mentre guardavo in tv Peppa Pig”. Da allora del renzismo difende tutto, anche l’indifendibile (“C’è un’attenzione morbosa verso noi ministre – me e Maria Elena Boschi – che non c’è verso gli uomini: è sessismo latente”). E non si perde una Leopolda, dove proibisce severamente ai giornalisti di intervistarla (“Non rispondo alle vostre domande perché questo, secondo me, non è giornalismo di rinnovamento”). In vista del referendum, vaticina: “La nostra riforma costituzionale finirà nei libri di storia”. Invece finisce nel cestino. Però è anche molto sincera: in tv confida che al ministero “i miei funzionari ridono sempre” (e nessuno stenta a crederlo). Intanto è arrivato Gentiloni e Marianna – ci credereste? – è già gentiloniana: infatti rimane ministra. Paolo però dura poco e non corre per la segreteria.
Lei, per non saper né leggere né scrivere, in aprile appoggia il reggente Martina sull’apertura a Di Maio per il governo col M5S: “Piena condivisione delle parole di Maurizio”. Che ora è candidato alle primarie, ma senza speranze, anche perché la Madia è già migrata armi e bagagli con Zingaretti. E ben prima che arrivasse l’onda di piena degli ex renziani come Gentiloni, Franceschini, De Vincenti, Bressa, Bianco e Fassino (che è un po’ la mascotte portafortuna) e soprattutto delle ex renziane Quartapelle, Pinotti, Di Giorgi, Bonaccorsi, Gualmini, Sereni e Puglisi. I trasvolatori last minute, infatti, son tutti lì ad arrampicarsi sugli specchi per giustificarsi: “Ho creduto nel giovane Matteo, non so se è cambiato lui, certo è cambiato lo scenario attorno a lui e non se n’è accorto” (Di Giorgi), “La categoria dei renziani mi sembra un po’ superata, purtroppo si sono inseguite riforme liberali o istituzionali, non sociali e la gente ci ha punito” (Quartapelle, detta ora Quintapelle), “Matteo non ha saputo fare squadra” (Puglisi), “In Toscana i renziani non esistono più, la storia ha voltato pagina. Personalmente non rinnego nulla delle cose positive che abbiamo fatto, ma ora è evidente che c’è una sola figura in grado di intraprendere un cammino riformista, con un partito più inclusivo e una maggior discontinuità col passato: Zingaretti” (Federico Gelli, ex compagno di scout di Matteo, ex deputato toscano). La Marianna no, non si giustifica, anzi non parla proprio: che c’è di strano se una che in 10 anni è riuscita a essere veltroniana, dalemiana, montiana, bersaniana, lettiana, civatiana, renziana, gentiloniana, ora è zingarettiana? Diceva Totò: “Quando vedo un buco, io entro”. Il bello è che la fanno ancora entrare.

mercoledì 26 dicembre 2018

Ventisei


Deposto l’ultimo osso gallinaceo, svuotato definitivamente il gotto, appallottolata l’ennesima carta regalo, sorge assieme alla sfera un bagordo interiore d’insoddisfazione, di ritualità spicciola quasi a dover recitare tra un “a lei e famiglia” e l’altro. Quando m’immergo in questi faceti eventi, lacrimevoli per giunta, chiedo aiuto ai due Francesco, baluardi inossidabili,  rari totem insufflanti realismo, schiettezza, nudità, ma anche sogni e fantasie spronanti. 

“Io sono solo un povero cadetto di Guascogna,
però non la sopporto la gente che non sogna. 
Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco, 
io non perdono, non perdono e tocco!”

“Per chi vive all'incrocio dei venti
ed è bruciato vivo,
per le persone facili che non hanno dubbi mai,
per la nostra corona di stelle e di spine,
per la nostra paura del buio e della fantasia.”

lunedì 24 dicembre 2018

Comprensione



Poi improvvisamente capisci che è Natale con le sue tradizioni, comprensive dell’afflato emiliano di Madame la Dotta!

Geniatliaco



Tanti auguri mitica Edwige, icona di anni passati, portatrice di ricchezza, benessere e gioia a tutti noi!
(ORI - Ottici Riuniti Italiani)

Cinquantesimo



Esattamente cinquant’anni fa alle 17 ora italiana, Bill Anders a bordo dell’Apollo 8 scattò questa foto, Earthrise, con una Hasselblad 500 EL caricata con una pellicola Ektachrome Kodak da 70 mm, diaframma f/11, tempo 1/250. 
Alla faccia dei novelli testimoni di geova, i terrapiattisti, e delle loro fandonie epocali figlie dell’attuale era, quella dell’Allocco in cui si riesce a bere di tutto, ma proprio tutto!

sabato 22 dicembre 2018

Differenze



Dal Don Gnocchi, dove ci sono persone che pagherebbero oro per uscire con le proprie gambe, si vedono le carceri dove c’è gente che potrebbe liberamente passeggiare all’aria aperta e che ha invece scelto di rinchiudersi dentro quelle mura. Così va la vita.

Selvaggia antimatteo


venerdì 21/12/2018
Pur di arrivare a Putin va bene persino Al Bano

di Selvaggia Lucarelli

Immaginate di essere un regista e di dover creare un raccordo tra alcune scene che si svolgono nello stesso periodo storico. Da una parte c’è Giuseppe Conte. Ci sono giornate cupe, faticose a Bruxelles. Negoziati, notti insonni, trattative a oltranza e infine l’accordo con l’Ue. Dalla stessa parte ci sono anche il presidente Mattarella che accoglie la salma di Megalizzi, Mattarella al funerale di Megalizzi, Di Maio che fissa le scadenze del reddito di cittadinanza. Dalla parte opposta, in una bolla trasparente, c’è Matteo Salvini.

Con Al Bano. Col capo ultrà. Con la crespella al formaggio. Con la divisa da Poncharello. Capite bene che perfino un regista distopico come Lanthimos preferirebbe dedicarsi al prossimo cinepanettone piuttosto che tentare di incollare due realtà così discordanti. Intendiamoci. Non che Salvini ci abbia abituati a una comunicazione politica che vada molto oltre un meme di Luca Morisi, ma le polaroid di quest’ultimo periodo cominciano ad essere più grottesche che parodistiche. Il grande comunicatore perde colpi. Mentre Conte evita la procedura di infrazione, lui commette un’infrazione dopo l’altra e per la prima volta riconosce perfino – timidamente – di aver quasi sbagliato. E addirittura i suoi social, da sempre considerati termometro del suo successo, registrano un netto calo. Si parla del 51% in meno di interazioni sul suo Fb dal mese di giugno a oggi.

In pratica, se un suo selfie con una caciotta di pecora sei mesi fa scatenava 10 mila follower, oggi un suo selfie con la felpa Bari e un luccio al cartoccio ne attira meno di 5 mila. Sarà per questo che ci ha tenuto parecchio, nei giorni delle trattative con Bruxelles, ad acquisire autorevolezza, a posizionarsi anche lui nel segmento rapporti con l’estero, ad incontrare al Viminale anche lui un pezzo grosso a livello internazionale: Al Bano. Le foto del cantante pugliese seduto sul divano chester col panama bianco e la pashmina blu accanto a lui sono esattamente quello che serviva all’Europa per fidarsi di quel 2,4 di deficit. È chiaro, soprattutto, che Salvini conta sull’amico di Putin Al Bano per rafforzare l’asse con la Russia dopo le sanzioni ed essere invitato pure lui, finalmente, alle gare di rutti con la vodka a casa di Vladimir. Non è improbabile che le sue performance canore da Costanzo di un mese fa fossero le prove generali per il suo debutto nel mondo della musica al posto di Romina, nella prossima tournée in Russia con il re di Cellino. Un tentativo diplomatico, tra l’altro, che ha portato fortuna: ieri Putin ha minacciato una guerra atomica contro l’Occidente. Ma in fondo, tra le operazioni-credibilità, l’incontro con Al Bano negli ultimi tempi è stata pure la più felice. Sicuramente più felice del tweet in cui il ministro si congratulava con i carabinieri per gli arresti di stranieri grazie a un blitz. Peccato che il blitz fosse ancora in corso. E poi la foto con l’ultras pregiudicato che alle prima critiche ha commentato con la sua consueta spavalderia (“Sono un indagato tra indagati”), per poi, dopo tre giorni, accennare delle mezze scuse: “Se avessi saputo avrei evitato”. Della serie: se fai il ministro degli Interni e non ti viene il dubbio che un capo ultras non sia un volontario di Emergency, forse è meglio se ti dai alle gare di scacchi magnetici. Ma soprattutto, se impieghi tre giorni ad ammettere che abbracciare un tizio che ha reso cieco a un occhio un povero cristo poi morto suicida, sia stato opportuno quanto intitolare una sala doppiaggio a Mario Giordano, forse cominci a perdere colpi. Anche ieri, intanto, la comunicazione di Salvini ha dato suoi frutti: il marocchino accusato di stupro di cui mesi fa scrisse su Fb “nel Decreto sicurezza che ho in testa bestie come lui saranno prontamente rimandate al loro Paese”, è stato scagionato da ogni accusa e rischia invece un processo chi l’ha accusato, ovvero un ragazzo brasiliano. Ora sappiamo che grazie al suo decreto sicurezza manderemo aulicamente a fanculo nel loro Paese gli stranieri innocenti e ci terremo i colpevoli. In mezzo a tutto questo, negli ultimi due giorni, un tripudio di foto riparatorie: la foto della recita della figlia per ispirare tenerezza, quella della notizia del gatto lanciato dalla finestra durante una lite per raccattare due like dagli animalisti, le foto vestito direttamente da poliziotto per farsi perdonare l’abbraccio all’ultrà. Gli manca solo la foto in accappatoio con Putin, ma siamo sereni. Al Bano ci sta lavorando. Felicità.

Effettivamente...



Mah!


Che poi a ben vedere sostituendo questi Kim con una Nike, uno smart, un Dolce, una technodisco, una Ferragni, una slide, uno spread, un gattino, uno shopping, una rovesciata, il prodotto, forse, non cambierebbe mica di tanto. Ad ognuno il suo Kim!

Dixit


“Quando ero bambino, persone come mio padre e mia madre esitavano a votare tra la destra e la sinistra. Era un modo di dire “chi mi sosterrà? Chi mi renderà visibile? Chi lotterà per me?” 
Dunque che vocabolario userò? Dirò “soffro per colpa dei migranti” o “soffro per le diseguaglianze e il classismo?”
La gran parte delle persone che ha votato per l’estrema destra lo ha fatto perché da tempo la sinistra non si preoccupa più di loro e ha smesso di parlare di povertà, di durezza delle condizioni di lavoro, di precariato. È così i poveri, i lavoratori, hanno cominciato a votare per l’estrema destra.”

(Éduard Louis)

Avvocati travagliati


sabato 22/12/2018
Il Coniglio Superiore

di Marco Travaglio

Che la Spazzacorrotti del ministro Alfonso Bonafede, appena approvata dal Parlamento, non piaccia all’avvocatura associata è quasi ovvio, per una questione di sopravvivenza. Gli imputati colpevoli, senza più la speranza di strappare la prescrizione al posto della condanna, non avranno più alcun interesse a far durare i processi in eterno, non foss’altro che risparmiare sulla parcella del difensore. Dunque eviteranno inutili e pretestuose impugnazioni in appello e in Cassazione. Anzi, molti preferiranno non andare proprio a processo, patteggiando a fine indagini in cambio dello sconto di un terzo della pena. Così si faranno molti meno processi, e quelli che si faranno dureranno molto meno. Dunque gli avvocati perderanno anni di parcelle e molti di loro rischieranno la disoccupazione. Non quelli bravi, che continueranno a svolgere una funzione decisiva per la democrazia e lo Stato di diritto. Ma i “parafangari”, quelli che consigliano i loro clienti ad avventurarsi in cause perse e in ricorsi infondati pur di spremere qualche spicciolo dall’infinito contenzioso italiota. A metà degli anni 80 gli avvocati italiani iscritti all’albo erano 48 mila: oggi sono 243 mila, il 500% in più di 30 anni fa. Quattro ogni mille abitanti, il triplo del resto d’Europa. Il confronto con gli altri Paesi è sconfortante: in Francia gli avvocati sono 60 mila (meno del totale di Lazio e Campania), in Germania 160 mila, in Gran Bretagna 188 mila e solo la Spagna ne ha più di noi (253 mila).

Il nostro record, che continua ad aumentare in maniera esponenziale, si regge prevalentemente sull’inefficienza della giustizia: più i processi sono lunghi, numerosi e farraginosi, più avvocati ci campano. E la prescrizione, checché ne dicano, non riduce il numero e la durata dei processi, ma moltiplica l’uno e l’altra. Perciò i loro sindacati si oppongono alla sua abolizione dopo la prima sentenza, con scioperi tragicomici e appelli farseschi a Mattarella perché non firmi la Spazzacorrotti. Ma anche per un altro motivo: a molti, i peggiori, piace vincere facile. Gabellare per processi vinti non solo quelli finiti in assoluzione, ma pure in prescrizione. Celebre la pantomima di Giulia Bongiorno (ora ministra, per fortuna non della Giustizia) che, mentre il suo cliente Andreotti veniva dichiarato colpevole di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino al 1980, reato “commesso” ma “estinto per prescrizione”, strillava giuliva “Assolto! Assolto assolto!”. E l’intera stampa italiana se la beveva. Scorriamo la lista dei 100 giuristi (quasi tutti avvocati) che han firmato l’appello delle Camere penali a Mattarella.

E troviamo decine di artefici di prescrizione eccellenti. Compresi gli esimi professori Amodio e Pecorella (vedi alla voce Berlusconi, 8 volte prescritto). Intendiamoci: il difensore deve fare di tutto per salvare il cliente dall’arresto, dalla condanna e dagli altri effetti collaterali del processo. Anche usando le mille tecniche dilatorie consentite dal nostro Codice di procedura. Anche propiziando la prescrizione, quando proprio non si può sperare nell’assoluzione. Sono pagati apposta e, se non fanno fino in fondo gli interessi del cliente, anche quando magari la loro coscienza si ribella, rischiano l’infrazione disciplinare. Spetta al legislatore levarli da questo imbarazzo (almeno quelli che lo provano) e disegnare il processo a misura non più dei colpevoli, ma degli innocenti e delle vittime, oltreché dell’interesse dello Stato a dare giustizia. È quel che ha fatto il ministro Bonafede con la legge Anticorruzione, raccogliendo il meglio delle esperienze estere e delle proposte avanzate per trent’anni da magistrati e giuristi (inclusi diversi avvocati). Eppure, sorpresa: sulle barricate, accanto ai sindacati avvocateschi, tuonano l’Associazione magistrati e la gran parte del Csm (eccetto i togati davvero indipendenti Davigo e Ardita e i tre laici in quota M5S). Dopo aver chiesto, implorato, reclamato, invocato per vent’anni questi strumenti di puro buonsenso contro la corruzione, peraltro vigenti in tutti i Paesi più avanzati, ora che a vararli è il governo gialloverde fanno la faccia malmostosa e rinnegano tutte le loro battaglie. In questo, sono il perfetto specchio di una classe dirigente e intellettuale marcia e decrepita che non s’è ancora riavuta dalle elezioni e non giudica sul merito, ma sul partito preso.

Quante interviste abbiamo letto di magistrati frustrati perché il loro lavoro e quello della polizia giudiziaria andava in fumo per la prescrizione, perché le vittime restavano senza giustizia, perché nessun colletto bianco pagava mai per i propri delitti, perché i condannati per tangenti tornavano regolarmente a lavorare per lo Stato, perché mancavano gli strumenti per scoprire le corruzioni, perché non esistevano incentivi alla collaborazione di corrotti e corruttori, perché non potevano usare agenti sotto copertura (diversamente che per i reati di droga) o il Troyan per intercettare, per la scarsa trasparenza sulle donazioni e i finanziamenti a partiti e società collegate? È dal settembre 1994, quando il pool Mani Pulite presentò a Cernobbio le sue proposte anti-mazzette (insieme ad alcuni grandi avvocati), fra gli applausi dell’Anm, del Csm, del centrosinistra e di pezzi del centrodestra, che si parla di norme come queste. Poi destra e sinistra hanno sempre fatto il contrario, incorrendo nei fulmini delle autorità europee (soprattutto per il demenziale sistema di prescrizione). E ora che finalmente, dopo mille leggi Procorruzione, ne arriva una Anti, sono tutti contro. Salvo, naturalmente, i due terzi abbondanti degli italiani che – secondo Openpolis – la apprezzano più di tutte le altre leggi approvate nell’ultimo anno. Devono essere quelli che non rubano.

giovedì 20 dicembre 2018

Travaglio ed il se


giovedì 20/12/2018
20 anni e non sentirli

di Marco Travaglio

Spiace dirlo, ma ha ragione Berlusconi: “La Spazzacorrotti è una legge pericolosissima e mette ogni cittadino nelle mani di qualunque pm”. Avrebbe dovuto precisare “ogni cittadino come me”. Ma non sottilizziamo: lui è sinceramente convinto che ogni cittadino passi le sue giornate a corrompere il prossimo. Dunque, letta la legge Bonafede, ha visto passare davanti ai suoi occhi tutta la sua carriera criminale. E s’è fatto due conti: cosa sarebbe accaduto se l’Anticorruzione fosse in vigore dai tempi di Mani Pulite, al posto delle mille Procorruzione approvate da lui e dai suoi presunti avversari di centrosinistra? La risposta è terrificante: lui oggi sarebbe praticamente all’ergastolo. Intanto perché alcune delle tante mazzette che ha pagato e sono rimaste occulte sarebbero state scoperte dai nuovi agenti sotto copertura o denunciate dai corrotti in cambio dei nuovi sconti di pena, e lui non avrebbe subìto 30 processi, ma almeno 50. Poi perché l’aumento delle pene per i reati contro la PA (di cui è un collezionista di fama mondiale) avrebbe comportato condanne più severe. Ma soprattutto perché il blocco della prescrizione dopo la prima sentenza avrebbe trasformato quasi tutte le sue prescrizioni in condanne definitive.

1) All Iberian. Nel 1998 B. viene condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi insieme a Bettino Craxi per finanziamento illecito: una maxitangente in Svizzera di 23 miliardi di lire al leader Psi. In appello però il reato si prescrive e la Cassazione conferma: B. è colpevole, ma l’ha fatta franca. Col blocco dei termini alla prima sentenza, sarebbe stato condannato definitivamente a 2 anni e 4 mesi.

2) Telefonata Consorte-Fassino. Nel 2013 B. viene condannato col fratello Paolo a 1 anno di reclusione per violazione del segreto per aver ricevuto illegalmente la bobina segretata dell’intercettazione tra il patron Unipol e il segretario Ds sulle scalate dei furbetti del quartierino (“allora, siamo padroni di una banca?”) e averla fatta pubblicare dal Giornale alla vigilia delle elezioni 2006. Poi, in appello, lo salva la solita prescrizione, che non scatterebbe con la riforma Bonafede: dunque B., dichiarato colpevole ma illeso pure in Cassazione, si beccherebbe un altro anno di galera definitivo (oltre ai 2 anni e 4 mesi di All Iberian: totale 3 anni e 4 mesi).

3) Compravendita senatori. Nel 2015 B. viene condannato dal Tribunale di Napoli a 3 anni con Valter Lavitola per corruzione del senatore Sergio De Gregorio con 3 milioni di euro in cambio del suo passaggio dall’IdV a FI. In secondo grado, il consueto miracolo della prescrizione.

Ma Corte d’appello e Cassazione confermano che è un colpevole impunito. Con la Spazzacorrotti già in vigore, anche quei 3 anni di galera sarebbero diventati definitivi. Totale, con le condanne precedenti: 7 anni e 4 mesi. Che sarebbero diventati 11 anni e 4 mesi con l’unica condanna definitiva finora subita dal Caimano: quella a 4 anni confermata nel 2013 dalla Cassazione per le frodi fiscali sui diritti Mediaset. Quest’ultima condanna si ridusse a 1 anno grazie all’indulto triennale varato dal centrosinistra (coi voti di FI) nell’estate del 2006, che però era riservato a chi non avesse riportato altre condanne per reati commessi dopo la sua approvazione: dunque B., con la condanna per la mazzetta a De Gregorio (fine 2006), non ne avrebbe beneficiato. E avrebbe dovuto scontare in carcere la bellezza di 11 anni e 4 mesi. Si dirà: ma la legge ex-Cirielli esenta dal carcere gli ultrasettantenni. Vero. Ma almeno una condanna definitiva B. l’avrebbe subìta prima di compiere 70 anni (nel 2006) e anche prima di imporre la ex-Cirielli (2005), dunque sarebbe finito in carcere fin dai primi anni 2000. E, compiuti i 70 anni, avrebbe seguitato a scontare il resto della pena non comodamente ai servizi sociali nell’ospizio di Cesano Boscone, ma agli arresti domiciliari. Con una serie di effetti collaterali non da poco: l’interdizione dai pubblici uffici sarebbe scattata ben prima del 2013, dunque B. non avrebbe più potuto candidarsi: cioè ci saremmo risparmiati un bel pezzo del suo secondo governo, il più devastante (2001-2006) e anche l’ultimo (2008-2011), senza contare le larghe intese con Monti e Letta jr. Perché B., anziché a Palazzo Chigi, avrebbe dovuto risiedere in gattabuia o restarsene chiuso in casa piantonato dalla forza pubblica. Se, puta caso, avesse iniziato a scontare i suoi 11 anni e rotti nel 2005, avrebbe finito – con tutti gli sconti all’italiana – intorno al 2015. Ma non sarebbe stato più eleggibile né riabilitabile nemmeno dopo.

E, in questi calcoli, ci siamo tenuti stretti. È ovvio che, se questa Anticorruzione fosse stata approvata quando il pool di Mani Pulite la propose (a Cernobbio, nel settembre ’94), significherebbe che al governo ci sarebbero stati già allora i 5Stelle, non il Partito dell’Impunità del centro-destra-sinistra. Quindi nessuna delle Procorruzione varate dal ’94 al 2017 sarebbe diventata legge, nemmeno le due più devastanti fatte da B. per B.: la ex-Cirielli che dimezzava i termini di prescrizione e la depenalizzazione del falso in bilancio, che hanno incenerito altri sei processi a suo carico. I quali si sarebbero conclusi quasi tutti non con prescrizioni, ma con condanne. E il totale sarebbe salito ad almeno 20 anni. Che, per un uomo di 82 anni, equivale all’ergastolo, anche al netto delle sentenze che arriveranno prossimamente nei processi e nelle inchieste ancora aperti: il Ruby ter – in sei tronconi sparsi per l’Italia – per corruzione di testimoni; il caso Tarantini per l’induzione a mentire su un altro giro di escort; l’indagine fiorentina per concorso nelle stragi del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Quindi sì, la Spazzacorrotti è pericolosissima. Per i delinquenti.

mercoledì 19 dicembre 2018

Ei fu




C'è aria e aria!

Tutto uguale all'altr'anno? Che aria si respira in questo Natale 2018? Parrebbe tutto identico, parrebbe! 
S'affloscia invece sempre più la vera aria natalizia; s'ammoscia quasi dovessimo ripetere, a volte sforzandoci, un rito divenuto oramai falso mito. Non sto parlando a livello religioso, l'attesa di questi giorni deriva dal tempo di avvento. 
Quello che stride è avvertire una monotonia sfarzosa, abbacinante ma pur sempre monotona. Quasi che il fagocitare giorni, settimane, stagioni ci portasse a ritrovarci troppo presto, quasi impreparati, al periodo a detta di molti più bello dell'anno. Scoccia, a me pare, la ritualità di gesti affrancati ormai al desueto, all'abitudine, al gelo dell'incomunicabilità dei restanti undici mesi. Dai diciamocelo: non ci sfioriamo neppure più, ci guardiamo in cagnesco nelle primavere, nelle estati, in coda, pronti come siamo a scannarci per un parcheggio, per un panino, per un posto migliore al ristorante. Ci osservassero da altri mondi resterebbero allibiti su come ci stiamo sulle palle a vicenda! E invece oggi, domani, fino alla vigilia diverremo ossequiosi, riverenziali: il copione, questo copione scritto da mani misteriose, c'impone di sorridere, di inviare i famosi "auguri a lei e famiglia", quanto di più irriverente ci possa essere nei lidi divenuti obsoleti della comunicabilità tra esseri umani. 
Sgommiamo e sgomitiamo per mesi e mesi, ostentando benessere, lussi, innovativi gadget; rosichiamo oltremodo se qualcuno acquista la fiammante auto alla moda, prenotiamo vacanze da un anno all'altro per fobia incistita, lo stesso che nel solito giro dell'oca dobbiamo infarcire di falso calore, di facciata, auspicandogli il felice anno nuovo che a guardar bene è un altro che viene depennato dall'occulta lista a nostra disposizione. 
Vedo umani impegnati in assalti a ipermercati, a desolanti cattedrali dell'oblio, giovani storditi dall'arrivo di chissà cosa, pensierosi ed affamati nella solitudine mediatica. Passa il tempo, travalica la stanchezza intellettiva, è abiurata da tempo ormai la freschezza della novità, la gallina mangiata nei giorni di festa, le luci accese solo per stare insieme, il calore del ritrovarsi attorno ad un tavolo, il luccichio degli occhi nel vedere un lontano ritornato per l'occasione. Se tutti i giorni sono divenuti, per molti, Natale, come potersi estasiare davanti ai giorni di luce per antonomasia? 
Ci stanno trasvolando sopra il nostro limitato tempo, ci portano a preoccuparci per eventi lontani anni-non-luce, ci stuzzicano, spronandoci, a fagocitare date, eventi, barriere naturali poste per dar valore all'attimo. Ci hanno fatto credere che preventivare della nostra vita sia l'essenza granitica di questa era tecnologica. Ci siamo lasciati abbracciare dal moto ondoso dell'illogicità, un contare sconsiderato, senza alchimie, distruttore dell'essenza insita in noi che naturalmente vorrebbe che assaporassimo l'istante, l'imbrunire, il silenzio, la notte, il sorgere dell'astro. Sciocchezze c'insufflano, inciampi irritanti per chi cerca traguardi insensati, scialbi, insipidi, senza spessore. 
Questa luce che vorrebbe scaldarci, ci trova invece senza alcun senso ontologico. Ci spazzerà via alla fin fine, come le decorazioni a metà gennaio riposte in fretta per dar spazio agli innumerevoli e nuovi appuntamenti stordenti, utili per chi sogna amebe inebetite in questi tempi freddi ed oscuranti.

In alto i cuori!


Ieri è stata una giornata storica, un “eppur si muove” da celebrare, probabilmente, sui futuri testi di storia. Con l’uscita dall’aula dei resti miserevoli del partito del Delinquente Naturale, come simbolo di una resa, della disfatta del metodo para mafioso “degli amici degli amici degli amici” è stata approvata la legge anticorruzione; per la prima volta in questa nazione dilaniata da sconquassi epocali frutto di scorribande di manigoldi, capeggiati da uno che pagava tangenti alla mafia, adulato successivamente da un misero guitto di campagna toscana, per la prima volta si è realizzato qualcosa capace di frenare i briganti. Che sono sempre in mezzo a noi, ciarlanti e sognanti il ritorno al sistema tanto agognato e cullato dai tanti allocchi ancora intenti a guardare il dito. W l’Italia da liberare!

martedì 18 dicembre 2018

Augurio


Due, tre? O forse no dai! Probabile che siano quattro. Quattro km a corsia unica sulla Cisa per un cantiere pensato, ideato e realizzato dal Serveo dei Servei, il Grande Ideatore Sublime dei salti di corsia, delle deviazioni, dei restringimenti, delle ansie derivanti dallo veder sfrecciare bisonti di strada così vicini da temere per la carrozzeria. Tanto bravo ed inimitabile costui, da aver progettato una miriade di cantiere proprio ora, ad una manciata di giorni dal Natale! A lui vada la strenna, il pensiero, la speranza che possa trascorrere delle speciali festività... a contare le mattonelle della parete del cesso di casa, tra un’epocale cascata diarroica e l’altra! Jingle Bells!

Nessun limite, nessuna dignità!



Nemmeno nelle più tristi storie dei grandi romanzieri si è mai assistito ad un pubblico ludibrio come questo del giornalino del boss retto da un diversamente giornalista, un sallusti della peggior specie. 
L'onta di essere in difficoltà economica rappresenta per il quotidiano della famiglia il perno, il fulcro su cui gettarsi per agitare le acque, irridendo una famiglia colpevole di aver dato i natali ad un'anomalo politico da molto tempo scagliatosi contro colui che personalmente ritengo il male assoluto, la ragione ontologica per cui oggi siamo ridotti in questo stato raccapricciante. 
Intendiamoci: anche Fininvest fu ad un passo dal baratro del fallimento, sommersa com'era da enormi debiti; l'allora padrone indiscusso dell'etere, eravamo negli anni novanta, ebbe l'illuminante idea di scendere in politica mentre, attraverso il suo fratello di latte Dell'Utri, continuava imperterrito a pagare tangenti a tale Salvatore Riina. 
Il filibustiere per antonomasia ebbe il coraggio di entrare in politica, ed ivi rimanervi per quattro lustri, solo ed esclusivamente per curare, innaffiare, crescere i propri affari. E ci riuscì alla grande, trasformandoci in abitanti felici e bombardati via antenna, in Alloccalia, durante l'Era del Puttanesimo, arrivando con grande seguito di servili decerebrati a modificare leggi per uso personale. 
Ciò che è riuscito alla grande al famelico pregiudicato non sta dunque realizzandosi nella famiglia di Alessandro Di Battista. Mi chiedo: e allora? Come possiamo farne un messaggio politico? Cosa ci vorrebbe trasmettere il direttore sallusti? La difficoltà economica può scatenarsi per un'infinita serie di problemi finanziari, ma questo non può stimolare la degenerativa campagna di fango per dar l'assalto ad una persona seria, nella fattispecie,  come Di Battista figlio.
La rabbia, il rancore, il fango, la merda scagliata dal giornaletto di famiglia per mano di un sallusti angosciante ed angoscioso, genera sensazioni tanto sgradevoli come il constatare, in questa nostra valle di lacrime, in questo far west divenuto must di ribalderia, che il non aver mai tentato di ostacolare quel signorotto feudale, ha fatto sì che la malformazione democratica da lui innescata si è evoluta, sparsa, diffusa così bene da arrivare a questi punti, gli ultimi respiri di una nazione un tempo sana, forte e soprattuto acculturata.  
  

lunedì 17 dicembre 2018

domenica 16 dicembre 2018

Scoperta


L’argomento non è certamente natalizio, né pre pranzo. Diciamo che trattasi di divulgazione scientifica. Campo minato ed irto di trappole. Il mio rapporto con la defecatio è da sempre improntato sulla tempestività, sia nel preludio, preannunciato da segnali inequivocabili, compressione, roboate lontane come il temporale in avvicinamento, nervosismo e, se sono fuori casa, ricerca spasmodica di soluzioni, a volte comiche. Non ho mai stazionato per lunghi tempi sulla tazza, per via della suddetta frettolosità e, salvo rare eccezioni, la post defecatio risulta quasi sempre poco appagante. Ma leggendo il libro della dott.ssa Di Fazio -Mangiar bene per sconfiggere il male - ho messo in pratica un suo consiglio che, al momento mi ha fatto riscoprire la magnificenza di una sana seduta, arrivando anche ad apprezzare il celeberrimo “buco-fondo tazza” inducente quasi ad apporre un fiocco colorato alla porta del bagno, visto le dimensioni. Il consiglio? Un semplice mezzo bicchiere di acqua tiepida con spremuto dentro mezzo limone da bere alla mattina, appena sveglio a stomaco vuoto, che potrebbe far pensare ad un topico momento d’acidità, in realtà un fattore alcalizzante. Provatelo! E buona seduta!

In effetti...



“Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi!” (cit.)

sabato 15 dicembre 2018

Questo sì che è un bel dire!


Parole sante, parole d’oro, effervescenti, fendenti, spade a due tagli, provvide, inoppugnabili e, soprattutto, fotografanti al meglio la grottesca situazione europea generata da un’immonda politica elitaria.

sabato 15/12/2018
Caro Moscovici, il gilet giallo non è una moda

di Veronica Gentili

Quando Pierre Moscovici, vestendo i panni un po’ lisi del commissario europeo agli Affari economici, annuncia che la sua Francia è autorizzata a sforare il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil purché lo sforamento non si protragga per due anni consecutivi, non fa soltanto il partigiano del suo Paese in campagna elettorale dalla parte dei suoi vecchi amici. Compie anche un tragico errore. Non mi riferisco all’assist fornito al governo italiano per lamentare come la Commissione faccia figli e figliastri: a quello sta già pensando un’opinione pubblica inviperita nei confronti dei presunti favoritismi di un’istituzione traballante, confusa e incoerente, che non perde occasione per mostrarsi inadeguata.

Il principale inciampo sta proprio nella postilla con cui il commissario ha tentato di mettersi a riparo dalle accuse di parzialità sciovinista: “Se ci riferiamo alle regole, oltrepassare questo limite (del 3 per cento, ndr) può essere preso in considerazione in modo limitato, temporaneo, eccezionale”: nell’idea che quanto si sta verificando in Francia sia ascrivibile alla categoria degli eventi eccezionali risiede l’immagine della “rimozione” con cui buona parte della politica attuale si rapporta alle trasformazioni della società che la circonda. La rimozione “è un processo inconscio che consente di escludere dalla coscienza determinate rappresentazioni connesse a una pulsione il cui soddisfacimento sarebbe in contrasto con altre esigenze psichiche” (Umberto Galimberti, Nuovo dizionario di Psicologia): la pulsione che Moscovici e molti suoi sodali – consapevoli o meno: vedi alla voce Matteo Renzi, Emmanuel Macron, Hillary Clinton e buona parte dei leader democratici – “escludono dalla loro coscienza” è la consapevolezza del fallimento del capitalismo nelle sue ultime sembianze di globalizzazione e l’ammissione di aver creato disuguaglianze talmente marcate da non poter essere tamponate con bonus o misure una tantum. Credere che la protesta francese possa essere ridotta a un evento passeggero, risolvibile con qualche decimale di deficit in più nel 2019, nell’attesa che il sole del neoliberismo torni a scaldare l’Europa e che i gilet gialli lascino il posto alle camicie bianche di una nuova generazione di leader pseudo-riformisti che calchino le orme dei Renzi, dei Sanchez e dei Valls (chi era costui?), equivale a continuare a suonare l’orchestrina mentre il Titanic va a schiantarsi contro la punta dell’iceberg. Purtroppo però, per politici come Macron o Moscovici, le “altre esigenze psichiche” che li costringono a rimuovere l’inizio di una crisi permanente delle democrazie occidentali per come si sono strutturate negli ultimi decenni, hanno a che fare con la loro stessa sopravvivenza politica. Mentre nel discorso alla Nazione infuocata, Monsieur le Président può permettersi di mostrarsi pentito e di promettere dieci miliardi di misure di spesa sociale, contando anche sull’acquiescenza di istituzioni europee che versano in una situazione non troppo dissimile dalla sua, quello che non può permettersi di fare è negare i paradigmi che hanno contraddistinto la sua stessa esistenza politica e che potrebbero essere negati solo nell’incipit di un discorso di dimissioni.

È in questa ipocrisia della transitorietà, della circoscrizione del fenomeno a fase passeggera e prontamente risolvibile, che va ricercata la ragione dei favoritismi di Moscovici e degli altri commissari nei confronti della Francia di Macron rispetto all’Italia giallo-verde, colpevole invece di aver gridato anzitempo che il re era nudo e non indossava nemmeno un gilet giallo.

Se lo dicono...



venerdì 14 dicembre 2018

Questa si che è una notizia!




Ho nitrito sguaiatamente alla notizia dell’apertura del sito della Gelmini, il Blog di Stella, di cui sarò appassionato lettore, entusiasta oltremodo per cotanta manna piovuta dal cielo, che credo mi porterà a chiudere nel cassetto amati film dei fratelli Marx e di Stanlio e Ollio. Avrei tantissime altre cose da dire, ma preferisco lasciare la parola a Madame Daniela Ranieri, il top per questa tipologia di critica, feroce ma inappuntabile.

venerdì 14/12/2018
Forza Giovani, il blog di Stella vi salverà

di Daniela Ranieri

Tragedie come quella della discoteca di Corinaldo o della morte di Desirée, per dire, difficilmente sarebbero accadute se questo strumento fosse esistito prima. Ma da oggi si cambia musica: il disagio giovanile, il cyberbullismo e i “suicidi o i giochi mortali” dovranno vedersela con il Blog di Stella, da non confondersi col Blog delle Stelle (o magari sì, hai visto mai qualcuno si sbaglia e porta clic), il nuovissimo sito web ideato da Mariastella Gelmini.

La già incredibilmente ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca (che tanto hanno beneficiato del suo passaggio), convinta di avere ancora molto da dare alla politica, indossa la cyber-tuta dell’eroina digitale e inaugura “un filo diretto coi cittadini”, un po’ posta del cuore un po’ piattaforma Rousseau, per trasformare le proposte dei cittadini in disegni di legge.

Eccola accanto a un albero di Natale in un angolo del suo studio alla Camera, per abbondanza di simboli di civiltà cristiana sorvegliato anche da un crocifisso appeso tra le bandiere italiana e europea nel ruolo inevitabile dei due ladroni. In camicia di satin, la deputata che è l’esatto incrocio somatico e politico tra Tina Anselmi e Silvia Toffanin ringrazia Gilda, Vittorio, Gianni, per dirne tre di chissà quante migliaia, per averle mandato proposte sul sostegno ai disabili. I quali disabili vivrebbero certo meglio se solo Forza Italia fosse mai stata al governo. Donna Stella ha capito che il problema è l’educazione, concetto che gli ex allevatori di cervelli spappolati della generazione Fininvest vedevano come fumo negli occhi fino a qualche tempo fa, quando blateravano di “rivoluzione liberale” contro lo “Stato ortopedico” che metteva bocca su tutto. Fa nulla: da oggi “l’adolescente digitale” (sic) sarà tutelato dall’agguerritissimo blog.

Non rinfacceremo alla Gelmini la convinzione condivisa col suo ufficio stampa che da Ginevra al Gran Sasso corra un tunnel sotterraneo, presumibilmente scavato dalle talpe, in cui viaggiano neutrini: sarebbe come dire che questa è la cosa peggiore che ha fatto durante i suoi due mandati.

E in confronto alla non scolarizzata Fedeli la Gelmini è Rita Levi Montalcini; almeno si batte per il “divieto di utilizzazione di telefoni mobili nelle scuole”, che invece la ministra renziana, forse in ciò indotta dalla chiara dipendenza compulsiva del suo dante causa, sosteneva con demenziale entusiasmo. La Gelmini è inflessibile: “Questo rapporto malato con il cellulare da parte dei giovani… Questa dipendenza richiama altre forme di dipendenza… in quanto sussiste un’interferenza nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il meccanismo della ricompensa”. Giusto, brava, ben detto. E quale migliore idea per allontanare i giovani dalla rete che aprire un blog? Notevoli le sezioni Buone notizie, tra le quali non compaiono i sondaggi che vedono FI intorno al 9%, e Media, dove è possibile rivedere, nel caso ve la foste persa, l’ospitata della Gelmini da Barbara D’Urso, dove per oratoria e contenuti si fatica a distinguere la statista dalla nuora di Berlusconi conduttrice di Verissimo.

Ma va così, ogni tanto sotto elezioni quelli di FI si innamorano e si mettono in testa di proteggere qualche incolpevole categoria: gli animali da compagnia, gli anziani con relative dentiere, adesso pure i minorenni, che per la verità Berlusconi ha sempre amato. Tralasciando qualche inevitabile ricaduta nell’aziendalismo Mediaset (“criticità”, “rimboccarsi le maniche”, “questo è il Paese in cui credo”), si può considerare il Blog di Stella un esempio edificante di ravvedimento in età adulta: finita giovanissima nel giro di Arcore e fatta ministra in un governo capeggiato da un delinquente frodatore dello Stato e ora pure indagato per le stragi di mafia, Stella si mette al servizio della comunità per trasmettere i valori della “cittadinanza responsabile” a questa gioventù bruciata.

Beeep!



Come mai questo strano ed inconsueto silenzio dalle vostre auree parti? Siamo un po’ preoccupati a non sentire il vostro cicaleccio, tipico di questi giorni prenatalizi! Generalmente di questi tempi lanciavate la solita, immarcescibile, flebile richiesta di aggiornamento dei pedaggi che a dire il vero ci facevano gustare ancor di più l’attesa luccicante delle feste di fine d’anno. Passava quasi sempre sottotono finendo nell’ineluttabilità, quasi come lamentarsi ad agosto del caldo o della retorica pietosa orfiniana. Dai amici, che aspettate a dare un ritocchino ai vostri già squallidi introiti? Non vorrete mica farci passare un monocorde capodanno, senza il canonico maggior esborso al casello? Vi immagino rintanati nei vostri illuminati uffici, in preda alla ricorrente ed ossessiva arsura dettata dall’abnorme tintinnio del contante o dal trillo dei telepass, per voi manna celeste! Ma che fate amici, non vorrete mica rimaner silenti ed immoti? Non saranno i risultati della perizia sul ponte Morandi, ossia che il 50% dei trefoli del pilone 9 riporta livelli di corrosione o riduzioni di sezione tra il 30% e il 70% e che solo il 4% risulta intatto, a turbarvi sogni e aspettative, vero? Certo! Un tempo eravate più protetti, cullati, osannati, viziati dal potere oramai, e per fortuna, discioltosi al sole per la felicità di molti ed il rancore dei troppi allocchi. Vi sentivate forti, granitici, immortali. Potevate, così almeno si sospetta, ridurre costi di manutenzione a vostro piacimento, senza che nessuno avesse qualcosa da ridire. Purtroppo, o per fortuna, quei ribaldi ora non ci sono più, o meglio, rimangono in disparte tra Maloox ed EN, sperando in una risurrezione al momento esclusa ed inconcepibile. Quindi dai, animo! Non fate quella faccia, non rimanente in silenzio! Fatevi sentire, dai! Dal canto mio vi prometto almeno tre entrate al casello prima che finisca questo anno orribile! Buone feste! Beeeep!

Travaglio


venerdì 14/12/2018
Il vero spread

di Marco Travaglio

Siamo così a corto di buone notizie, specialmente dal fronte politico, che quando ne arriva qualcuna va segnalata. Ieri, insieme ai progressi della trattativa avviata da Conte (il famoso Signor Nessuno) con Juncker per scongiurare in zona Cesarini la procedura d’infrazione, è giunto un altro bel segnale dall’Europa: i primi elogi – al posto delle solite reprimende – all’Italia dal Gruppo di Stati contro la corruzione (il “Greco”, cioè l’organo del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta alle mazzette). Nell’ultimo rapporto, il Greco parla di “progressi nella prevenzione della corruzione nel sistema giudiziario”, anche se “molto resta ancora da fare, in particolare per la corruzione dei parlamentari” con una seria normativa contro i “conflitti di interessi” (annunciata e poi bloccata dal passato centrosinistra), con “regole dettagliate su donazioni, regali, ospitalità, favori e altri benefici per i deputati”, con norme più stringenti “sulle incompatibilità e le ineleggibilità” e con barriere più potenti contro le “lobby”.

È positivo invece il giudizio del Greco sul ddl Spazzacorrotti del ministro Bonafede che, approvato ieri in seconda lettura al Senato, dovrebbe entrare in vigore entro Natale dopo che la Camera l’avrà rivotato per cancellare ogni traccia dell’emendamento-vergogna sul peculato: quello, passato con voto segreto a Montecitorio nella famosa imboscata Lega-FI-Pd che mandava assolti decine di parlamentari, consiglieri regionali e comunali imputati per avere rubato rimborsi pubblici indebiti per pagarsi le proprie spese private, e depennato a Palazzo Madama. La Bribe Destroyer (Distruttore di Mazzette) è giudicata dal Greco “con favore” perché “potrebbe rivelarsi fondamentale per far avanzare la lotta alla corruzione”: “rafforza la prevenzione, la persecuzione e la punizione della corruzione nei settori pubblico e privato”, anche con l’agente infiltrato, “aggrava le pene fino a 8 anni di reclusione” e “potenzia le sanzioni accessorie”. Ma soprattutto “interrompe la prescrizione al giudizio di primo grado”. E “abbassa notevolmente la soglia di divulgazione per le donazioni ai parlamentari (l’obbligo di divulgazione si applica non più a quelle superiori a 5.000 euro l’anno, ma a quelle superiori a 500 euro l’anno)”. Nelle 15 pagine del rapporto di Strasburgo, non compaiono mai espressioni bizzarre come “giustizialismo”, “populismo giuridico”, “giacobinismo”, “persecuzione”, “accanimento” e altre cazzate di uso corrente in Italia. Sia perché sono intraducibili in qualunque altra lingua.

Sia perché, al di là della frontiera di Chiasso, il garantismo è una cosa seria e non il rifugio dei peggiori mascalzoni. Sia perché tutto ciò che da noi passa per un obbrobrio giuridico all’estero è considerato ordinaria tutela della legalità e dello Stato di diritto. Il vero spread, oltre a quello fra il rendimento dei nostri titoli di Stato e quello dei Bund tedeschi, è proprio questo: ciò che è normale nelle altre democrazie, qui è barbarie. Ed è significativo che sia proprio il presunto governo dei “barbari” a incassare i primi complimenti, dopo anni di anatemi, dal massimo organismo europeo anticorruzione. Questo apparente paradosso dovrebbe indurre a qualche riflessione l’avvocatura associata, salita sulle barricate e addirittura scesa in sciopero contro il blocco della prescrizione, come se questa fosse un “diritto dell’imputato” anziché una resa dello Stato e uno schiaffo alle vittime. Ma dovrebbero meditare anche i tanti magistrati cacadubbi delle correnti di destra e di sinistra che, dopo aver chiesto per vent’anni una legge che la facesse finita con quest’amnistia selettiva e censitaria per ricchi e per potenti, ora spaccano il capello in quattro solo perché il governo che risolve il problema è quello “sbagliato” (quelli “giusti” invece ve li raccomando). O fanno come Repubblica, che ai tempi di B. dipingeva la prescrizione – e giustamente, anche citando le raccomandazioni inascoltate del Greco – come la sèntina di tutti i mali; e, ora che i 5Stelle la bloccano, la difende a spada tratta con gli stessi argomenti di B.: “giustizialisti”, “manettari”, violatori dei “diritti degli imputati” (all’impunità).

Tutti concetti che gli esperti europei in lotta alla corruzione non conoscono, avendo come obiettivo quello di combattere le tangenti, non quello di coprirle, e ben sapendo distinguere le sacrosante garanzie per gli imputati dalle assurde scappatoie per farla franca. In questo, agevolati dall’avere evitato 25 anni di inquinamento lessicale, culturale e semantico del berlusconismo nelle sue varie declinazioni: quello doc di Berlusconi & C. e quelli emulativi della sinistra post-gruppettara (impunitaria per vocazione), del partito confindustriale degli affari e dei malaffari (impunitario per necessità) e dell’opinionismo pseudoliberale o radicale (impunitario per ignoranza e/o stupidità). Infatti, in Europa, tutto ciò che scandalizza gli pseudogarantisti nostrani è visto come un qualcosa di addirittura troppo blando. Tant’è che il Greco chiede al governo italiano di aggiungere alla Spazzacorrotti una norma che imponga ai politici “di restituire benefici inaccettabili, con l’eccezione di regali di cortesia, e un sistema di dichiarazioni per i pochi benefit ammessi (inviti, ospitalità…) e altri beni che diventano proprietà del Parlamento”. Ogni riferimento ai Rolex e alle bici da corsa dell’èra Renzi è puramente casuale. Manca invece qualsivoglia accenno ai leader bolliti d’opposizione che rivendichino pubblicamente il mercato delle vacche per acquistare deputati e senatori della maggioranza. Ma solo perché, oltre frontiera, chi ci provasse finirebbe ipso facto in galera.

giovedì 13 dicembre 2018

Chi si loda s’imbroda


Ok è vero! Ricordate però la vignetta che pubblicai ieri? 


Sentite oggi cosa scrive il mitico Travaglio nel suo editoriale:

“Non male per una deputata che appena tre mesi fa smentiva l’indiscrezione del Foglio sulla sua candidatura alla segreteria Pd (“Non pensavo che la deriva delle fake news avesse contagiato anche voi”), a sua volta smentita dal quotidiano del rag. Cerasa (“Ce l’hai detto tu, abbiamo i messaggi”). Mancano solo la tappezzeria damascata e le scuse alla Cina per replicare il celebre autodafé di D&G, ma in versione più triste. Anche perché il rimbombo delle voci nell’ufficio sottolinea ferocemente il vuoto attorno ai due noti frequentatori di se stessi.” 

Giusto però rimembrare sempre che si loda s’imbroda! 

Son sodddisfazioni


Gruberando e Gianninizzando avverto in aere la soddisfazione dei frequentatori dei salotti, ebbri per la cosiddetta marcia indietro del governo, con lo scopo di evitare l’infrazione. La Grrruber, fascinosa partecipante al Bilderberg Club, i riccastri che decidono della nostra vita, pare orgasmare ogniqualvolta segnali di inefficienza emergono dalla compagine al potere, perché fondamentalmente sogna di ritornare nel vecchio circo degli investimenti pro loro, pacchiana messinscena retta da oltre un ventennio da uno che pagava tangenti alla mafia. Giannini invece è il Rinnegante Pizzuto per antonomasia: scrive assestando fendenti per poi ritrarre la mano, con annesso coltello, fingendo e facendo alla grande lo gnorri, di orfiniana tendenza. Gruberando e Gianninizzando l’antica tribù venerante la dea Casta, dispensatrice di effluvi per pochi, spera un ritorno in tolda, capeggiata al solito dal Pregiudicato agognante passaggi di parlamentari nel suo ovile, da sempre dorato ed accogliente per chi è disposto, sull’esempio dei cowboy che depositavano la Colt all’ingresso del saloon, a riporre dignità e valori per compiacere i progetti di cotanto malefico Delinquente Naturale.

mercoledì 12 dicembre 2018

Simpatia



Simpatico come pestare una merda di elefante in sandali questo francesino, che per fortuna è al termine della sua infausta carriera europea ed in cerca di prossima occupazione nel governo francese, dove tra l’altro è già stato sforando a gò gò bilanci che invece ora ci sta intimando di ridurre, sfracellandoci le gonadi! È così simpatico che gli auguro di dover mettere a letto la nonna di micron per i prossimi lustri, con spazzolata di dentiera annessa!

Leggere sforzandosi



Frase celebre



Tipologie d'orrore



Albert


mercoledì 12/12/2018

L’umana saggezza del “pio” Einstein

di  Massimo Fini

 

Christie’s ha venduto all’asta a New York per 2 milioni e 892.500 dollari una lettera che Albert Einstein scrisse a Eric Gutkind nel 1954, a 74 anni, mezzo secolo dopo aver preso il Nobel per la Fisica. Ma più fortunati del ricco Epulone che l’ha acquistata siamo noi che possiamo leggere gratuitamente questa straordinaria lettera di questo straordinario scienziato e di quest’uomo straordinario i cui pensieri continuano ad abitarci, come quelli di tutti i grandi, da Eraclito a Leonardo a Dante a Shakespeare a Milton a Nietzsche a Leopardi, anche se i loro corpi “dormono, dormono” sulla collina o altrove, e le loro menti non hanno più coscienza di sé e tantomeno di ciò che hanno suscitato.

La lettera di Einstein ruota intorno alla questione eterna dei rapporti fra scienza, religione, spiritualità e il mito di Dio. Einstein, da scienziato, è un “non credente”: “Sono un religioso, non un credente… Per me la parola ‘Dio’ non è altro che l’espressione e il risultato della debolezza umana”. E liquida la Bibbia (“un libro raccapricciante che suscita orrore” secondo l’interpretazione del laico Sergio Quinzio), il Vangelo e tutte le altre cosmogonie come raccolte di “Leggende venerabili ma piuttosto primitive. Non c’è un’interpretazione, per quanto sottile possa essere (e qui si riferisce precipuamente alla Bibbia, ndr) che mi faccia cambiare idea… Per me la religione ebraica nella sua versione originale è, come tutte le altre religioni, un’incarnazione di superstizioni primitive”. Insomma sono miti fondativi, ma senza nessun riscontro storico e tantomeno scientifico.

Ma Einstein non è un “non credente” integralista, “freddo” alla Rita Levi-Montalcini, se in questa stessa lettera riprende un passaggio di Spinoza che concepiva la figura di Dio come un essere senza forma, impersonale: l’artefice dell’ordine e della bellezza visibili nell’universo. In Einstein sembra quindi esserci comunque e nonostante tutto una tensione verso il trascendente e in questo credo consista la sua “spiritualità”. La presenza/assenza di Dio lo turba se nella famosa polemica col collega danese Niels Bohr, che aveva descritto per primo la struttura dell’atomo, gli replica: “Dio non gioca a dadi con l’universo”.

Einstein è ebreo e si riconosce nella cultura ebraica sia pur senza integralismi (“con piacere”) e scrive: “E la comunità ebraica, di cui faccio parte con piacere e alla cui mentalità sono profondamente ancorato, per me non ha alcun tipo di dignità differente dalle altre comunità. Sulla base della mia esperienza posso dire che gli ebrei non sono meglio degli altri gruppi umani, anche se la mancanza di potere evita loro di commettere le azioni peggiori”. E qui Einstein centra una questione molto attuale, che non ha a che vedere con la scienza ma con l’essenza dell’umano, e che risponde a quella legge storica per cui i vinti di ieri una volta diventati vincitori non si comportano molto diversamente dai loro antichi sopraffattori. Altrimenti sarebbe incomprensibile come lo Stato di Israele tenga a Gaza un enorme lager a cielo aperto, quando proprio dei lager gli ebrei sono stati vittime nei modi atroci che ci vengono sempre ricordati.

La lettera venduta l’altro giorno da Christie’s ci riporta anche alla famosa polemica fra Niels Bohr e lo stesso Einstein. In estrema sintesi: Bohr sostiene il “principio di indeterminazione” e cioè che la Scienza non può arrivare a scoprire la legge ultima dell’universo, Einstein al contrario non riuscirà mai a convincersi che non sia possibile, per l’uomo, arrivare alla Verità assoluta. E qui noi, pur nella consapevolezza di inserirci da nani in un confronto fra giganti, stiamo con Bohr che doveva aver ben presente il profondo insegnamento di Eraclito: “Tu non troverai i confini dell’anima (e qui per anima va intesa la Verità, ndr) per quanto vada innanzi, tanto profonda è la sua ragione”. E aggiunge: la legge autenticamente ultima ci sfugge, è perennemente al di là e man mano che cerchiamo di avvicinarla appare a una profondità che si fa sempre più lontana.

Infine in un’altra nota Einstein, nella sua saggezza umana, molto umana e nient’affatto troppo umana ci dà un consiglio, che con la fisica ha poco a che vedere, ma che dovrebbe far rizzare le orecchie ai cantori molto attuali, inesausti e dilaganti delle “sorti meravigliose e progressive”, delle crescite esponenziali e del mito del successo: “Una vita tranquilla e umile porta più felicità che l’inseguimento del successo e l’affanno senza tregue che ne è connesso”.


Compendio


È proprio tutto qui! Non so se sia già una corrente di pensiero, un ideale, un filosofeggiare. Ma è raccolto tutto qui, come una specie di simbiosi!

mercoledì 12/12/2018
L’Imbecille Globale

di Marco Travaglio

Jean-Paul Fitoussi, rileggendosi, s’è spaventato dell’aggettivo usato nell’intervista ad Antonello Caporale per definire Emmanuel Macron: “imbecille”. Ma, per quanti sforzi facciamo, non riusciamo a trovarne uno più appropriato per definire il suicidio del presidente francese, eletto trionfalmente all’Eliseo un anno e mezzo fa e ora già da buttare come un Renzi qualunque. Si è trattato di un suicidio assistito dalle élite non solo di Francia, ma un po’ di tutta Europa e soprattutto d’Italia (quando c’è una causa cretina da sposare, il nostro establishment politico-economico-mediatico-intellettuale è sempre in prima fila). Tutti a magnificare il Genio Transalpino, il nuovo santo patrono dell’Europa dopo San Francesco d’Assisi, l’ultimo baluardo della Ragione e della Civiltà contro la barbarie del populismo sovranista. E lui ci ha creduto, passando i suoi primi 18 mesi a tagliare le tasse ai ricchi e a lasciare a bocca asciutta i poveri, cioè a fare ciò che più o meno tutti i governi di centrodestra e di centrosinistra han fatto negli ultimi vent’anni, convinti com’erano che, con la fine delle ideologie, anzi della Storia, l’unica ricetta possibile fosse quella di lasciare mano libera ai mercati e alle imprese, che avrebbero provveduto a creare sviluppo e posti di lavoro. Purtroppo questa ricetta poteva funzionare (e non sempre) nell’èra della spesa pubblica à go go e della piena occupazione, prima del Fiscal compact, della globalizzazione, della robotizzazione, delle migrazioni di massa e della crisi del 2009. Ma dopo, cioè ora, è un fallimento totale.

L’hanno capito per prime le destre antieuropee, che hanno archiviato le fascinazioni neoliberiste per riabbracciare il protezionismo, il nazionalismo e il welfare, facendo man bassa di milioni di voti delle periferie sociali. Solo in Italia i primi ad accorgersene non sono state le destre, prigioniere dell’incantesimo berlusconiano, ma un comico-attivista, tale Beppe Grillo, e un tecno-guru, tale Gianroberto Casaleggio, che dal 2007 hanno provato a incanalare il malcontento degli invisibili prima verso un Pd rinnovato (un ossimoro), poi verso Di Pietro e infine, respinti su entrambi i fronti, in un nuovo movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra per etichetta ma molto progressista per programma. La reazione dell’establishment è nota: prima ha snobbato i 5Stelle come ribellismo fine a se stesso (“il partito del vaffa”, “la protesta”, “il neo- qualunquismo”), poi l’ha demonizzato come fascismo, autoritarismo, giacobinismo, avventurismo e vai con gli -ismi. Anche quando il M5S era ormai il primo partito.

Nel 2013 a pari merito col Pd, nel 2018 da solo al 32,5%. “Siamo l’unica alternativa democratica alle Le Pen e ad Alba Dorata”, ripeteva Grillo. Ma nessuno lo stava a sentire. E giù a ridere sul reddito di cittadinanza, il salario minimo, la legalità, l’ambientalismo, la lotta al precariato, ai privilegi della casta e alle grandi opere inutili. Intanto battaglie simili diventavano le bandiere delle nuove sinistre occidentali: Sanders in America, Corbyn in Gran Bretagna, Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, i Verdi in Germania. Basta leggere i commenti sprezzanti che i nostri giornaloni, intellettuali, (im)prenditori e vecchi politici riservano tuttora al reddito di cittadinanza. Una misura di puro buonsenso che, chiamata e declinata in vari modi, esiste in tutto il resto d’Europa per colmare un vuoto occupazionale ed esistenziale figlio della globalizzazione, dell’automazione, dell’austerità e della crisi post-2009: i posti di lavoro continueranno a diminuire, perché le imprese preferiranno sempre più i robot e la manodopera a basso costo dei migranti e dei Paesi senza diritti. Dunque, per evitare crolli dei consumi e rivolte sociali che mettano a repentaglio le economie e i governi, sarà decisivo redistribuire risorse e protagonismi dall’alto verso le crescenti masse di nullatenenti e invisibili.

Di questo parlano in tutto il mondo i veri leader politici, i veri economisti, i veri intellettuali (leggete e regalate le strepitose 21 lezioni per il XXI secolo di Yuval Noah Harari, ed. Bompiani). Da noi fa scandalo che il governo Conte destini 7-8 miliardi l’anno – meno di quelli buttati da Renzi per gli 80 euro o per gli incentivi al Jobs Act – per dare un reddito e un volto a 5 milioni di poveri assoluti. Invece non fa scandalo gettare 10-15 miliardi in un buco di 60 km per far passare un treno merci ad alta velocità accanto a quello che già da decenni viaggia vuoto all’80-90%. E si continua a menarla con gli sgravi e gli aiuti alle imprese. Come se non avessimo già regalato abbastanza soldi alla classe macro-imprenditoriale più fallimentare e parassitaria del mondo. Perché Macron, degno spirito-guida dei nostri Micron, scoprisse l’esistenza dei poveri, c’è voluta la rivolta dei gilet gialli. E ora tutti a elogiarlo per quella che viene spacciata per una “svolta” epocale in favore degli invisibili di Francia, mentre è una penosa resa senza condizioni. Chi volesse capire perché gli invisibili d’Italia non scendono in piazza dovrebbe ammettere che siamo l’unico Paese d’Europa che li ha portati al governo, a causa di quel curioso disguido accaduto il 4 marzo e chiamato elezioni. Si può dire e pensare tutto il peggio possibile di questo governo. Ma solo chi non capisce nulla può seguitare a considerarlo un bizzarro incidente di percorso, una stravagante parentesi da chiudere al più presto (per fare che, dopo?). Se 5 Stelle e Lega sono al governo è proprio perché hanno promesso reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. Ora le élite italiane ed europee devono scegliere: meglio che i giallo-verdi mantengano gli impegni o che anche le piazze italiane si riempiano di gilet, magari non gialli, ma neri?

martedì 11 dicembre 2018

Dialoghi


Pronto?

Ciao hai visto?

Sto guardando ora.

Il Nipotino della Vegliarda si è smutandato! Cribbio! Ha ceduto! 

Glielo avrà suggerito la Vetusta!

Si certo! Il problema è che hanno usato alla perfezione quello che noi tutti temevamo: simbolo, blocchi del consumo, popolarità. 

Giacchette gialle. Un faro nella notte. Per fortuna qui da noi tutto rimane ovattato.

E ti credo! La fabbrica ipnotica sta girando a mille! Sono quasi tutti concentrati su grandi fratelli, amici, xfactor. Alcuni poi stanno riscoprendo i grandi temi della libertà e ci aiutano molto. 

L’importante è che stiano lontani dalle tematiche a noi care!

Certo! Chi sta tentando di riequilibrare il gap sociale è visto oramai come un coglione. Ancora un poco e li spazzeremo via. E torneremo finalmente a farci i cazzi nostri. Nel frattempo non potremmo ideare un nuovo filone demenziale? Che so: Grande Sorella, Piccolo Cugino, Encomiabile Zia? Un paio di tette, due o tre Signorini, una litigata a tavolino e il gioco è fatto.

Mmmmh ci penserò! Nel frattempo enfatizzate molto gli aspetti razziali, mi raccomando. Quelli catalizzano sempre. Voglio sentire in giro massime di King, di JFK. Distolgono molto e non fanno coalizzare. I centri storici sono lindi e liberi e la vendita di ninnoli a prezzi folli per fortuna va avanti. 

Ok, mi attivo subito. Tieni presente che comunque qui da noi siamo messi benissimo: ridicolizzano gli aiuti agli ultimi, si scagliano verso i correttivi sociali, sbeffeggiano le proposte di lotta all’evasione, che come ben sai sono da tempo immemore il sex toy incastonatogli nelle terga e di cui oramai non si curano più! Gli concediamo qualche fiaccolata e siamo a posto! Per Natale hanno pure il calcio, direi che veleggiamo alla grande!

Si, si ok! Ma controlla sempre che vi siano divisioni, tante, tante, tante! Prendi sempre ad esempio i verdi, che si sono divisi pur avendo uno 0,6%!!! Fantastici, sono stati fantastici! E mi raccomando le frasi ad effetto! La solidarietà spicciola, il dito, che guardino il dito! Sempre e comunque!

Stai tranquillo! Ormai conosco i miei polli! Te li preservo e mantengo mansueti. Ciao e buone feste!

A te!

lunedì 10 dicembre 2018

Un eroe moderno



Un benemerito dell’era moderna, un vate a cui tanti, tantissimi, ogni giorno mandano buffetti ed affettività via web, dopo essersi persi in un groviglio caotico di cavi, sigle, connessioni, avendo davanti dei totem inattivi che nei propositi, nelle aspettative, dai pagamenti appena effettuati, si sarebbero dovuti trasformare in modem, stampanti, mouse. Ma questo benefattore tramite il suo sito, visitato da circa 700mila persone al giorno che gli permette di fatturare circa 3 milioni di euro all’anno, riesce a rianimare, a far ritornare dall’oscurità, dai meandri della nostra ignoranza tecnologia, i tanto amati gadget ultramoderni, riappacificando menti e scacciando probabilissime blasfemie, frutto di non accensioni di led, di agghiaccianti silenzi mediatici.
Un immenso grazie a questo ventottenne, il cui nome è appunto sinonimo di misericordia: Salvatore Aranzulla!