domenica 31 agosto 2025

Tra qualche lustro


Fra qualche lustro i libri di storia scriveranno: “ecco com’era un uomo di merda del 2025.”





Preveggenza

 Un giorno lontano, III canto dell’inferno, girone degli ignavi…




Paciosamente

 


Orgoglioso

 

Orgoglioso del mio capoluogo di regione! 




Salpa la speranza


 

La partenza di Global Samud Flotilla per Gaza stride fortemente con la becera figuraccia dei cosiddetti ministri degli Esteri europei, i quali, colpiti dall’ormai non più raro virus della Tajanite, il cui portatore sano per eccellenza è il nostro rappresentante della politica estera, si sono riuniti per non decidere, al solito, una beneamata ceppa di caxxo, come se una presa di posizione davanti ad un genocidio, rappresentasse una forzatura all’inesistente politica di Bruxelles, tutta protesa ad acquistare armi dal Biondone Psicopatico. 

Un’Europa che non rappresenta più i sani di mente, un parlamento europeo che andrebbe smantellato tanto evidente è la sua incapacità a perseguire moralmente la verità. 

Questo silenzio vergognoso di fascisti e neoliberisti che ancora credono alla favola che Israele sia una democrazia da difendere - estikazzi!- questo voltarsi dall’altra parte mentre migliaia di bambini muoiono di fame, dovrebbe scatenare proteste di piazza simili a quelle che normodotati israeliani hanno compiuto a Tel Aviv, contro quell’assassino nauseabondo che sta compiendo un genocidio coadiuvato da quell’altro imbecille fanfarone da cui ancora dipendiamo, come la nostrana biondina sta dimostrando da sempre. Per fortuna qualcosa si muove, la Flotilla sta salpando, Genova è tornata rotore del senso di appartenenza ad un mondo libero e giusto, vaccino contro la Tajanite, da debellare celermente.

Nomina pazzesca!

 



Neoliberismo distruttore

 

La Milano dei finti sinistri patria dei ricchi magnati
DI DANIELA RANIERI
L’avevamo intuito anche noi coi nostri miseri mezzi, ma adesso che una dettagliata inchiesta del Financial Times spiattella con numeri e dati la notizia che Milano attrae i super-ricchi del mondo mentre espelle il ceto medio e tanto più – scusate le volgarità eventuali – i residenti poveri, non possiamo che prenderne atto: la già “capitale morale” d’Italia, Mecca del business, della moda e della pubblicità è diventata la residenza di campagna dei magnati della finanza e dell’impresa, che a Milano scialano in divertimenti e beni di lusso, quindi la capitale, semmai, della sciabolata alla bottiglia di champagne nelle feste private, che si tengono preferibilmente in luoghi pubblici noleggiati, se non proprio acquistati, dai ricchi in ragione del più persuasivo degli strumenti, ossia il denaro. Ma va’? E chi se lo sarebbe mai aspettato.
Purtroppo il quotidiano economico britannico rivela anche il motivo di questa speciale attrattività meneghina: bello il Duomo, bella Piazza Affari, bella la rinomata cucina milanese, bello bello bello tutto; ma tira più la flat tax che un carro di buoi. La flat tax è quella cosa che piace tanto ai liberisti di destra e di asserita sinistra, quindi a Salvini, alla Meloni e naturalmente a Renzi, che fu il primo a introdurre il sistema fiscale, perfezionato dall’attuale governo di finta destra sociale, grazie al quale i ricconi pagano solo 200 mila euro fissi di tasse anche con patrimoni siderali, quando le tasse di un operaio o un dipendente pubblico superano un terzo del salario tra trattenute e imposte varie. Una misura che negli ultimi anni è andata di pari passo coi vari condoni, rientri di capitali sociali (un’idea di Renzi per cui dovevamo ringraziare gli agiati evasori che ci facevano la cortesia di riportare il malloppo dentro i nostri confini pagando una bazzecola di multa), rottamazioni delle cartelle (“Cucù, Equitalia non c’è più”: sempre Renzi), concordati fiscali (ossia fregature per chi paga le tasse), concordati preventivi (quello targato Meloni è fichissimo: siccome si dà per scontato che la metà degli italiani evade le tasse, si offre ai non-contribuenti, autonomi e imprese, la possibilità di pagare un forfait, a scommessa su quanto guadagneranno il prossimo anno; fa nulla se aderiscono solo quelli che già sanno di dover pagare di più del forfait; e comunque è stato un flop e non hanno aderito manco quelli).
Ora, Milano, con le sue Lamborghini, i suoi “giardini segreti”, i suoi “boschi verticali”, i suoi bei costruttori che pagano consulenze ai commissari chiamati dal sindaco a decidere sulla fattibilità delle opere, è il prototipo di ciò in cui si mira a trasformare gli altri capoluoghi d’Italia: club esclusivi per individui baciati dalla fortuna, circondati da periferie prive di servizi e abitate da straccioni che costituiscono la forza lavoro necessaria alle aziende che li sottopagano affinché i benestanti possano continuare a benestare. È il “modello Milano”, appunto, amato e scientemente perseguito da destra e finta sinistra. Se non ricordiamo male, infatti, negli ultimi 15 anni è stata proprio la cosiddetta sinistra, nelle persone di Giuliano Pisapia (2011-2016) e Beppe Sala (dal 2016 a oggi), ad amministrare e forgiare Milano sulla base dei valori di competitività ed esclusività, di charme da venderci all’estero a dispetto di un’idea di città europea accessibile a cittadini di tutte le fasce di reddito; una Montecarlo di ringhiera, piena di grattacieli e di banche, disponibile al sacco dei lanzichenecchi del quattrino. Per i giornali padronali, naturalmente, questi due sindaci sarebbero stati i “federatori” ideali del centrosinistra nazionale: accidenti, siamo ancora in tempo?
Ad accomunare gli ex (?) fascisti e i neoliberisti asseriti di sinistra è la sistematica e crassa violazione (con tentato scasso) della Costituzione, laddove stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Col piffero: andatelo a dire ai neo-milanesi Richard Gnodde (vicepresidente di Goldman Sachs), Nassef Sawiris (magnate egiziano), Rolly van Rappard (cofondatore del fondo Cvc Capital), attirati a Milano dai prezzi stellari a cui è schizzato il capitale immobiliare, ormai per i ricchi più redditizio, secondo il FT, di quello di Londra, storicamente non proprio alla portata di tutte le tasche.
Ciò a dimostrazione di quello che scriviamo da tempo, cioè che le politiche di destra escludenti e classiste non sono un rigurgito fascista, ma lo stadio terminale del neoliberismo attuato per benino dalla cosiddetta sinistra. (Ieri sul Corriere, giornale della borghesia italiana, Graziano Delrio indicava la causa dell’incapacità del centrosinistra di percepire i bisogni del popolo: “Il Pd guarda fisso solo a sinistra”. Eh sì, dev’essere questo il problema).

Poveri noi!

 

Scioglietevi e sparite
DI MARCO TRAVAGLIO
Si spera vivamente che il vertice dei ministri degli Esteri fallito ieri a Copenaghen secondo le migliori aspettative sia l’ultimo, prima dello scioglimento di quel carrello di molluschi bolliti che si fa chiamare Unione europea. Proseguire con l’accanimento terapeutico sarebbe non solo inutile, ma anche dannoso. Con quel che succede a Gaza e in Ucraina, qualunque persona normale avrebbe proposto soluzioni concrete e drastiche. E costretto gli altri a restare riuniti sine die, anche per un mese intero, fino a un’intesa degna della drammaticità della situazione. Sull’Ucraina si trattava di prendere atto della sconfitta sul campo e del fallimento della linea per la guerra a oltranza fino all’ultimo ucraino a suon di armi a Kiev e sanzioni a Mosca e di invertire la rotta di 180 gradi, condizionando ulteriori aiuti all’accettazione di un compromesso territoriale con la Russia che metta fine al suicidio assistito del Paese. Su Gaza si trattava di varare le prime sanzioni commerciali e il primo embargo sulle armi a Israele: roba che, se fa il solletico alla nazione più grande del mondo, può seriamente impensierirne una piccolissima ed economicamente fragile.
Invece i 27 invertebrati hanno scelto la via opposta: perseverare nelle politiche fallimentari sulla guerra russo-ucraina e voltarsi dall’altra parte sullo sterminio israeliano a Gaza, riuscendo a dividersi e a fallire persino sulla farsa delle sanzioni ai coloni violenti (non certo allo Stato di Israele). La scusa escogitata dall’imbarazzante Kallas per l’ennesimo nulla di fatto su Gaza è che purtroppo l’Ungheria si oppone alle sanzioni e blocca tutti gli altri: peccato che il cattivone Orbán si opponga anche a quelle anti-Russia, il che non ha impedito all’Ue di varare 18 pacchetti e di annunciare il 19°. Orbán è uno specchietto per le allodole per distrarre l’attenzione dall’ignavia generale e rendere l’Ue ancor più antidemocratica abolendo il voto all’unanimità. Anche la Germania è contraria alle sanzioni (Merz è quello che “Netanyahu fa il lavoro sporco per tutti noi”). E comunque nessuno impedisce agli Stati di adottarle in casa propria, autonomamente, anche se altri non sono d’accordo. Se si muovessero i Paesi maggiori – Germania, Italia, Francia, Spagna, Polonia – farebbero a Netanyahu molto più male di tutti gli altri insieme. Contro la Russia l’hanno fatto inventandosi i Volenterosi. E sullo sterminio di Gaza dove sono i Volenterosi? Perciò conviene che l’Ue si sciolga, o lasci perdere la politica estera e torni alle faccende finanziarie e agli altri passatempi dei tempi d’oro, tipo misurare piselli e cetrioli: per togliere i due classici alibi agli Stati che non fanno nulla se non danni (“Ce lo chiede l’Europa”, “L’Europa è divisa”) e costringerli a fare finalmente qualcosa di utile.

L'Amaca

 

Il Maradona dei faziosi
di MICHELE SERRA
L’ex senatore Simone Pillon è già da tempo un pezzo pregiato della galleria leghista. Non un ordinario fanatico, come ce ne sono tanti; un vero e proprio virtuoso del fanatismo, un Maradona della faziosità, un Einstein del pregiudizio.
Ma forse l’avevamo sottovalutato. Non avevamo capito fino a che punto poteva arrivare il suo talento: Pillon ha superato se stesso. Indignato per la chiusura della non seguitissima trasmissione radiofonica di Marcello Foa, sul suo ribollente account Pillon ha attributo la «brutale chiusura della garbata trasmissione ai comunisti, che ancora comandano in Rai». Il fatto che «i comunisti», nickname che Pillon attribuisce a capocchia a chiunque non gli garbi, non solo non comandino in Rai, ma neppure abbiano mai comandato, per Pillon è irrilevante. Sono cose che possono interessare, al massimo, le persone pedanti che ritengono importanti i fatti, perfino più importanti degli evviva e degli abbasso.
Ma ecco — smacco supremo — che la stessa vittima della obbrobriosa censura, Marcello Foa, sente il dovere di rispondere così: «Grazie Simone, però questa volta la sinistra non c’entra. Ha fatto tutto il centrodestra».
Devo confessare che raramente mi sono divertito tanto (forse quando ho visto Un pesce di nome Wanda). Siamo di fronte a un caso inedito, forse irripetibile. È l’infortunato in persona a rassicurare il suo esagitato soccorritore: grazie, sei molto gentile a preoccuparti per me, ma non sono stato picchiato dalle bande nemiche. Mi sono fatto male da solo, sgambettato dai miei e dai tuoi amici.
Non si sa cosa aggiungere. Se non che, di qui in poi, seguiremo le esternazioni di Pillon con crescente ammirazione. Nella speranza che sia in grado di tollerare anche fan comunisti.

sabato 30 agosto 2025

Mi perdoni!

 


Santità, perdoni l'ardire, ma l'udienza concessa ieri all'Idiota del Ponte, scusi il francesismo, a mio parere non è stata un'azione tra le migliori, per una serie di ragioni che le vorrei trasmettere: 

quel politico leghista che non nomino neppure era da una decina d'anni che tentava di essere ricevuto dal Papa, e il suo predecessore non glielo concesse mai, probabilmente perché aveva ben capito con chi aveva a che fare. 

Delle foto assieme a Sua Santità ne farà motivo di becera propaganda, illudendosi di essere un politico serio, giusto ed illuminato, praticamente l'opposto di quello che in realtà è. 

Se legge i suoi pensieri - ciao core! - vedrà tanta arroganza, razzismo, incompetenza, pusillanimità infinita. Agisce e sproloquia solo per rimanere in tolda, visto che non ha mai combinato un emerito ca... ehm ... una beata seg... ehm... insomma: non ha mai lavorato in vita sua. 

E' poco scaltro, agisce d'impulso e il più delle volte combina disastri. Infine è supportato da rozzi ed insalubri personaggi che non hanno altro da ricercare se non l'appagamento personale. 

Per questo Santità, non sono d'accordo riguardo all'udienza concessagli, sempre premettendo che sicuramente lei, mosso da carità cristiana, ha visto in lui un fratello d'accogliere. Come abbia fatto rimane per me mistero. 

La saluto cordialmente. 

Analisi

 

La tela di Penelope
DI MARCO TRAVAGLIO
La Russia continua ad attaccare e ad avanzare in Ucraina. Ma va? Chi l’avrebbe mai detto. L’unica cosa che stupisce è lo stupore. Da tre anni e mezzo, per l’Occidente, la scelta è sempre la stessa. Non tra la pace e i condizionatori accesi, come disse quel genio. Ma tra il provare a vincere la guerra inviando qualche centinaio di migliaia di soldati a combattere e a morire sul campo (ipotesi esclusa fin dall’inizio), e l’accettare un compromesso con chi la sta vincendo. Il compromesso, nel marzo 2022 a Istanbul, costava poco: non prevedeva cessioni di territori, ma solo Kiev fuori dalla Nato e parzialmente demilitarizzata e l’autonomia speciale al Donbass. Ora costa di più: oltre alle altre condizioni, il controllo russo su Crimea, Lugansk, Donetsk e tre quarti occupati degli oblast di Zaporizhzhia e Kherson. E domani sarà ancor più costoso. È un ricatto? Sì, come in tutte le guerre. Ci sono alternative? No. A meno che sia un’opzione continuare a drogare Zelensky con promesse di armi e soldi (che non abbiamo) perché mandi al macello i suoi superstiti e perda altri territori. È la linea criminale e criminogena prima della Nato e, ora che Trump s’è sfilato, della sola Ue, che vaneggia di articoli 5 e “addestratori militari nell’Ovest dell’Ucraina” (l’ultima ideona della Kallas, che esporrà ad attacchi forsennati anche quelle regioni finora risparmiate).
Qualcuno avrà notato il folle ghigno con cui Macron e Merz, tornati in posizione eretta dopo le genuflessioni a Trump, annunciano l’uno che “Putin è un orco” e l’altro che “non ci sarà nessun vertice Zelensky-Putin”. Peskov, portavoce dell’orco, ha risposto che “il bilaterale è tutt’altro che escluso, ma va preparato bene”. In effetti, mentre la posizione russa è chiara (e condivisa a Washington), quella ucraina è buio fitto. Zelensky a dicembre ammise: “Non riprenderemo i territori occupati”. Poi parlò di “riconquista” completa. Ieri ha ricambiato idea. E Putin, disponibile a vederlo dopo aver parlato con Trump di compromessi territoriali, non ama gli incontri al buio. Né ha interesse a una tregua che, se l’Ue non smette di comprare armi dagli Usa per inviarle a Kiev, favorirebbe solo il suo nemico. È una tela di Penelope. Trump ogni notte agevola i negoziati e l’Ue ogni giorno li sabota: poi, siccome ovviamente la guerra continua con l’Ucraina che continua ad arretrare e la Russia ad avanzare, si mette a strillare: “Visto che Putin non vuole trattare?”. Intanto i russi, pezzo per pezzo, si prendono con bombardamenti e stragi ciò che chiedono per via negoziale. E, non paghi delle cinque regioni annesse, entrano pure in una sesta: il Dnipropetrovsk. Oggi Zelensky offre ciò che Putin gli chiedeva nel 2022. Domani magari dovrà implorarlo di accettare ciò che gli chiede oggi.

L'Amaca

 

Flotta vincente anche se perde
di MICHELE SERRA
Comunque vada a finire, questa storia della Global Sumud Flotilla apre il cuore. Emotivamente e politicamente: a volte i due avverbi coincidono. Per la nobiltà dell’intento (portare cibo a Gaza), per la composizione multinazionale e multireligiosa (e per fortuna: anche non religiosa) dei partecipanti, per il coinvolgimento di un sacco di gente semplice che porta beni commestibili nei porti di partenza (duecento tonnellate solo a Genova!), per la natura popolare di una mobilitazione che bypassa i governi e la loro ignobile inerzia.
Una marcia per mare autoconvocata che nonostante la quasi certezza di non raggiungere l’obiettivo — perché per il governo israeliano Gaza è sotto sequestro nonostante non sia roba loro — mette in campo, male che vada, almeno la rappresentazione concreta di una volontà di soccorso che anche la più sprovveduta, la meno politicizzata delle persone è in grado di capire nel profondo. E di condividere.
Si vedranno vele, e scafi, e navigli di vario pregio fare rotta per un litorale nel quale (non lo sapevate?) l’esercito occupante ha imposto il divieto anche di fare il bagno.
Spiagge senza bagnanti, come dire: piazze senza viandanti. Le barche saranno cariche di casse di pasta, riso, farina, zucchero, legumi, alimenti in scatola, medicinali.
Disarmate, come gli equipaggi. Dunque: uomini con le armi impediranno a uomini disarmati di soccorrere una popolazione stremata. Nel caso che questo civile veleggiare, questa vincibile armada in soccorso di chi soccombe, e muore, ed è perseguitato, fosse propaganda di Hamas, bisogna dire che è molto ben congegnata.
Forza Flotilla, siamo con te.

venerdì 29 agosto 2025

Si scherza eh!

 



Dunque...

 

Dunque, dunque, dunque…dunque…dunque…




Ma dai, davvero?

 



E' qui la festa?

 



Natangelo

 



La patacca

 

Piano casa, il bluff di Salvini&Meloni che fa felici i privati
DI LEONARDO BISON
Rulli di tamburo: il governo ha un piano casa. Lo ha detto, in realtà ribadito, la premier Giorgia Meloni alla platea di Comunione e Liberazione il 27 agosto e, a giudicare dalla reazione dei media, pare che il problema degli affitti, dell’acquisto di una casa e perché no, anche della natalità, sia a un punto di svolta. “Una delle priorità su cui intendiamo lavorare è un grande piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie, perché senza una casa è più difficile costruire una famiglia”, ha detto la premier alla platea plaudente, per poi aggiungere che secondo l’Ance, l’associazione nazionale costruttori, servirebbero 15 miliardi, e su questo il governo sta lavorando. A seguire il ministro Matteo Salvini ha ricordato che sì, per ora sono stati stanziati 660 milioni, ma si punta a fare di più: “Stiamo lavorando anche su risorse private da mobilitare”. Il clamore mediatico però non corrisponde a novità concrete: un “piano casa” è stato presentato a grandi linee (cioè con 10 slide) il 17 giugno dopo il quinto tavolo sulla casa tenutosi al ministero delle Infrastrutture. Salvini ne parla dal 2023, la legge di Bilancio 2025 ha messo i primi fondi. E, seppur i dettagli siano molto pochi, le linee guida del progetto sono piuttosto chiare: si rischia un bel favore ai privati, sulla falsariga del modello milanese che tanto ha prosperato in questi dieci anni e che oggi si trova al centro di un’inchiesta della Procura.
Andiamo con ordine. L’Italia ha un disperato bisogno di alloggi pubblici. Circa il 3,8% degli alloggi esistenti sono di proprietà pubblica, contro il 29% dei Paesi Bassi e della Danimarca, il 24% dell’Austria, il 16% della Francia. Il nostro paese però (vedi pezzo accanto) vive anche un unicum in Europa, dato che il prezzo delle case in vendita è sceso negli ultimi 15 anni mentre gli affitti continuano a crescere a ritmi sostenuti. Peraltro, il prezzo delle case già esistenti continua a calare, mentre quello delle case nuove cresce. Per questo l’idea di calmierare affitti e mutui per le giovani coppie è ben lontana dal cuore del problema. “L’idea di dare ai giovani la possibilità di comprare la propria casa è nobilissima – ha detto il segretario generale del Sunia Cgil Stefano Chiappelli – ma in un’Italia dove la precarietà lavorativa, i salari stagnanti e l’inflazione ormai sono la norma, per molti resta un miraggio. Per una vasta fetta di giovani, la vera sfida non è trovare il mutuo giusto, ma un affitto a un prezzo accessibile e con un contratto stabile”.
Nelle bozze del piano, che dovrebbe essere tradotto in un Dpcm, non ci sono solo affitti e vendite calmierati: c’è l’idea di procedure più veloci per sfratti e costruzioni, ma soprattutto la volontà di trasformare le varie società pubbliche che si occupano di case in aziende miste pubblico/private. E la ricerca di capitale privato per costruire alloggi, cioè per arrivare dai 660 milioni stanziati ai miliardi necessari. Detta semplice, il modello dell’“housing sociale” alla milanese, in cui una parte delle case costruite viene data in affitto calmierato, o in vendita calmierata, mentre un’altra resta all’investitore privato per farne quel che vuole. Non è un tecnicismo: se l’alloggio “sociale” deve garantire una rendita all’investitore, questo sceglierà famiglie o inquilini che possono offrire garanzie, insomma il “ceto medio” sempre più impoverito (complice il caro affitti) che potrebbe trovare soluzioni a un prezzo un po’ più basso di quello di un mercato fuori controllo. Per i bisognosi resta poco o nulla, con liste d’attesa da decine di migliaia di persone per una casa popolare.
Per questo il Piano, come sta nascendo, piace ai costruttori, ma anche ai fondi immobiliari e alle fondazioni bancarie, che hanno partecipato ai tavoli con il governo in questi mesi: Fiaip, Ance, Intesa San Paolo, Invimit, anche Legacoop e Confcooperative. “Confermiamo alla presidente Meloni e al ministro Salvini la nostra disponibilità ad affrontare insieme un tema, quello dell’accesso alla casa, che riveste un’importanza essenziale sul piano economico e sociale”, ha commentato a caldo Giorgio Spaziani Testa di Confedilizia. Ma a quei tavoli non sono stati invitati i sindacati degli inquilini, che notano anche come il governo stia procedendo senza attendere gli esiti della Commissione europea, che a gennaio 2025 ha avviato i lavori per un piano casa europeo che si prospetta ben finanziato. “L’esempio di Milano non ci ha insegnato nulla. Si prosegue su questo malinteso per cui il social housing, che in Europa vuol dire alloggi pubblici, da noi si trasforma in un favore alla rendita. Non è che Salvini non riconosce i sindacati, non riconosce l’esistenza di fasce di popolazione che quegli affitti, quei mutui, se li sognano” nota Silvia Paoluzzi dell’Unione Inquilini di Roma.
Un intervento da 15 miliardi, semmai dovesse vedere la luce, certo un effetto sul mercato l’avrebbe, aumentando gli alloggi (sono 86 mila quelli pubblici esistenti non abitati), ma anche con un impatto sull’edilizia quindi sul Pil, seppur non sulle fasce più deboli. L’ultimo piano casa nazionale risale al duo Renzi-Lupi, nel 2014, 1,7 miliardi stanziati. L’effetto più dirompente è stato quello di vietare di avere residenza e allacciamenti dei servizi a chi occupa una casa: nel pratico, da allora migliaia di persone devono convincere funzionari comunali a ignorare la legge, oppure si trovano a vivere senza luce e acqua, o per strada. “Ma per trovare un vero piano casa, strutturale, bisogna risalire a Fanfani, al 1949, è imbarazzante – spiega Filippo Celata, ordinario di Geografia economica urbana all’Università Sapienza – Qui veniamo da decenni in cui chiamiamo ‘regolatori’ dei piani edilizi. Non basterebbero decine di migliaia di alloggi pubblici, e comunque non pare si vada verso questa direzione. In un Paese in cui il 93% delle abitazioni sono di proprietà di persone fisiche, bisogna intervenire sul mercato privato” incentivando l’affitto, con garanzie e regole, oltre a costruire alloggi popolari. Invece, nota Celata, nel contesto attuale le agenzie regionali e il Demanio vendono gli alloggi pubblici esistenti per fare cassa. Sono circa 10 milioni le case non permanentemente abitate in Italia, il 27% del totale, circa 600 mila persone in lista d’attesa per un alloggio popolare. Ma più che un piano casa, sta per arrivare, forse, un ennesimo piano rendita e qualche bonus spot.

Che fare?

 

Gaza, che fare dopo
DI MARCO TRAVAGLIO
Nessuno sa cosa si siano detti Trump, il cognato Kushner, il segretario di Stato Rubio, il redivivo Blair e il ministro israeliano Saar nella riunione dell’altra sera sul futuro di Gaza. Ma gli orrori quotidiani nella Striscia dovrebbero indurre tutti a sperare che un piano esista. Uno qualsiasi. Nulla può essere peggio che lasciar gestire da Israele quel fazzoletto di terra: un decimo della Val d’Aosta, popolato da 2,3 milioni di palestinesi e lastricato di macerie e cadaveri. Qualunque soluzione è meno peggiore: anche un protettorato internazionale temporaneo con Usa, sauditi, emirati e Ue: Paesi che non sterminerebbero né affamerebbero i civili. L’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen non ha né la forza, né la credibilità, né i capitali per farsi carico di una ricostruzione da almeno 100 miliardi di dollari. Hamas si è messa fuori gioco con la mattanza del 7 ottobre. Israele – che con Sharon nel 2005 aveva saggiamente ritirato soldati e coloni da Gaza – con Netanyahu ha superato ogni limite di disumanità e impiegherà decenni per lavarsi le mani insanguinate. Ogni alternativa all’Idf è il male minore, anche se viene da personaggi come Trump e Kushner e da politici falliti e affaristi come Blair. Per attrarre capitali occorre offrire agli investitori privati lauti guadagni. E nessuno Stato ha i mezzi per finanziare una mega-operazione di bonifica, muratura dei tunnel, sminamento e riedificazione da zero. Moralismi e ironie sul Piano Riviera lasciano il tempo che trovano: con quel clima e quella posizione, Gaza può diventare uno splendido polo turistico e un centro agricolo d’avanguardia. Come il Libano prima della guerra civile. Ma a una condizione: che i palestinesi siano parte del piano, lavorando e guadagnando prima nella ricostruzione e poi nelle nuove attività economiche. La prospettiva di una vita finalmente normale potrebbe indurli ad accettare sacrifici, spostamenti e precarietà negli anni dei cantieri, mentre ora ne hanno una sola: se sono anziani fuggire coi bambini (nessuno sa dove), se sono giovani o adulti arruolarsi in Hamas.
Un progetto esiste già: l’ha elaborato un anno fa l’economista Joseph Pelzman della George Washington University. Prima del voto di novembre Trump se lo fece inviare, poi iniziò a farlo proprio, ma con una differenza fondamentale: l’esclusione dei palestinesi, senza peraltro precisare dove dovrebbero andare, visto che nessuno li vuole e i vicini arabi tengono le frontiere sigillate. Parlarne ora, a mattanza in corso, non è prematuro: è doveroso. Infatti persino Trump si pone il problema, mentre la famosa Europa non ne fa parola. Le guerre (anche a senso unico come questa) finiscono solo quando c’è almeno una vaga idea sul dopoguerra.

L'Amaca

 

L’applauso generalista
di MICHELE SERRA
Mi chiedo sempre, ogni anno da molti anni, da cosa dipende l’applauso indiscriminato che il Meeting di Rimini riserva a chiunque governi (avrebbe una cordiale accoglienza anche Gengis Khan). C’è un’ipotesi fausta: quell’applauso dipende da un lodevole sentimento di ascolto, molto cristiano, che in politica genera un atteggiamento super partes decisamente anticonformista in tempi di faziosità spinta.
Ma c’è un’ipotesi infausta: è che tutto fa brodo purché il sapore sia quello del potere, e dunque non contano le idee e le posizioni politiche, conta quella sorta di “centralità” inamovibile, ecumenica e un poco ipocrita che un tempo fu della Dc, oggi è di Cl. In questo senso, applaudendo tutti, quell’assemblea applaude se stessa, la propria eternità, la certezza di esserci sempre e per sempre perché a riunirla non è il tifo per questo o per quel politico, è sentirsi arbitro della partita. E l’arbitro non vince e non perde: arbitra.
Dev’essere una bella sensazione, sentirsi a proprio agio dentro qualunque temperie politica e di fronte a qualunque bandiera.
Però quelli non super partes (mi metto nel novero), oltre allo svantaggio di patire per le sconfitte fino a guastarsi l’umore, hanno anche il vantaggio di vivere le vittorie come se li riguardassero personalmente, come se fossero anche il frutto del proprio impegno — benché non sia un impegno, come dire, di tipo generalista.
Per i super partes non ci sono i gol fatti e quelli subiti, i gol sono tutti uguali e tutti meritevoli di esultanza, chiunque li abbia fatti. Dev’essere anche piacevole, perché mette al riparo dal senso di sconfitta. Però, non è un po’ comodo?

giovedì 28 agosto 2025

Piuttosto che…


Ho fatto un gioco: piuttosto che stare su uno yacht con Fedez, la Santanché, suo marito Dimitri e Ignazio La Russa, dove avresti voluto essere? 

- in casa a sparare raudi a mezzanotte avendo come vicini Olindo e Rosa 

- a parlare dell’informazione libera con Mario Sechi

- a fare un gavettone a Mike Tyson

- ad ascoltare un comizio di Vannacci

- ad aiutare Borghezio ad attraversare la strada

- a parlare di politica con Ben Gvir

- ad andare ad un concerto di Sfera Ebbasta

- a fare un Bartezzaghi con Donzelli 

- a chiedere informazioni sulla letteratura russa al ministro Giuly 

- al Meeting di Comunione e Liberazione

Tra le fobie

 Tra le fobie, le paure ancestrali spicca, come ovvio, quella di morire. È insita nell’animo umano e nulla può distoglierci dal pensarvici. Sembrano ovvietà ma, come tutti, anch’io ci penso non, per fortuna, ossessivamente, almeno per ora. 

Se da un lato la fede corrobora e sostiene i credenti, dall’altro, quello dell’ateismo, supporta il pensiero di non essere più, senza dolore, fatica, tristezze. 

E quando scompare qualcuno di conosciuto ci pervade la tristezza della sua mancanza, il non senso della dipartita, perché vorremmo che questa vita non finisse mai, vissuta però da giovani, come le varie tecniche di ringiovanimento ci portano a credere, da babbei quali siamo. 

Un aiuto importante a me personalmente viene dall’astronomia, una scienza che se assaggiata bene ti rende capace d’incastonarti nel posto giusto, nella tua piccolezza conclamata. Se le stelle che hanno il loro ciclo e poi esplodono innondando lo spazio di polveri ed elementi che una volta che si riassembleranno rigenereranno nuovamente vita, anche noi, che siamo fatti della loro stessa sostanza, un giorno contribuiremo con i nostri mattoni a formare chissà cosa. È un ciclo, misterioso, inarrestabile, sontuoso. Si dirà: si campa troppo poco, il male accorcia pure molte vite, la malvagità umana ancor di più. Vero, ma è nel flash vitale che è basilare correre. Chi scrive ha 64 anni e solo da poco ha compreso quanto tempo datogli è stato scialacquato senza alcun ritorno: quanti rimpianti nelle relazioni perse, nei libri non letti, in quelle giornate ad aspettare sera e poi mattina etc! 

Non torna più il tempo perso, ed Albert ci ha detto pure che può essere modificato, si può incurvare, può fermarsi attorno ai buchi neri ed è una sola cosa con lo spazio. Non conosciamo il 95% della composizione dell’universo, non sappiamo nulla e ci atteggiamo a grandi menti padrone del suddetto. Ecco quindi l’ennesimo supporto, la consapevolezza di essere pulviscoli sopra ad un pulviscolo blu, l’insensatezza dello spremerci per fetecchie senza dignità, la mancanza di comprendere la nostra nullità astronomica in questo sistema solare posto nella periferia di un’anonima galassia, in un antro infinitesimale di una qualunque porzione dell’universo. 

Riassumendo: 

Dobbiamo morire e non possiamo farci nulla!

Quello che ci sarà non lo sappiamo. Non serve flagellarsi quaggiù per sperare nella gioia futura. 

Siamo nulla e nulla saremo in eterno. 

Quest’anno non faremo la Champions (ma questo riguarda noi milanisti) 

Dai, sollevate i cuori e vivete il secondo attuale (che è già passato tra l’altro)






Mondo silente

 


Forse per incrementare l’acredine la Gioggia di tutti loro ha in mano lo shopping bag di Radio Maria, la radio che ovunque, pure sul monte Huascáran, mentre cerchi sano rock, s’intromette con le preghiere dedicate tipo “da un sacrista infervorato alla sua lady dicendogli - oggi accendo per te tre lumini a San Burgondio”, facendoti traballare molto riguardo al secondo comandamento; la bionda cameriera del Biondone, leggendo dai teleprompter (o anche gobbo) un discorso probabilmente costruito dai fratelli Grimm, ove le fregnacce più smargiasse (la casa per i futuri sposi - ciao core! - probabilmente costruita in legno con le cassette contenenti le armi che dovremo comprare dal suo padrone schizofrenico - la lotta contro la magistratura comunista, con applauso giunto direttamente dal Mausoleo arcoriano - miracolo! - che ancora tenta di ingabbiare i suoi amici tutti intenti a far del bene lobbysticamente, i riferimenti a libri e a fumetti che scoperto l’inghippo si sono autocombusti, il riferimento alla lotta contro i migranti clandestini - e a questo punto ci fosse stato un ciellino che alzatosi, si fosse prorotto in un’escamazione del tipo “a Giorgia ma che caxxo sta’ a dì! Qua dentro dovrebbero regnare le Beatitudini giusto? E allora leggile prima di dire cazzate!” ma, essendo ciellini, ciò non è avvenuto. Ed infine il coraggio da film epico di sfiorare, di riferirsi al genocidio palestinese, con quell’arroganza coatta di chi sa di essere stata silente e complice, ma attacca lo stesso, sodale a Casapound com’è, asserendo che lei salva i bambini, da brividi queste parole, soprattutto perché, essendo ciellini, nessuno ha obbiettato nulla in merito. Accendo la radio perché sono oltremodo incazzato “ciao fedele del rosario delle 18, ti ho vista pregare magnificamente, ti dedico questo Ave-Pater-Gloria!” Azzz!!!

Nataangelo

 



Chi è stato?

 

Ehi, dite a noi?
DI MARCO TRAVAGLIO
“Draghi è l’idraulico che viene a riparare il sifone del lavandino rotto e sbotta: ‘Ma che cazzo di lavoro le hanno fatto?’. E il lavoro lo aveva fatto lui”. Questa battuta sul web descrive alla perfezione il nuovo gioco dell’estate che ha sostituito lo yoyo e l’hula hoop: i principali responsabili del tramonto dell’Europa fanno a gara nel denunciare il tramonto dell’Europa. Draghi, ex capo della Bce e del governo italiano, traccia il solco. E tutti gli altri dietro, dalla premier Meloni agli “ex” Letta e Prodi (già presidente della Commissione Ue) alla Metsola (presidente del Parlamento Ue): sì sì, è vero, l’Europa è inutile, irrilevante, spettatrice, inerte, inetta, serva degli americani, dillo ancora, bene, bravo, bis! La domanda sorge spontanea: ma dite a noi? Sarà mica colpa nostra? E ve ne accorgete adesso? No, perché a sentirli parlare sembra che sia una cosa recente, dovuta al ritorno di Trump (e te pareva): invece prima, fino al 20 gennaio 2025, l’Ue era fortissima e utilissima. Vuoi mettere quando, anziché di Trump, era serva di Biden, Obama, Bush jr. e Clinton perché credeva di essere la Nato? Radeva al suolo Belgrado, invadeva l’Afghanistan e l’Iraq, bombardava la Libia con gli Usa per farli contenti, li lasciava liberi di destabilizzare la Georgia e l’Ucraina per provocare la Russia, sbaragliarla e smembrarla, non muoveva un dito quando sabotavano i negoziati russo-ucraini, si martellava le palle con le auto-sanzioni a Mosca e le decine di miliardi in fondi e armi a Kiev, ma allora sì che era protagonista. Poi purtroppo hanno rieletto Trump e la superpotenza europea, dalla sera alla mattina, s’è squagliata.
Dev’essere colpa di Trump se l’euro nacque senza la leva della svalutazione, diversamente da dollaro, yen e yuan; se l’Ue non ha regole tributarie comuni e i suoi soci si fanno dumping l’uno contro l’altro; se, pur di non uscire da quella gabbia di ghisa, ha stritolato la Grecia (la prossima, se farà l’errore di entrare, sarà l’Ucraina) e impoverito gli altri popoli; se si è allargata spensieratamente all’Est ex-comunista che c’entra poco o nulla con i Paesi fondatori e che ora si tenta di neutralizzare abolendo l’unanimità. E oggi naturalmente è colpa di Trump se lui tenta in ogni modo di chiudere la guerra in Ucraina, cioè in Europa, e l’Ue tenta in tutti i modi di allungarla e allargarla anziché aiutarlo. Perché non è affatto vero che l’Ue, sulla guerra in Ucraina, sia spettatore passivo. Magari lo fosse. È un sabotatore attivissimo: promettendo a Kiev soldi e armi che non ha, sta spingendo Zelensky a rivendicare sine die i territori perduti e a continuare a combattere, cioè a perderne altri. Quando gli ucraini si accorgeranno dei danni che fanno i nostri amorevoli consigli, ci bombarderanno con le nostre armi.

L'Amaca

 

La persona seria nuovo supereroe
di MICHELE SERRA
Dice Sorrentino che il protagonista del suo film La grazia, appena presentato a Venezia, è «una persona seria», e questa qualità mi ha colpito come se fosse una specie di super-potere. Come l’uomo invisibile, come Spiderman, come Hulk, la «persona seria» fa spicco per la sua eccezionalità, e ho voglia di vedere il film (anche perché amo molto il cinema di Sorrentino) per verificare se questa mia percezione abbia un fondamento. Se, cioè, la persona seria entra di diritto nel ristretto circolo dei supereroi.
Della scomparsa del concetto di serietà dalla scena politica ha scritto efficacemente, poche settimane fa, Walter Veltroni sulCorriere, ma mi sento di estendere questa osservazione anche al mondo della comunicazione in generale. Essendo lo scopo della comunicazione — a tutti i livelli — attirare l’attenzione degli altri a qualunque costo, si schiaccia su quasi tutti i tasti espressivi che “fanno il botto”: la brillantezza, la volgarità, l’aggressività, l’esibizionismo, il vittimismo e la richiesta di compassione, l’ostentazione dell’odio e quella dell’amore, l’emotività in ebollizione costante.
La serietà non corrisponde ad alcuno di questi registri, è riflessiva, spesso silenziosa, ha tempi lunghi e alla fine è sempre a rischio di essere noiosa. Ovvero di non essere notata, che è la peggiore sorte immaginabile da quando viviamo nella società dello spettacolo: se nessuno ci applaude e nessuno ci fischia, abbiamo il terrore di non esistere.
La serietà non è sinonimo dell’autorevolezza ma ne è la condizione: la introduce. Pare che la persona seria del film di Sorrentino abbia come suo compagno di strada il dubbio. Mi sono chiesto qual è l’ultima volta che ho sentito una persona pubblica rispondere “non lo so”, o “devo pensarci sopra”, a una domanda. Entrerebbe di diritto nell’albo, ristrettissimo, delle persone serie.

mercoledì 27 agosto 2025

Dal Meeting

 

Meloni: “L’Italia si è riappropriata del suo posto nel mondo”

“L'Italia si è riappropriata del posto che le spetta nel mondo, non è più considerata il malato d'Europa". Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo al Meeting di Rimini. “La mia missione è fare in modo che l'Italia si riappropri del posto che le spetta, che merita, nel mondo: forte, fiera schietta, leale, in una parola autorevole. Oggi sono fiera che l'Italia venga vista così a livello internazionale che non venga più considerata la grande malata d'Europa ma addirittura un modello di stabilità di serietà di governo, che gli investitori internazionali ci considerino una Nazione sicura tanto che ormai i tassi di interesse che paghiamo sul nostro debito sono in linea con quelli che si pagano in una nazione come la Francia".




Il solito clap clap!

 


Non dovrebbe oramai far notizia lo spellamento di mani cielline dinnanzi al potente di turno, visto che al braccio cementifero chiamato Compagnia delle Opere non interessa alcunché di moralità o finalità politica dell’attuale presidente del consiglio, visto che a loro interessa solo il grano, anzi il Krano. Se poi colei che oggi è stata subissata da calore, affetto e giubilo, tanto da rimanerne colpita, occhieggia ancora al nero perdi sempre, se pratica una politica elitaria proteggendo evasori ed affini, se manda le navi zeppe di “Poveri Cristi” in porti lontani prolungandone l’agonia, se come il miglior predone uniforma i media al suo servizio grazie a pennivendoli peripatetici, se libera un aguzzino di inermi rispedendolo in patria con aereo di Stato e, soprattutto, se resta muta e vergognosamente silente davanti ad un genocidio compiuto da assassini sionisti a cui vende pure le armi, che volete interessi al celestiale popolo ciellino? Nulla di nulla. Tanto in caso fosse peccato che fare? Una bella assoluzione e via! Avanti il prossimo!

Nooo!

 


Sono contrarissimo a questa scelta del Movimento. Gli accordicchi con i figli dei cacicchi costituiscono un serraglio alla libertà della politica. Fico è una persona per bene, la coalizione è giusta per tentare di battere la destra. Ma permettere che il figlio del ras campano sieda sulla poltrona di segretario pidino è tutto quanto il movimento ha combattuto negli anni. E se la natura dei pentastellati non è cambiata, prevedo molte difficoltà in caso di vittoria. Se il figlio del cacicco s’incardina, prima o poi chiederà qualcosa. E si riandrà a votare. Almeno spero.

Mi sbagliavo!

 

Credevo che con Donzelli, la Caciottara e l’Idiota del Ponte si fosse toccato il fondo. Mi sbagliavo. Sambuca Molinari è una spanna sopra tutti. 

Il Premio Merdone è suo!






Saggia donna!

 



Natangelo

 



Robecchi

 

Antisemitismo. Quell’accusa-jolly ormai è un’arma che non funziona
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Ora che l’accusa di “antisemitismo”, che va su tutto, come il beige, ha colpito addirittura la Francia e Macron, persino la Germania che non vende più armi a Israele, come del resto era stata rivolta a papa Francesco, si comincia a parlare – era ora – di quanto sia spuntata l’arma retorica di chi difende o nega il genocidio nascondendosi dietro l’ombrello bucato dell’odio antiebraico. In soldoni, chiunque critichi il massacro, l’occupazione di terre, la politica coloniale, l’apartheid, le dichiarazioni di politici e ministri israeliani che invocano pulizia etnica e soluzione finale per il popolo palestinese, i bombardamenti di scuole e ospedali, i colpi dei cecchini in testa ai bambini (come da numerose testimonianze di medici internazionali), gli spari sulla folla in fila per il pane, la mattanza di giornalisti, è passibile dell’infamante accusa di “antisemitismo”, che servirebbe a tacitarlo.
Bene, è ora di dirlo: non funziona più.
Il trucco è antico, ben rodato ed è stato usato per decenni, anche quando non comandava il criminale Nethanyahu a cui oggi va di moda attribuire tutte le colpe. Far coincidere toutcourt “gli ebrei” (generico) con lo Stato di Israele, ha protetto per anni le malefatte di chi occupava terre altrui, decideva come e quando bombardare, come e quando aprire e chiudere i rubinetti, i check-point, i rifornimenti. Lo scudo dell’Olocausto – forse il più grande, sicuramente il più scientifico e vergognoso massacro della Storia – è stato usato per creare attorno a Israele una specie di scudo protettivo, che evitasse critiche, sanzioni, embarghi. Finendo per banalizzarlo.
Un inquinamento del discorso pubblico scientificamente costruito e alimentato. Basta guardare le proteste sui social: non esiste post di denuncia della barbarie israeliana che non sia commentato da qualche negazionista del genocidio con l’accusa di antisemitismo. Al punto di usare questa specie di jolly dialettico in ogni caso, spessissimo a sproposito e fuori contesto. Se dici “Free Palestine” sei antisemita. Se invochi le risoluzioni dell’Onu sei antisemita. Se ricordi la Corte di Giustizia, o i trattati internazionali, sei antisemita. Una briscola da giocare in ogni occasione, insomma, una specie di lasciapassare per la barbarie, l’ultima spiaggia dei farabutti.
Ora è sotto gli occhi di tutti che questo “Iron Dome verbale” (copyright Shimon Stein, ex ambasciatore di Israele in Germania) non funziona più, per vari motivi. Il primo è banalmente quantitativo: se si lavora indefessamente per far coincidere “ebrei” e Israele, se si ripete all’infinito questa falsa equivalenza, alla fine molti ci crederanno, e siccome chi stermina un popolo non piace a nessuno, le menti semplici, chi non conosce la complessità della situazione, la massa, accetterà l’assunto, e questo finirà per aumentare l’antisemitismo, non per diminuirlo.
Poi c’è il grottesco che non ti aspetti: fior di professori, studiosi, intellettuali ebrei, anche sopravvissuti all’Olocausto, che denunciano il massacro (alcuni chiamandolo con il suo nome: genocidio) subiscono la stessa accusa. Così abbiamo decine e decine di ebrei, anche illustri, anche letti e ascoltati, accusati di essere antisemiti, il che copre ulteriormente di ridicolo quello scudo ormai inservibile. Non solo: rivela chi se ne serve strumentalmente per quello che è: non un difensore degli “ebrei”, ma dei disegni suprematisti e coloniali di Israele. In ultima analisi: complici e veri, consapevoli, fomentatori dell’antisemitismo nel mondo.

Attorno al niet

 

Quanti bei democratici
DI MARCO TRAVAGLIO
Che il Dio in cui non crede ci conservi Woody Allen. In poche e disarmanti parole, il grande umorista-attore-regista spiega perché ha accettato di collegarsi con l’International Film Week di Mosca, scatenando le solite reazioni isteriche del regime ucraino e dei suoi servi sciocchi: “Sulla guerra in Ucraina credo che Putin abbia totalmente torto. La guerra che ha causato è tremenda. Ma, qualunque cosa abbiano fatto i politici, interrompere il dibattito artistico e culturale non è mai un buon modo di aiutare”. Lo spartiacque fra civiltà liberale e illiberale è tutto qui. E il fatto che l’Ucraina continui a cancellare la cultura russa e a spingere gli alleati a bandire tutto ciò che è russo – dando pure lezioni al Papa per la Via Crucis – la dice lunga su quanto resti lontana dalla democrazia. Senza contare la ridicolaggine di un “comico” che suonava il pianoforte col pisello e insegna a vivere a un genio come Allen. Il guaio è che non solo i neofiti ucraini, ma anche l’Europa che la democrazia liberale l’ha inventata si sta scordando cosa sia: più combattiamo l’autocrazia, più le somigliamo. Basta che Woody parli di cinema al festival del cinema russo perché Repubblica lo degradi a “vecchio intellettuale nevrotico newyorkese” che ha “scelto di chiudere gli occhi sulle atrocità russe” e il Corriere a “impresentabile” come “Depardieu con accuse di molestie e cittadinanza russa” (Allen per molestie è stato assolto, ma fa niente).
La cosiddetta Ue, con grave sprezzo del ridicolo, scopre che l’ennesimo bombardamento israeliano su un ospedale e poi sui soccorsi e i cronisti è “inaccettabile”: “troppe vittime innocenti”, riesce a dire la Metsola, come se le prime 60-70 mila fossero poche o colpevoli. Ma le sanzioni a Israele stanno sempre a zero: sono tutti troppo impegnati a escogitare il 19° pacchetto contro la Russia, sempreché trovino qualcosa non ancora sanzionato. In compenso la Mostra di Venezia è inaccessibile a un attore scozzese che nel 2018 partecipò a una raccolta- fondi Usa per i soldati di Israele e a un’attrice israeliana che nel 2005 fece il servizio militare (obbligatorio), quindi sono “complici del genocidio”. Così Netanyahu impara, tiè. Mauro Berruto, deputato Pd, fa ancora meglio: vuole “escludere gli atleti israeliani da tutte le competizioni internazionali”. Non Tizio e Caio che magari han detto qualcosa di sbagliato, ma tutti (come i russi e i bielorussi cacciati dalle Olimpiadi e pure dalle Paralimpiadi). Comica finale: Gennaro Sangiuliano racconta sul Giornale il declino di Macron. Apriti cielo: Avs, Pd e Iv tuonano e fulminano in stereo con Stampa, Rep e Domani. Siccome lavora in Rai, non deve permettersi di dire che Macron è alla frutta, cioè la verità. Chiedo per un amico: ma dove siamo, in Russia?

L'Amaca

 

L’Europa non è europeista
di MICHELE SERRA
O l’Europa cambia o è destinata all’irrilevanza. Da quanti lo abbiamo sentito dire, con parole quasi identiche, nell’ultimo paio d’anni e forse prima ancora, diciamo dall’invasione russa dell’Ucraina in poi? Lo ha detto ieri Metsola a Rimini, lo ha detto un paio di volte Mario Draghi, lo ripete Prodi. E stiamo parlando di figure di primo piano dell’establishment continentale.
Lo pensavano e lo dicevano i cinquantamila cittadini in piazza a Roma il 15 marzo scorso, opinione pubblica allo stato puro, una selva di bandiere blu per chiedere all’Europa di esistere per davvero. Ma il mantra europeista, evidentemente, si infrange contro una realtà molto diversa dai desideri. Desideri di chi, intanto? Di una minoranza democratica e federalista che sovente soccombe, nei rispettivi Paesi, a governi nazionalisti; e anche a Strasburgo non ha i numeri per produrre quel salto di qualità politico che, attraverso una cessione di sovranità, darebbe all’Unione la forza politica e la potenza etica (quella di essere “più avanti”, più nuova di ciò che già conosciamo) che oggi non ha.
Il problema è che l’Europa, presa per intera, non è europeista. Lo è nelle sue avanguardie culturali e politiche, e nella vita quotidiana di quello che possiamo definire un “ceto forte”, la nuova, giovane borghesia sovranazionale che studia e lavora ovunque, in Europa, sentendosi sempre a casa. Va bene che la storia la fanno le avanguardie, ma in questo caso le retroguardie sono troppo numerose, e attrezzate, e ben finanziate, perché si possa sperare nella rivoluzione.

martedì 26 agosto 2025

Mancano 49 giorni

 



Non si deve giocare, non devono venire, non vogliamo che entri in Italia la squadra che rappresenta una politica assassina e genocida.

Aprirò una sottoscrizione. Italia Israele non si deve giocare! 


Ecco il link per firmarla: 

Tocca qui per firmarla