Chi vince, chi perde
DI MARCO TRAVAGLIO
Nessuno può sapere se il ferragosto di Trump e Putin in Alaska congelerà la guerra. Per ora le certezze sono solo due. 1) Il summit consacrerà una verità nota a tutti, ma negata come putinismo: la guerra non è fra Ucraina e Russia, ma fra Usa e Russia. E Trump, rinnegando le follie della filiera nera Clinton-Bush jr-Obama-Biden, lo riconosce col summit bilaterale, in cui Zelensky e magari qualche euro-pigmeo faranno forse capolino da remoto, cioè da comparse più che da protagonisti. 2) Se il vertice avrà successo, la soluzione sarà quella nota a tutti da due anni, cioè dal flop della controffensiva ucraina del 2023, ma respinta come “pace ingiusta”: oltre alla Crimea, Mosca si terrà gran parte dei territori conquistati e, se rinuncerà a quelli in sovrappiù, sarà per barattarli con garanzie di sicurezza: Kiev non solo fuori dalla Nato, ma anche ampiamente smilitarizzata. Altrimenti i russi continueranno ad avanzare e gli ucraini a perdere terreno e uomini, pentendosi di non aver firmato. Così come oggi si pentono di non aver firmato a Istanbul nel 2022, subito dopo l’invasione, quando Putin non chiedeva territori e offriva il ritiro delle truppe in cambio di un’Ucraina neutrale e smilitarizzata e di un Donbass autonomo.
Nel dicembre scorso Zelensky si arrese alla realtà: “Non riusciremo a riconquistare la Crimea e le regioni occupate dai russi”: Lugansk, gran parte del Donetsk e metà di Kherson e Zhaporizhzhia. Ma, per salvare la faccia sua e dei complici Ue, continuò la guerra senza riuscire a spiegarne il perché al popolo e alle truppe. In aprile il suo ex consigliere Oleksji Arestovich lo avvisò: “Possiamo scegliere di negoziare oggi perdendo 4 regioni più la Crimea, oppure accettare tra sei mesi di perderne 7 o 8”. Ora infatti i russi avanzano pure a Odessa, Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk. A lasciarli fare, fra un anno Zelensky – se sarà ancora lì – potrebbe vedersi costretto a chiedere a Putin ciò che oggi Putin chiede a lui. È questo che rende asimmetriche le posizioni di protagonisti e comprimari del negoziato. Quella di Putin è “win win” perché, comunque vada, vince lui: se la guerra finisce, ottiene a tavolino ciò che ha preso; se continua, mantiene ciò che ha preso e conquista nuovi territori. Quella di Zelensky e dell’Ue è “lose-lose” perché, comunque vada, perdono: o rinunciano subito alla follia della “vittoria sulla Russia” e ammettono la sconfitta; o continueranno a subirla sul campo. Trump invece ha un’opzione favorevole su due: se riesce a chiudere la guerra, può continuare ad accarezzare l’aspirazione-illusione-ossessione del Nobel per la pace. Ed è il fattore Usa che rende la tregua meno improbabile di tre anni fa. A Istanbul, Biden remava contro. In Alaska, Trump remerà a favore.
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