Berlusconi non è Enzo Tortora
di Michele Serra
Festeggiare la riforma della giustizia con una festicciola in piazza, e la faccia lieta di Silvio Berlusconi che sovrasta la scena, è il modo migliore per rendere molto sospettabile la riforma stessa. Se non l’intelligenza, almeno il buon gusto avrebbe dovuto suggerire ai governanti di non consacrare la loro riforma al leader politico che più di ogni altro ha anteposto il proprio potere personale ai limiti di legge, proclamandosi “unto del popolo” e come tale intoccabile — esattamente come Trump pretende di essere, trent’anni dopo.
Berlusconi non è Enzo Tortora. Il suo nome non evoca uno dei tanti e gravi errori giudiziari che macchiano la storia italiana. Non è uno dei caduti nella tragica torsione inquisitoria di Mani Pulite: semmai — storia italiana alla mano — è il leader che se ne è avvantaggiato più di chiunque altro, vedendo sbaragliati i partiti della Prima Repubblica e trovando la strada per Roma libera e agevole.
Sono tra i tanti italiani che non giustificano i modi spicci che alcune Procure hanno messo e mettono in campo; e ancora meno l’entusiasmo mediatico che ha portato, negli anni, a scempiare l’immagine di persone innocenti e a infierire sui colpevoli come se fossero spazzatura. Ma non riesco a vedere in questa riforma niente che, in questo senso, mi rassicuri: solo una specie di frantumazione punitiva del potere giudiziario che non ne affronta i problemi strutturali e non indica neppure mezzo appiglio culturale e giuridico ai tanti magistrati che vorrebbero migliorare la qualità e soprattutto i tempi, di inaudita lunghezza, del loro lavoro.
La sobria, misurata intervista di Gherardo Colombo a Repubblica fornisce anche elementi tecnico-giuridici di critica della riforma, ai quali non credo che i governanti risponderanno. Perché non è migliorare la magistratura, il loro scopo, ma metterla in riga.
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