Michele Serra: “Caro Baricco, ecco perché non mi fido del secolo che nasce”
di Michele Serra
Leggo Baricco dalla fine del secolo scorso (siamo entrambi figli del Novecento) e lo leggo con gratitudine – è la parola giusta - perché mi ha sempre aiutato a non fidarmi delle categorie culturali e politiche nelle quali sono cresciuto. A non accomodarmi su quanto mi fa comodo. A non diventare nostalgico o peggio reazionario: esiste, eccome, una sinistra reazionaria, che guarda con sospetto e paura alle cose nuove. A partire dalla rivoluzione digitale. Ho ben presente quel rischio, e leggere Baricco mi aiuta a neutralizzarlo.
Questa volta, però, non mi trova d’accordo la sua lettura esplicitamente “cronologica” di quanto sta accadendo nel mondo. L’idea che Gaza – e la repulsione, specie giovanile, per quanto vi è accaduto e vi accade – sia il luogo dello scontro finale tra il Novecento nazionalista e bellicoso, “animale morente” e per questo inferocito, e i tempi nuovi (un “nuovo continente”, scrive Baricco, che vuole prendere il posto di quello vecchio) non mi convince; non riesco a riconoscerla in ciò che vedo, sento e leggo.
Il Novecento, intanto, fu un secolo bifronte. La sua prima metà contiene il trionfo dei nazionalismi, due guerre mondiali, il nazismo e il fascismo, e ha il suo atroce finale a Hiroshima e Nagasaki. Nel segno prevalente del razzismo, della guerra, della dittatura, del nazionalismo al suo acme, del soffocamento in culla della democrazia liberale, infine dello sterminio. Ma almeno per noi occidentali la seconda metà di quel secolo, a partire dal sorgere del multilateralismo, della collaborazione internazionale, dell’Unione europea come tentato colpo di grazia al nazionalismo, è la smentita attiva (e per un po’ di decenni vincente) dell’idea che la guerra sia il motore del mondo – la sua sola legge definitiva. Il femminismo, il pacifismo, la liberazione sessuale, il piglio antigerarchico delle nuove generazioni, volendo anche la conquista dello spazio per mano di americani e russi, ma nel segno dell’umanità intera che se ne sentì coinvolta, sono tipicamente novecenteschi: e come ha raccontato benissimo Baricco in The Game, anche la rivoluzione digitale sarebbe stata impensabile fuori dal clima libertario del secondo Novecento (comprese le sue sfrenatezze e le sue clamorose ingenuità). Anarchia più ingegneria elettronica più sostanze psicotrope, l’idea di una comunicazione mondiale in mano a tutti, purché sottratta al potere – oggi si dice: “poteri forti” – nasce esattamente da quella visione.
Venendo al “nuovo continente”, il nostro secolo che minaccia e sposta – provocando terremoti – la vecchia faglia novecentesca, perché non la sopporta più, non la riconosce più, e perché, scrive Baricco, non vogliamo più morire come i nostri padri: mi piacerebbe credere che il secolo in cui viviamo sia così nettamente distinto dal precedente, e che abbia portato, fino a qui, novità sostanziali nella liquefazione dei bunker del potere, della ricchezza e dell’industria bellica. Non saprei dire in Cina, India, Africa (parliamo sempre di noi come se solo di noi parlasse la Storia), ma sicuramente nella nostra parte del mondo non è così che sono andate le cose. E a Gaza, nelle sue macerie calcinate e negli ori ridondanti dei progetti trumpisti di una “riviera” per ricchi bonificata dai poveri, non vedo solamente i cascami del vecchio colonialismo e del vecchio capitalismo.
Vedo una ferocia nuova, inedita, soprattutto nella sua smania di semplificazione, il calcolo spiccio della speculazione capitalista che non incontra più, né all’esterno né dentro se stesso, esitazione o contraddizione. Conviene spianare Gaza? Se conviene, perché mai non farlo? Forse l’appiglio umanistico, che tanta parte ha avuto non solo nella cultura occidentale del Novecento (anche durante la lunga notte delle dittature e delle guerre) ma risalendo lungo parecchi altri secoli, non solo non è più dicibile, ma nemmeno imitabile “algoritmicamente”; perché la dialettica è tempo sprecato, il dubbio una voce in rosso nei bilanci della speculazione. Non si centra il target se ci si perde in domande inutili, tipo: la vita di un palestinese povero vale quanto quella di un bianco ricco? Le masse non hanno mai avuto tempo per la dialettica? (Per leggere i romanzi, che come qualcuno sostiene, e mi associo, sono fatti della stessa sostanza della politica e della democrazia). No, non l’hanno mai avuto: ma il problema è che ora quel tempo non è disponibile nemmeno per le cosiddette élite, e non mi pare una differenza da poco. Se ne sono sicuramente giovate, le élite, di questo abbandono del mito borghese della cultura e della complessità. Ne sono uscite rafforzate, assolte, immemori, e quando Baricco scrive che nel secolo nuovo «abbiamo reso più impervio l’esercizio del dominio da parte di qualsiasi élite», mi duole, sul serio, non riuscire a crederci. Credo, all’opposto, che il più cretino della famiglia Krupp, anche se faceva affari con Hitler, sapeva chi era Hitler, e sapeva che il suo profitto grondava sangue. La borghesia – volendo ripassare il Novecento – fu tragicamente all’altezza del proprio potere e anche dei propri delitti: li pensava, li scriveva, inventò la psicanalisi per leggere nella propria ombra. Che cosa sappiano oggi Trump, Musk, i padroni ipermiliardari del web, e nel suo modo più misterioso Putin, del loro potere smisurato e della montagna di miliardi e di missili che fanno loro da trono, non è dato sapere. Non producono cultura, producono consenso e potere, consenso e miliardi, consenso e armi, niente altro che possa farci assistere con sollievo all’eventuale affondamento del passato: e comunque non è il futuro, è il presente a sgomentare.
Credo che quanto detto per il Novecento (contenne guerra e pace, tirannide e libertà, reazione e progresso) valga anche per il nuovo evo. La conferma del dominio dei ricchi sui poveri, e degli armati sui disarmati, non rappresenta alcuna rottura con il Novecento. Ne è, semmai, la radicalizzazione; la prosecuzione con mezzi tecnologici infinitamente più raffinati, così che dominio e sterminio non interrompano il loro millenario filo rosso. L’altro filo rosso, quello che mi permetto di definire umanesimo («stay human») è altrettanto potente. Ma per provare a prevalere, o almeno a combattere ad armi pari, deve sovvertire – non meno che sovvertire – prima di tutto gli attuali assetti del potere dentro il web, ovvero dentro la più sostanziosa e irreversibile realtà della nuova epoca.
La struttura del web, se appena gratti la superficiale patina di “assemblea totale”, è da ancien régime (altro che Novecento). Pochissimi padroni, e sempre più attratti da misure censorie - l’algoritmo ha guanti di velluto. Vedi Musk con il suo X, vedi il clamoroso vantaggio comunicativo dello spiccio linguaggio populista ai danni della fumosa e rallentata dialettica dem, vedi il controllo occhiuto delle persone (spiegato molto bene nel Capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff), vedi la progressiva sostituzione del cittadino con il consumatore (la sola vera grande sostituzione etnica in corso). Capisco la continua sottolineatura di Baricco della ineluttabilità dei tempi nuovi – prevarranno perché sono nuovi – , capisco perfino che dalla liquidità o gassosità delle nuove forme di comunicazione mondiale potrebbero nascere – oggi impreviste – forme veloci, efficaci e incontrollabili di democrazia diretta, e di sovversione delle antiche forme di dominio e sopraffazione. Ma oggi non è così, non è proprio così. E molte delle persone che sono scese in piazza per Gaza lo avrebbero fatto – allo stesso modo e con le stesse motivazioni – anche ai tempi delle edicole e dei telegiornali. La democrazia possiede da sempre i suoi tam tam.
La lotta senza fine tra guerra e pace, tra sottomissione e liberazione, non muta nella posta in palio, che è un’umanità più cosciente, meno condizionabile, più gentile. Ma è radicalmente mutata nelle sue regole di ingaggio. Le regole attuali (la struttura stessa della società digitale) mi sembrano bene padroneggiate da pochi e subite da molti. Ergo, il problema è sempre lo stesso, e nei secoli ha solo mutato le sue forme: evitare che il potere sia di pochi, che la ricchezza sia di pochi, e che quei pochi decidano di fare la guerra (facendola fare agli altri). La rivoluzione digitale, fino a qui, non ha nemmeno scalfito i vecchi assetti, e dunque non mi sento di dire che mi fido del secolo nuovo più di quanto mi sia fidato di quello vecchio.
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