Adieu Grandeur: Macron tramonta tra i fischi e i fiaschi
Ormai le prende da tutti. Asceso al potere giovanissimo e circondato da un’aura di predestinato, oggi è maltrattato da tutti: dalla moglie, dai deputati e dal suo popolo. E ha ridotto il Paese a uno zimbello
Emmanuel Macron è uno spasso, persino più del Louvre derubato dalla sua sontuosa refurtiva. Ma va ammirato almeno per i lividi che incassa, imperturbabile. Lo mena la moglie a sganassoni nel buio dell’aeroplano appena atterrato in Vietnam (“ma no, stavamo scherzando!”). Lo mena l’Assemblea Nazionale a Parigi, bruciandogli un primo ministro al mese, tranne l’ultimo, il tristissimo (San) Sebastien Lecornu appena avviato al martirio del palo e delle frecce. Lo mena la Francia intera con uno sciopero a settimana: “Vattene Micron!” varando la nuova ondata di manifestazioni intitolate “Blocchiamo tutto!”. Ma lui niente. Fa passeggiate solitarie sul Lungo Senna. Fa i pesi per tenersi in forma. Veste in nero, aderente. Allo scrittore Carrere, che viaggia con lui in Canada, mostra i bicipiti. Se li palpa, li gonfia, se ne vanta. Per dimagrire sta alla larga dalle brioche che evocano la rivoluzione e in tv dice alla nazione: “Mi avete eletto per cinque anni, rimarrò fino alla fine”. Cioè il 2027, auguri. Lo maledicono le destre sovraniste di Marine Le Pen e dello scalpitante Jordan Bardella. Lo attacca la sinistra populista di Jean-Luc Mélenchon. Lo snobbano i centristi. E pure certi tulipani sfioriti come Hollande, l’ex presidente socialista, che se lo rigira con forchetta e coltello: “Macron non ha convinzioni profonde, non ha cultura politica. Non ha mai diretto un partito”. Conclude: “Non so cosa sia il macronismo, né se sia mai esistito”. Voilà.
L’inesistente non fa una piega. Fuori dalle sue finestre, salgono debito pubblico, spread e inflazione. Vanno in fumo automobili e cassonetti. È arrivato alla sua quarta crisi di governo in sette anni. E alla nomina del suo quinto primo ministro, gli ultimi tre persi in una manciata di mesi. Tutti bruciati dalla proposta di allungare da 62 a 64 anni l’età della pensione. “Mai e poi mai”, gridano le piazze. Lui incassa, aggrappato alle proprie basette che da qualche tempo ha smesso di tingersi, credendo di apparire più maturo e autorevole: “Dobbiamo ricostruire la nazione – ha detto in tv –. Portare saggezza ovunque ci siano insulti e rabbia”. L’effetto è capovolto. Serge July su Liberation ha scritto: “È come un chimico dilettante. Sta moltiplicando le esplosioni sia a destra che a sinistra”. Ma se è davvero un chimico, che si sarà fumato Monsieur le President?
Assediato dalla guerra in casa, Macron ne ha approfittato per intromettersi e se possibile peggiorare quella in Ucraina. “La guerra è tornata in Europa – ha annunciato nel 2023 al continente ignaro –. Dobbiamo guardare in faccia al nostro destino”. Per farlo non ha voluto accontentarsi dei cingoli messi in moto dalla Von der Leyen e dall’Europa. Alle 19 sanzioni contro la Russia, ha voluto aggiungere una sua personale “coalizione dei volenterosi” insieme con gli inglesi, per fare il primo della classe, spedire armi e finanziamenti a Zelensky, incitarlo a combattere, dal caldo delle sue coltri parigine. A febbraio 2024 ha proposto l’idea di mandare i soldati Nato sui confini ucraini. Un anno dopo ha precisato che i soldati ingaggiati potevano essere francesi e inglesi raccolti in una “forza di rassicurazione”. Due mesi più tardi, per rassicurare ancora meglio l’Europa, Kiev e naturalmente il Cremlino, non ha escluso l’ipotesi di piazzare missili nucleari francesi in Polonia. Stavolta ha raccolto fischi e fiaschi dagli alleati, ma non ha rinunciato a quell’aria di sopracciò che lo rende così simpatico in patria: débâcle dopo débâcle.
Era il 2017 quando dal quasi nulla conquistò, con il 66% dei voti, lo scettro del potere sotto al cielo blu del suo “En Marche” che voleva dire centrismo post ideologico, un pizzico di anti conformismo, doppia spolverata di tecnocrazia, più l’Inno alla gioia suonato a tutto volume.
A cavallo dei suoi 39 anni sembrava ancora uno sbarbato. Come i magri eroi di Balzac, viene dalla soffocante provincia, la piccola città di Amiens, genitori di quieto benessere, medici, all’improvviso terremotati dallo scandalo del figlio sedicenne che si innamora della insegnante di Lettere, Brigitte Trogneux che di anni ne ha compiuti 40, ha già tre figli, per di più con marito banchiere iracondo. Per pubblica indecenza, il ragazzo viene spedito al liceo d’alta classe Henri IV di Parigi, dove di lì a poco arriva anche lei, la biondissima Brigitte, incoronando un amore che non ha mai smesso di scandalizzare la Francia, né di alimentare veleni. Dopo la laurea in Filosofia, sale sull’ascensore sociale dell’Ena, la scuola nazionale d’alta amministrazione. Diventa consulente per l’innovazione, sotto la presidenza Sarkozy. A 31 anni monetizza. Entra nel Board della Banca Rothschild, diventa milionario. Il presidente Holland, nel 2014, lo nomina ministro dell’Economia e del Digitale. Nel frattempo sale e scende dalla giostra politica. Prima socialista, poi indipendente. Dirà: “Sono posizionato piuttosto a destra in economia, ma per i valori mi sento a sinistra”. Un carnivoro con attitudini vegetariane. Lo appoggiano gli imprenditori, l’establishment che legge Le Monde, i finanzieri che lo considerano membro dei loro club. Lo asseconda gran parte del ceto medio che vede in lui la luce di una nuova politica che promette: “La Francia deve essere una opportunità per tutti”. Nei fatti fa il contrario: maggiori tasse sui carburanti, niente riduzione dell’orario di lavoro, sacrifici, rigore, grandeur per l’industria delle armi e dell’energia nucleare. Misure che scatenano ondate di rivolte. Scioperano a turno studenti, ferrovieri, medici, insegnanti, controllori di volo, agricoltori, con o senza i gilet gialli. Il disordine, lo stillicidio del terrorismo islamista, lo spavento del Covid, e naturalmente l’avanzata della destra xenofoba, sollecitano un nuovo fronte repubblicano. Macron viene rieletto al suo secondo mandato, anno 2022, nonostante collezioni pochi elogi, molte critiche, anche sprezzanti, tipo “l’idiota”, “il narcisista”, “il presidente dei ricchi”. Incassa 19 milioni di voti, ma anche una Assemblea nazionale fragile e litigiosa. Lui ci mette del suo. Alza di nuovo la bandiera delle pensioni da ritardare. Fronteggia le rivolte delle banlieue con la repressione. Ma non sa come fermare il collasso della finanza. Alle Europee i suoi consensi scendono al 14 per cento, mentre la destra li raddoppia. Dal giorno alla notte scioglie l’Assemblea, siamo nel giugno del 2024, indice nuove elezioni, annuncia: “Voglio darvi la parola per avere chiarezza contro l’immobilismo”. Ottiene la completa oscurità e il disordine di questi mesi: destra e sinistra sempre più forti, dietro le barricate. Il nuovissimo governo Lecornu sempre più debole, costretto di nuovo a cancellare la riforma delle pensioni per stare in piedi. Per quanto ancora? Due giorni o due anni?

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