Donald Real Estate. L’edilizia à gogo: la sala da ballo dorata del trumpismo
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Chiedo scusa se mi occupo di edilizia, che è una cosa abbastanza importante e, in subordine di Donald Trump, il presidente più “edilizio” della storia, dato che ha fatto parecchi soldi proprio con le costruzioni, soldi che gli hanno permesso di arrivare alla Casa Bianca per due volte, un posto eccellente per occuparsi di edilizia. Non si contano gli interventi e i comizi del presidente in materia, il più famoso dei quali avvenne nel settembre scorso, all’Onu. Erano (e sono) momenti drammatici, con una guerra in corso alle porte dell’Europa – guerra che aveva promesso di far finire in ventiquattr’ore – e un genocidio in corso in Palestina, con la sua amministrazione che forniva (e fornisce) armi agli autori della carneficina. Insomma, ce n’erano cose da dire, ma lui cominciò il suo discorso in veste di geometra-capo, ricordando che molti anni prima le sue imprese avevano proposto un progetto da 500 milioni di dollari per rifare il palazzo, ma l’Onu, manigoldo, aveva rifiutato. “Vi darò marmo e pareti in mogano”, aveva promesso lui, e invece niente, maledizione: il suo discorso “storico” aveva così preso una piega offesa e vittimista, e disse più o meno le cose che dice l’idraulico quando lo chiamate: che l’idraulico prima era un fesso e che dovevate incaricare lui da subito. Un classico.
Altro giro, altra corsa per i progetti della famosa riviera di Gaza, quando Donald postò il famoso video sulla ricostruzione del luogo del genocidio: grattacieli, palazzi, casinò e tutto il campionario di ispirazione Las Vegas, compresa la statua d’oro con le sue sembianze e i dollari che piovevano dal cielo. Una terra martoriata, un cimitero, un mattatoio, trasformato in Real Estate, buoni affari e una Montecarlo mediorientale prossima ventura (spoiler: no, per i palestinesi non c’era posto, ma sarebbero serviti parecchi muratori). Il sogno passò per una pessima provocazione, ma non tutti ci hanno rinunciato definitivamente. Tramontata (molti anni fa) la ristrutturazione del Palazzo di vetro a New York e in stand-by la riviera di Gaza, Donald si concentra dunque sul giardino di casa, non in metafora (il Sudamerica), ma quello vero, quello della Casa Bianca, con pesanti lavori di ristrutturazione che prevedono la già ultimata demolizione dell’ala est per far posto a una magnifica sala da ballo, più di 8.300 metri quadrati, posti a sedere per 650 persone. Un progettino niente male i cui costi sono già lievitati (da 200 milioni, a 250, e ora stimati a 350). Lo stile, per quanto neoclassico in linea con il corpo principale dell’edificio storico, è decisamente San Siro-Babilonese, enorme e sproporzionato, e in più dotato di tutti quei fregi in marmo, stucchi vari e oro che piacciono tanto allo spirito sobrio e misurato di Trump: in confronto il salotto dei Casamonica era una faccenda minimal-chic. Qualcuno ha provato a sollevare questioni di lana caprina, come vincoli storici, permessi, sovrintendenze e altre piccolezze assurde “de sinistra”, ma il presidente e i suoi consiglieri hanno tirato dritto, più concentrati su come raccattare soldi per i lavori, che naturalmente sono arrivati a pioggia. Si fanno i nomi, come finanziatori, di Microsoft, Apple, Amazon e altri giganti, ben contenti di partecipare alle spese. Tutta gente che avrà poi, naturalmente, qualche ringraziamento speciale. Un po’ come quando la zia Pina vi regalò le tende per la casa nuova, e da allora, dite la verità, è la vostra zia preferita, anche se non siete – mannaggia – i padroni del mondo.
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