La Milano dei finti sinistri patria dei ricchi magnati
DI DANIELA RANIERI
L’avevamo intuito anche noi coi nostri miseri mezzi, ma adesso che una dettagliata inchiesta del Financial Times spiattella con numeri e dati la notizia che Milano attrae i super-ricchi del mondo mentre espelle il ceto medio e tanto più – scusate le volgarità eventuali – i residenti poveri, non possiamo che prenderne atto: la già “capitale morale” d’Italia, Mecca del business, della moda e della pubblicità è diventata la residenza di campagna dei magnati della finanza e dell’impresa, che a Milano scialano in divertimenti e beni di lusso, quindi la capitale, semmai, della sciabolata alla bottiglia di champagne nelle feste private, che si tengono preferibilmente in luoghi pubblici noleggiati, se non proprio acquistati, dai ricchi in ragione del più persuasivo degli strumenti, ossia il denaro. Ma va’? E chi se lo sarebbe mai aspettato.
Purtroppo il quotidiano economico britannico rivela anche il motivo di questa speciale attrattività meneghina: bello il Duomo, bella Piazza Affari, bella la rinomata cucina milanese, bello bello bello tutto; ma tira più la flat tax che un carro di buoi. La flat tax è quella cosa che piace tanto ai liberisti di destra e di asserita sinistra, quindi a Salvini, alla Meloni e naturalmente a Renzi, che fu il primo a introdurre il sistema fiscale, perfezionato dall’attuale governo di finta destra sociale, grazie al quale i ricconi pagano solo 200 mila euro fissi di tasse anche con patrimoni siderali, quando le tasse di un operaio o un dipendente pubblico superano un terzo del salario tra trattenute e imposte varie. Una misura che negli ultimi anni è andata di pari passo coi vari condoni, rientri di capitali sociali (un’idea di Renzi per cui dovevamo ringraziare gli agiati evasori che ci facevano la cortesia di riportare il malloppo dentro i nostri confini pagando una bazzecola di multa), rottamazioni delle cartelle (“Cucù, Equitalia non c’è più”: sempre Renzi), concordati fiscali (ossia fregature per chi paga le tasse), concordati preventivi (quello targato Meloni è fichissimo: siccome si dà per scontato che la metà degli italiani evade le tasse, si offre ai non-contribuenti, autonomi e imprese, la possibilità di pagare un forfait, a scommessa su quanto guadagneranno il prossimo anno; fa nulla se aderiscono solo quelli che già sanno di dover pagare di più del forfait; e comunque è stato un flop e non hanno aderito manco quelli).
Ora, Milano, con le sue Lamborghini, i suoi “giardini segreti”, i suoi “boschi verticali”, i suoi bei costruttori che pagano consulenze ai commissari chiamati dal sindaco a decidere sulla fattibilità delle opere, è il prototipo di ciò in cui si mira a trasformare gli altri capoluoghi d’Italia: club esclusivi per individui baciati dalla fortuna, circondati da periferie prive di servizi e abitate da straccioni che costituiscono la forza lavoro necessaria alle aziende che li sottopagano affinché i benestanti possano continuare a benestare. È il “modello Milano”, appunto, amato e scientemente perseguito da destra e finta sinistra. Se non ricordiamo male, infatti, negli ultimi 15 anni è stata proprio la cosiddetta sinistra, nelle persone di Giuliano Pisapia (2011-2016) e Beppe Sala (dal 2016 a oggi), ad amministrare e forgiare Milano sulla base dei valori di competitività ed esclusività, di charme da venderci all’estero a dispetto di un’idea di città europea accessibile a cittadini di tutte le fasce di reddito; una Montecarlo di ringhiera, piena di grattacieli e di banche, disponibile al sacco dei lanzichenecchi del quattrino. Per i giornali padronali, naturalmente, questi due sindaci sarebbero stati i “federatori” ideali del centrosinistra nazionale: accidenti, siamo ancora in tempo?
Ad accomunare gli ex (?) fascisti e i neoliberisti asseriti di sinistra è la sistematica e crassa violazione (con tentato scasso) della Costituzione, laddove stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Col piffero: andatelo a dire ai neo-milanesi Richard Gnodde (vicepresidente di Goldman Sachs), Nassef Sawiris (magnate egiziano), Rolly van Rappard (cofondatore del fondo Cvc Capital), attirati a Milano dai prezzi stellari a cui è schizzato il capitale immobiliare, ormai per i ricchi più redditizio, secondo il FT, di quello di Londra, storicamente non proprio alla portata di tutte le tasche.
Ciò a dimostrazione di quello che scriviamo da tempo, cioè che le politiche di destra escludenti e classiste non sono un rigurgito fascista, ma lo stadio terminale del neoliberismo attuato per benino dalla cosiddetta sinistra. (Ieri sul Corriere, giornale della borghesia italiana, Graziano Delrio indicava la causa dell’incapacità del centrosinistra di percepire i bisogni del popolo: “Il Pd guarda fisso solo a sinistra”. Eh sì, dev’essere questo il problema).
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