mercoledì 27 agosto 2025

Robecchi

 

Antisemitismo. Quell’accusa-jolly ormai è un’arma che non funziona
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Ora che l’accusa di “antisemitismo”, che va su tutto, come il beige, ha colpito addirittura la Francia e Macron, persino la Germania che non vende più armi a Israele, come del resto era stata rivolta a papa Francesco, si comincia a parlare – era ora – di quanto sia spuntata l’arma retorica di chi difende o nega il genocidio nascondendosi dietro l’ombrello bucato dell’odio antiebraico. In soldoni, chiunque critichi il massacro, l’occupazione di terre, la politica coloniale, l’apartheid, le dichiarazioni di politici e ministri israeliani che invocano pulizia etnica e soluzione finale per il popolo palestinese, i bombardamenti di scuole e ospedali, i colpi dei cecchini in testa ai bambini (come da numerose testimonianze di medici internazionali), gli spari sulla folla in fila per il pane, la mattanza di giornalisti, è passibile dell’infamante accusa di “antisemitismo”, che servirebbe a tacitarlo.
Bene, è ora di dirlo: non funziona più.
Il trucco è antico, ben rodato ed è stato usato per decenni, anche quando non comandava il criminale Nethanyahu a cui oggi va di moda attribuire tutte le colpe. Far coincidere toutcourt “gli ebrei” (generico) con lo Stato di Israele, ha protetto per anni le malefatte di chi occupava terre altrui, decideva come e quando bombardare, come e quando aprire e chiudere i rubinetti, i check-point, i rifornimenti. Lo scudo dell’Olocausto – forse il più grande, sicuramente il più scientifico e vergognoso massacro della Storia – è stato usato per creare attorno a Israele una specie di scudo protettivo, che evitasse critiche, sanzioni, embarghi. Finendo per banalizzarlo.
Un inquinamento del discorso pubblico scientificamente costruito e alimentato. Basta guardare le proteste sui social: non esiste post di denuncia della barbarie israeliana che non sia commentato da qualche negazionista del genocidio con l’accusa di antisemitismo. Al punto di usare questa specie di jolly dialettico in ogni caso, spessissimo a sproposito e fuori contesto. Se dici “Free Palestine” sei antisemita. Se invochi le risoluzioni dell’Onu sei antisemita. Se ricordi la Corte di Giustizia, o i trattati internazionali, sei antisemita. Una briscola da giocare in ogni occasione, insomma, una specie di lasciapassare per la barbarie, l’ultima spiaggia dei farabutti.
Ora è sotto gli occhi di tutti che questo “Iron Dome verbale” (copyright Shimon Stein, ex ambasciatore di Israele in Germania) non funziona più, per vari motivi. Il primo è banalmente quantitativo: se si lavora indefessamente per far coincidere “ebrei” e Israele, se si ripete all’infinito questa falsa equivalenza, alla fine molti ci crederanno, e siccome chi stermina un popolo non piace a nessuno, le menti semplici, chi non conosce la complessità della situazione, la massa, accetterà l’assunto, e questo finirà per aumentare l’antisemitismo, non per diminuirlo.
Poi c’è il grottesco che non ti aspetti: fior di professori, studiosi, intellettuali ebrei, anche sopravvissuti all’Olocausto, che denunciano il massacro (alcuni chiamandolo con il suo nome: genocidio) subiscono la stessa accusa. Così abbiamo decine e decine di ebrei, anche illustri, anche letti e ascoltati, accusati di essere antisemiti, il che copre ulteriormente di ridicolo quello scudo ormai inservibile. Non solo: rivela chi se ne serve strumentalmente per quello che è: non un difensore degli “ebrei”, ma dei disegni suprematisti e coloniali di Israele. In ultima analisi: complici e veri, consapevoli, fomentatori dell’antisemitismo nel mondo.

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