mercoledì 16 marzo 2022

Antonio e le medaglie

 

Onorificenze agli accoliti di Putin, il Colle spieghi perché
di Antonio Padellaro
L’altra sera, Milena Gabanelli, mentre al tg La7 riempiva di nomi e di storie il Dataroom del Corriere della Sera dedicato a “tutti gli uomini di Putin”, ribadiva che di fronte al massacro dell’Ucraina “sarebbe coerente per la Francia ritirare la Legion d’onore conferita a Putin”. E, per l’Italia “revocare le 30 onorificenze al merito della Repubblica conferite dal 2014 in poi, anno dell’invasione della Crimea, ai maggiorenti del regime russo: le ultime a dicembre 2021, a un passo dalla guerra”. Come ulteriore sanzione, Gabanelli auspicava che i più prestigiosi e costosi college americani, inglesi e svizzeri dove studiano i rampolli (almeno un migliaio) dell’oligarchia russa “li rispedissero in Patria per spingere i loro padri a prendere posizione contro il presidente”.
Davanti a questa seconda opzione ho pensato a quella massima secondo cui non è giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli. Mentre, a proposito di commende, cavalierati e profluvi di gran croci distribuiti sul Cremlino e dintorni dal Quirinale sotto le presidenze Napolitano e Mattarella, forse prima di revocarle sarebbe il caso di farsi spiegare perché sono state conferite, e con tale entusiasmo. Visto e considerato che ben prima dell’attuale tempesta di bombe scatenata sui civili ucraini, il simpatico Vlad the Mad e i suoi scagnozzi di crimini contro l’umanità avevano riempito pile di corposi dossier. E che nelle olimpiadi del terrore se la giocavano con le peggio dittature psicopatiche dell’universo mondo. Gli stermini in Cecenia e in ogni altra regione da “normalizzare”, meglio se attraverso l’uso indiscriminato di armi chimiche. Gli oppositori eliminati col polonio, o altrimenti rapiti con la complicità dello sgherro bielorusso per poi essere murati vivi in una cella. La repressione sistematica e violenta del dissenso. La limitazione, fino alla soppressione, dei più elementari diritti individuali.
Una farsa la libertà di stampa e di parola. Per limitarci alla storia scritta. Conoscere le motivazioni grazie alle quali certi fiorellini di campo (tra cui un ex Kgb) sono stati onorati e ossequiati a nome e per conto della Repubblica italiana potrebbe sicuramente meglio definire il carattere della nostra bandiera nazionale. Non il tricolore, bensì l’ipocrisia.

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