sabato 13 dicembre 2025

Natangelo

 



Sunto

 

Campana a morto
DI MARCO TRAVAGLIO
Ricapitolando. Secondo i vertici Nato, “dobbiamo essere pronti alla guerra e a un livello di sofferenza come i nostri nonni e bisnonni: adottare una mentalità di guerra, perché il momento di agire è ora” (Rutte), anche con un “attacco preventivo alla Russia” (amm. Cavo Dragone). Per la Francia, “bisogna tornare ad accettare di perdere i propri ragazzi, di farsi male” (gen. Mandon). Per la Ue, “l’Europa deve prepararsi alla guerra con la Russia” (Von der Leyen e Kallas). Per i Servizi tedeschi, “non dobbiamo dormire sugli allori pensando che la Russia non attaccherà la Nato prima del 2029: siamo già nel vivo dell’azione” (Jager). Per Leonardo, “non sta finendo la guerra, sta iniziando la guerra nuova. Dobbiamo mettere su queste tecnologie (gentilmente offerte da Leonardo, ndr), sennò ci sterminano… Da Mosca a Roma in tre minuti arriva un missile non ipersonico balistico che porta più di una testata nucleare. Per riconoscere la minaccia e valutarla ci vogliono 12 minuti, neanche il tempo di salutare i familiari… Ho paura come padre di tre figli, come cittadino, come europeo” (Cingolani). Per il governo italiano, “il Ponte sullo Stretto ci serve anche per un’evacuazione in caso di attacco da Sud” (Tajani).
Questa è la narrazione dell’Europa ufficiale da quando Trump minaccia di far scoppiare la pace in Ucraina. Poi c’è la narrazione russa: “È ridicolo pensare che la Russia attaccherà l’Europa, ho detto centinaia di volte che non abbiamo intenzione di combattere contro l’Europa: se volete lo metto per iscritto. Se però l’Europa decidesse di combattere contro di noi e lo facesse, saremmo pronti fin da ora. E potrebbe verificarsi molto rapidamente una situazione in cui non avremmo nessuno con cui negoziare. Non come in Ucraina, dove stiamo agendo in modo chirurgico” (Putin).
Ciascuno è libero di valutare la sincerità e l’attendibilità delle due opposte propagande. Ma è ciò che arriva alle opinioni pubbliche in Europa e in Russia. Secondo voi, che effetto fa? I geni che ci sgovernano temono che sempre più gente preferisca la narrazione russa a quella europea. E apparecchiano scudi “democratici”, battaglioni di hacker per la cyberwar, leggi liberticide, filtri social, bavagli, guinzagli, censure, retate, espulsioni per farci sentire solo la loro campana. Nessuno è colto dal dubbio che il problema sia proprio la loro campana. Cioè che crollo di credibilità e consenso dei governi europei non dipenda dalle quinte colonne infiltrate dall’Impero del Male nell’Impero del Bene, ma da ciò che dicono i rappresentanti dei “buoni”. Anziché buttare trilioni in armi e guerre ibride, forse basterebbe un bravo consulente di comunicazione. Che, tra l’altro, costa molto meno.

Calendario dell'Avvento

 



venerdì 12 dicembre 2025

12 dicembre 1969

Cinquantasei anni fa la strage avvolta nel mistero eterno. Per tutti quelli che minimizzano il “Nero perdi sempre.” 



Ciao decenza!

 

Se un involucro plastico contenente una ministra si permette di rispondere così, allora è sdoganato tutto. Allora possiamo anche girare per strada vestiti da dervisci importumando chicchessia! Siamo autorizzati a far tutto, la decenza è seppellita!



Genio!

 



Indifendibile

 



L'assetato di Krana!

 

Rep.-Stampa, ultimo capitolo della fuga di Elkann dall’Italia
DI GIANNI DRAGONI
Se fosse un film il titolo potrebbe essere “Prendi i soldi e scappa” oppure “La grande fuga”. La parabola della dinastia Agnelli-Elkann da più di dieci anni oscilla come un pendolo tra Torino e Amsterdam. La decisione di vendere gli ultimi pezzi dell’editoriale Gedi, con Repubblica e La Stampa, suggella l’addio all’Italia di John Elkann. Con buona pace di Carlo Calenda, che ripete in maniera ossessiva di non venire intervistato dai giornali di Elkann perché critica Stellantis. Chissà se il nuovo editore gli darà più spazio.
John Elkann viene designato dall’Avvocato Gianni Agnelli come successore nel 1997, a soli 21 anni, ma prende le redini dell’impero nel maggio 2010, quando viene nominato presidente della Giovanni Agnelli & C., l’accomandita di famiglia da cui discende tutto il gruppo attraverso la holding Exor, controllata al 55% e quotata. L’anno successivo John diventa anche presidente di Fiat, al posto di Luca Cordero di Montezemolo, mentre l’ad è Sergio Marchionne. E dopo due anni comincia la migrazione verso Amsterdam. Nel 2013 Fiat Industrial, la società di macchine agricole, si fonde con l’americana Case New Holland e sposta la sede legale nella capitale olandese. Perché Amsterdam? Il motivo è semplice: le tasse sulle imprese sono più basse rispetto al fisco italiano.
Nel 2014 l’ex Fiat segue la stessa strada. Fca sposta la sede legale ad Amsterdam e la sede fiscale a Londra, dove gli eredi Agnelli sono a loro agio, Exor è il principale azionista del prestigioso settimanale The Economist, con il 34,7%. Un giornale che mantiene autorevolezza e continua a fare profitti (48,1 milioni di sterline l’utile operativo nel bilancio al 31 marzo 2025), a differenza delle testate italiane di Gedi, probabilmente perché continua a essere un giornale libero senza piegare la schiena agli interessi dei suoi padroni. Gedi perde 102 milioni nel 2023 e 45 milioni nel 2024. Nel 2015 trasloca ad Amsterdam la Ferrari. Nel 2016 la raggiungono Exor e la controllante, la vecchia accomandita che diventa Giovanni Agnelli Bv. Il 16 gennaio 2021 nasce Stellantis, dalla fusione tra Fca e la francese Psa. E la sede dov’è? Di nuovo ad Amsterdam.
In questo passaggio c’è un segno tangibile della ritirata degli Agnelli-Elkann dall’Italia, perché la partecipazione nel gruppo automobilistico scende al 15,5%. La crisi di Stellantis è la plastica dimostrazione del disastro della gestione industriale targata Elkann. Nel primo semestre di quest’anno la produzione di auto in Italia è diminuita del 33,6% a 123.905. Ad aumentare sono solo gli ammortizzatori sociali, che coinvolgono oltre metà dei dipendenti.
Di fronte alla crisi Elkann vende. Nel 2019 Fca vende Magneti Marelli per 5,8 miliardi di euro al fondo americano Kkr (che nel 2024 compra anche la rete fissa di Tim con l’assenso del governo Meloni). Exor e gli altri soci incassano un dividendo straordinario, ma l’azienda affonda per i debiti, perché Kkr fonde Marelli con la controllata giapponese Calsonic Kansei appesantendola dei debiti contratti per l’acquisto. Ora Kkr tratta la vendita al gruppo indiano Motherson.
Un altro gruppo indiano, Tata, compra Iveco da Exor per 3,8 miliardi, operazione firmata a fine luglio. I camion agli indiani, il ramo difesa e armi invece passa al gruppo statale Leonardo, che paga 1,7 miliardi (inclusi i debiti finanziari), più del doppio dell’offerta iniziale (750 milioni). Elkann è bravo a trattare e il governo lo asseconda.
A fine 2024 Stellantis vende il 50,1% di Comau al fondo americano One Equity Partners. Elkann spreme anche Ferrari. Nel marzo scorso Exor vende il 4% della società e incassa 3 miliardi. Le azioni Ferrari crollano, il 26 febbraio quotavano 483,1 euro, ai massimi, adesso sono a 314,4 (-35%). In F1 è un flop dopo l’altro: l’ultimo mondiale vinto è quello costruttori nel 2008.
Disastro Juventus. L’ultimo scudetto risale al 2020, i bilanci sono in rosso da nove anni consecutivi per 1 miliardo di perdite, ripianate con quattro aumenti di capitale. La società di criptovalute Tether ha comprato l’11,5%, S&P l’ha definita “opaca”. Tether vuole crescere, ma Elkann la tiene a distanza. Tether ha nominato nel cda un dentista tifoso della Juventus. Ma quanto durerà?

Attorno al desolato

 

Taja’, nun ce lassà
DI MARCO TRAVAGLIO
Vogliono portarci via pure Tajani, il ministro degli Esteri “fino a un certo punto”. Lo fa intendere Pier Silvio B., azionista di maggioranza di Forza Italia per via fidejussoria, che insieme alla sorella continua a dare ordini al partito e pure al governo senza che nessuno faccia notare l’oscena anomalia. Nemmeno nel cosiddetto Terzo mondo (cosiddetto, sennò ci fa causa il Terzo mondo) le aziende posseggono quote del Parlamento: in Italia sì. Dopo aver promosso la Meloni a “miglior premier d’Europa” perché ha appena fatto risparmiare alla holding di famiglia un bel po’ di tasse e accantonato la seccante idea di tosare gli extraprofitti delle banche, il noto figlio di suo padre si dedica al povero Tajani: “Provo vera gratitudine per lui, i vertici hanno tenuto in piedi il partito dopo la scomparsa di mio padre. Ma oggi servono facce nuove e idee nuove”. E tutti sanno quanto tenesse suo padre ai giovani, ma soprattutto alle giovani, specie se minorenni. Come “faccia nuova”, la Famiglia arcoriana ha in mente il ras calabro Roberto Occhiuto, passato dalla Dc al Ppi al Cdu a FI al Ccd all’Udc a FI, consigliere comunale dal ’93, deputato dal 2008, due volte presidente della Calabria: praticamente un neonato. Ma Tajani, all’ennesima ingiunzione di sfratto del padroncino, ha reagito bene: “Sul rinnovamento siamo in perfetta sintonia. Stiamo già facendo emergere molti giovani, penso al segretario nazionale dei giovani”. Che, voi non ci crederete, ma è giovane.
Noi non abbiamo titolo per metterci il dito, ma non comprendiamo che cosa si rimproveri a Tajani. Tutti, alla dipartita del Santo, davano per morta anche FI. E invece esiste ancora. È vero che B. da morto prende molti più voti di Tajani da vivo (o quel che è): sia da chi non ha ancora saputo che B. è morto, sia da chi non ha ancora capito chi fosse B. da vivo. Ma un minimo di gratitudine per Antonio l’Imbalsamatore non guasterebbe: quel 7% di consensi a un partito senza senso, senza idee, senz’anima e senza futuro, buttalo via. Chi altri, nuovo o usato, ci riuscirebbe? Pensa e ripensa, alla fine l’unica spiegazione di tanto astio è che Tajani, nel suo piccolo, forse senza volerlo, è ancora incensurato: manco un avviso di garanzia. E che delfino sei, senza almeno un processo? Ti manca il quid che invece Occhiuto può vantare: una bella indagine per corruzione, che l’estate scorsa lo indusse a bruciare i magistrati sul tempo, ove mai nutrissero cattive intenzioni, dimettendosi da sgovernatore per ricandidarsi subito, senza dare il tempo agli alleati di trovare uno un po’ meno pericolante. E poi quelle tre auto blu (due per sé e una per la famiglia), che a destra fanno sempre curriculum. Tra uno digiuno e uno che viene già mangiato, non c’è partita.

L'Amaca

 

Una cucina grande come il mondo
di Michele Serra
In quanto cuoco e sguattero non occasionale, anzi quasi quotidiano, mi sento anche io, per la mia milionesima parte, patrimonio mondiale dell’umanità, angelo del focolare così come i manuali di economia domestica definivano “mogli, madri e fanciulle”. Ne sono orgoglioso, e in particolare rivendico il largo primato che, in casa mia, il cibo preparato in casa ha nei confronti di quello ordinato con una app.
Incassato il successo, e detto che ogni successo implica la responsabilità di esserne degni, abbiamo due compiti da svolgere. Il primo è battersi perché cucinare rimanga, appunto, un’attività di massa, parte della cultura quotidiana. Almeno nelle grandi città si ricorre all’asporto in misura crescente, soprattutto i giovani: l’organizzazione del lavoro e del tempo libero prevede sempre meno tempo per cucinare in casa.
Il secondo compito è tenere bene a mente che la cucina italiana ha potuto giovarsi, lungo i secoli, di una fantastica ibridazione di ingredienti e di culture, mettendo a profitto il nostro essere al centro di migrazioni (e occupazioni militari) che abbiamo saputo trasformare in ricchezza culturale. Cucina araba, spagnola, francese, mitteleuropea, spezie orientali, ingredienti d’oltreoceano come la patata, il mais e il pomodoro: l’identità della cucina italiana, e non solo della cucina, è forte perché è ibrida. Ogni popolo chiuso langue, e ha identità debole, e ogni popolo aperto prospera, e ha un’identità forte. Dal cuscus della Sicilia occidentale al canederlo delle valli di Nordest, possiamo permetterci una biodiversità gastronomica (credo si possa definirla così) inimitabile nel mondo. Valorizzarla vuol dire capire che non esiste un concetto cristallizzato di “identità”, cucina compresa. I sapori viaggiano, oggi mangiamo ciò che non mangiavamo ieri, domani ciò che non mangiamo oggi.

Natangelo

 



Calendario dell'Avvento




giovedì 11 dicembre 2025

Fantasticamente

 



Dico, ma non lo trovate fantastico, meraviglioso, incredibilmente affascinante? 
Che cioè Dudi, il figlio di colui che per trent'anni ci afflosciò intellettualmente, durante l'Era del Puttanesimo, non curante di tutto quello che dovrebbe essere normalità, visto che in democrazia, di default, chi detiene un potere mediatico non dovrebbe avere influenze o possedimenti in politica - ciao core!- ha appena avuto la sfrontatezza di liquidare il fagocito Tajani dal perenne rutto libero, asserendo che servano forze e facce nuove nel partito azienda fondato dal babbo, assieme all'amico fraterno Dell'Utri colluso con la mafia.

Ma il nocciolo non sta nello sfanculamento del cacciatore di laute cene, bofonchiante e per l'anomalia di qui sopra pure ministro degli Esteri! 

Sta nell'incredibile dichiarazione di uno che dirige un enorme concentramento di potere mediatico chiamato Mediaset e che si permette il lusso di confermare l'appropriamento indebito di un partito politico; sta nell'affloscio democratico, nella stortura del potere, risiede nel conflitto d'interesse mai affrontato e combattuto da chicchessia. 

In questa nazione allo sbando un AD di una società con tre canali televisivi nazionali si permette il lusso di licenziare un segretario di partito perché considera lo stesso di sua proprietà, alla faccia di statuti, direzioni politiche, consigli, organi direttivi. 

E questa anomalia è la causa di tutto quanto sta infierendo sulle nostre libertà, sulla nostra dignità. 

E nessuno, dal Colle allo strapuntino di un'opposizione acefala obietta alcunché. Nulla di nulla! 

Che tristezza!   

Calendario dell'Avvento

 



Fate la carità!

 



Natangelo

 



Analisi

 

Ora è l’Europa che vuole esportare la democrazia
DI ELENA BASILE
Siamo di fronte a un’operazione di manipolazione propagandistica inquietante. Vi partecipano politici, accademici, diplomatici e giornalisti europei. La nuova dottrina militare di Trump è essenzialmente basata sulla registrazione del fallimento delle politiche neoconservatrici di esportazione della democrazia attraverso le guerre. Il presidente registra la sconfitta in Ucraina. Come ha affermato l’Alto Rappresentante estone, Kaja Kallas, si voleva smantellare la Federazione russa in una guerra che doveva continuare fino all’ultimo ucraino. Trump riconosce le ragionevoli e legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia e pone fine all’espansionismo della Nato, alleanza militare che dopo il crollo dell’Unione sovietica nel 1991 è stata utilizzata in modo offensivo ad ampio raggio. Tutti ricorderanno le guerre in Afghanistan, Iraq, le Primavere arabe, il regime change in Siria, l’attacco alla Libia.
Trump afferma inoltre nella nuova dottrina, in continuità con Obama e Biden, che l’Europa deve pagarsi la sua difesa. Ha intenzione di smantellare la Nato? Non credo, nonostante il coro impazzito degli analisti occidentali. L’Europa sarà il braccio armato della Nato per interessi statunitensi. Gli Stati uniti si impegneranno in America Latina rivitalizzando la dottrina Monroe con metodi contrari alla più modesta parvenza di rispetto del diritto internazionale, e si concentreranno nel Pacifico per affrontare la sfida dell’unico rivale strategico: la Cina. Il partenariato con Mosca basato su interessi economici potrebbe servire scopi geopolitici: staccare Mosca da Pechino anche se il risultato appare improbabile. In Medio Oriente, che data la sufficienza energetica raggiunta dagli Usa, ha perso la sua centralità, Washington si propone una tregua armata basata sulla complicità di Turchia e amici sunniti.
La risposta delle élite europee a questo documento trumpiano è surrealistica. Non vi è nessuna reazione rispetto alla violazione del diritto internazionale e umanitario in Medio Oriente, dei diritti individuali massacrati con le esecuzioni extragiudiziarie in Venezuela e nel progetto neocoloniale in America Latina. L’attenzione è concentrata sulla mediazione con Putin e sulla fine dell’espansionismo della Nato. Siamo di fronte al paradosso: l’Europa continentale e mediterranea che si è opposta al Vertice di Bucarest nel 2008 all’inserimento di Ucraina e Georgia nella Nato, che si è dovuta allineare malvolentieri dopo il colpo di Stato a Kiev nel 2014 a una guerra che ha portato benefici energetici, economici e geopolitici agli Stati Uniti calpestando gli interessi economici ed energetici dei popoli europei e riducendo l’Ue ad appendice della Nato, dunque questa Europa, brutta copia dello Stato profondo statunitense espresso nei Dem e nei neocon repubblicani come Bush e Cheney, critica la dottrina Trump perché vorrebbe portare avanti, anche da sola, le guerre di esportazione della democrazia a interesse esclusivo del dollaro. La situazione è surrealistica. Sui giornali mainstream, intellettuali come Ezio Mauro o competenti giornalisti come Milena Gabanelli, si disperano individuando l’essenza dell’Europa nell’espansionismo della Nato e nella continuazione della guerra in Ucraina, nell’indifferenza delle vittime di una guerra di attrito il cui numero ha raggiunto cifre incompatibili con la nostra morale e civiltà. Nella manipolazione mediatica, a cui purtroppo si associano i rappresentanti delle maggiori istituzioni politiche e culturali europee, la difesa dell’Europa contro il post fascismo di Trump (di cui si nega la continuità con la plutocrazia del predecessori Clinton, Bush, Obama e Biden) sarebbe costituita dalla continuazione della guerra contro la Russia e per esportare la “democrazia/Nato” nel mondo. Salvare l’Europa dalla crescita delle destre che in Trump trovano un punto di riferimento, non significa ritornare all’umanesimo, ai valori di mediazione e dialogo, alla diplomazia e alla prevenzione dei conflitti, ma nella visione distorta delle oligarchie illiberali europee e di tutta la loro classe di servizio, si sostanzierebbe nella propaganda militarista, in Bruxelles che non alza bandiera bianca, nella militarizzazione delle coscienze, nelle guerre dei neocon.
Sembra di vivere un incubo. I naufraghi annaspano nella tempesta distopica. E, come in Approdo per noi naufraghi torniamo a chiedere, ai cantori dell’Occidente bellicista, neocoloniale e genocida, veramente volete questa società per i vostri figli e nipoti? Volete il riarmo e la leva obbligatoria, in un clima di insicurezza perenne e di tregua armata con Mosca? Questo è quanto volete salvare dell’Occidente, della nostra storia di civiltà e barbarie? Non l’Europa di Edgar Morin, potenza civile, ma quella delle lobby delle armi e di Israele, l’Europa guerrafondaia e appendice dell’imperialismo statunitense?

Cambiamenti

 

L’infiltrato
DI MARCO TRAVAGLIO
E niente: dopo Otto e mezzo mi ero convinto che Trump non conta più niente e sta per ritirarsi dai negoziati, mentre le sorti della guerra sono tutte in mano alla nostra bella Ue, che per essere proprio perfetta deve sposare l’Agenda Draghi (ove mai la trovasse), quindi scegliere finalmente “fra la pace e il condizionatore acceso”. Avevo già pronti gli spilloni e la bambolina col broncio e il ciuffo giallo del Puzzone per la macumba, così che, sparito lui dalla scena, la nostra Ue tornasse a rifulgere più bella e più superba che pria, d’amore e d’accordo con gli americani, che fino a Trump han fatto il nostro bene. Poi mi sono imbattuto, in fondo a pagina 8 di Rep, in un’intervista agghiacciante. Che mai dovrebbe uscire su un giornale perbene se funzionasse lo “scudo democratico” contro la guerra ibrida putiniana, ma pure trumpiana (che è la stessa cosa). Parla Cesare Maria Ragaglini, già consigliere diplomatico di D’Alema, Amato e B., sherpa di Prodi al G8, ambasciatore all’Onu e a Mosca. Incipit: “Nella storia non ricordo né guerre giuste né paci giuste. Sull’Ucraina serve un sano realismo, se vogliamo fermare questa carneficina”. Apperò. “Prima di Trump gli Usa non hanno mai amato l’Ue. Solo che prima c’era la Gran Bretagna che pensava a mettere i paletti a una maggior integrazione Ue”. Non quei fottuti sovranisti di Orbán&C: la mirabile Gran Bretagna. “L’Europa è stata in una posizione di totale sudditanza nei confronti degli Usa senza far valere i propri interessi geopolitici ed economici. Non ha mai assunto un’iniziativa diplomatica. Questa guerra, tornando indietro al 2014, si poteva evitare”. Oddìo.
E gli eroici Volenterosi? “Del tutto velleitari. Perché mai la Russia dovrebbe accettare delle truppe Nato in Ucraina quando l’ha invasa proprio per evitare che Kiev entrasse nella Nato?”. E gli europei? “Prigionieri del mito della vittoria ucraina, quando tutti sapevano che non sarebbe successo. Nel novembre ‘22 lo disse pure il capo degli stati maggiori Usa”, generale Milley. E ora? “Non si tratta di darla vinta a Putin, ma di leggere la situazione con realismo. Gli europei sono fuori gioco per l’oggettiva incapacità di proporre soluzioni concrete. Perciò Trump ci ritiene inefficaci nel fermare il conflitto”. E sul tavolo c’è un solo piano: quello concordato da Trump con Putin: “Se vogliamo arrivare alla pace dobbiamo tutti mettere da parte questioni non attinenti alla realtà … Alla fine quello che conta è un compromesso per finire questa guerra”. Ma gli euroatlantisti di Rep si sono accorti della falla nella sicurezza? Che aspetta chi di dovere ad arrestare il putribondo figuro e a organizzare una marcia riparatoria con bandiere azzurro-stellate e gialloblu? Guai se queste minacce di pace restassero impunite.

Il Bavoso Guerrafondaio

 

Il Bavoso, per compiacere la Caciottara, sta facendo una disgustosa propaganda bellicista, per inculcarci l’idea che la guerra è bella e necessaria.
Sfanculatelo in modalità Jingle Bells!



L'Amaca

 

Com’è antica la guerra
di Michele Serra
Le foto aeree di Gaza mostrano una distruzione quasi totale. Metro per metro, un annientamento che si estende oltre l’orizzonte. Una visione da evo antico, quando la presa di una città spesso valeva la sua cancellazione fisica, così che i superstiti non potessero fare altro che andarsene. Molte città (una per tutte, Venezia) sono state fondate da profughi in fuga dagli invasori, ma non risulta che per i gazawi questo sbocco sia verosimile. Rimangono lì, sulle loro macerie, con tende e materassi piazzati laddove c’erano muri, pavimenti, cucine, mobili. In una condizione primordiale: primordiale come la distruzione e come la tenacia della vita.
I discorsi sulle guerre a noi contemporanee sono intrisi di tecnologia, i droni, l’intelligence, la sofisticazione dei sistemi di difesa e di offesa. A cose fatte, però, ci sono montagne di cadaveri sotto montagne di macerie, come dall’alba dei tempi, i villaggi che bruciano, le città distrutte, la cenere e la polvere che assorbono e calcificano la carne e il sangue.
La vera opposizione ideale alla mostruosa riqualificazione di Gaza come resort turistico sarebbe lasciarla tale e quale, una specie di enorme museo a cielo aperto della guerra. Da visitare con le scolaresche in fila indiana, chilometri nel nulla, una città sbriciolata. È un’ipotesi puramente teorica, l’impulso umano a ricostruire e ricominciare a vivere è incontenibile. E alla rimozione delle macerie si somma, come è normale, la rimozione del dolore, perché la vita deve continuare. Ma quasi dispiace che una testimonianza così precisa e lampante del potere di distruzione degli uomini possa scomparire. Un museo fatto solo di quelle foto e di quelle macerie basterebbe a fare di Gaza (come Leningrado, come Dresda, come Hiroshima) una città simbolo.

mercoledì 10 dicembre 2025

Natangelo

 



Calendario dell'Avvento

 



Robecchi

 

Follia. Hind Rajab come Anna Frank: un paragone che sarà vietato per legge
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Si può regolare (cioè: vietare) per legge un paragone storico? Una similitudine tra epoche e attori della tragedia umana, un’analogia operativa o ideologica, una riflessione storica? Il ddl Delrio, cosiddetto “sull’antisemitismo”, tra le altre cosette, contiene anche questa prelibatezza censoria, costruita ad hoc, una vera “legge ad paesem”, applicabile solo e soltanto allo Stato di Israele. Si sa che l’accezione di “antisemitismo” su cui poggia il ddl è quella di Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance), benedetta da Israele e accolta come base da qualche istituzione, e che quella definizione punta essenzialmente a una cosa: far coincidere ogni critica allo Stato di Israele, alle sue azioni, alla sua politica di sterminio e pulizia etnica, con un sentimento antisemita. Molti studiosi e storici, anche ebrei, contestano quella definizione, dicendo che può essere strumentalmente usata per limitare la libertà di opinione e di critica, e la cosa è evidente, dato che si accetta la storica politica dello Stato israeliano, e di molti fiancheggiatori, di coprire vergognosamente le proprie disumane malefatte con l’ombrello dell’Olocausto. Un vecchio trucco che funziona sempre meno e che non a caso si vuole trasformare in legge.
“Fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti” è uno dei punti di quella definizione. Cioè: se dite che quel che sta succedendo a Gaza ricorda quel che successe nei campi di sterminio nazisti, o se notate che un campo profughi palestinese somiglia al ghetto di Varsavia, o se certe affermazioni di ministri e politici e cittadini israeliani ricordano i deliri suprematisti dei gerarchi nazisti (come la definizione di “non umani” riferita ai palestinesi), o se pensate che deportazioni, torture, uccisioni deliberate di donne e bambini per mano di Idf ricordino certe imprese agghiaccianti delle SS, potreste incorrere in censura o sanzioni in quanto antisemiti. È una norma che non vale per nessuno Stato, solo per Israele, e colpisce che la definizione fu elaborata dieci anni fa: l’analogia tra Tel Aviv e il Terzo Reich non nasce con Gaza, insomma.
Si sa che i paragoni storici non sono mai in scala uno a uno, che sono più similitudini e suggestioni che ripetizioni meccaniche di fatti e modalità. Eppure le analogie tra le azioni di Idf e quelle delle truppe di occupazione naziste sono innegabili, a partire dalla “scientificità” dell’oppressione del popolo palestinese nei territori occupati e a Gaza, per arrivare a molte modalità operative (i molti medici che riferiscono di bambini uccisi con un colpo singolo alla testa sono solo uno di quei casi, la fame usata come arma è un altro esempio). Vietare di dirlo per legge non è solo un’assurdità, è anche una specie di lasciapassare perché certi crimini contro l’umanità vengano normalizzati, almeno se li commette Israele. In pratica, si tenta di vietare ogni critica allo Stato di Israele, accusato di genocidio e i cui crimini di guerra e contro l’umanità sono abbondantemente provati (anche da evidenze fornite sui social degli stessi carnefici). La storia di Hind Rajab, la bambina (5 anni) assassinata insieme ai membri della sua famiglia e ai soccorritori dai militari israeliani, sarà per sempre un simbolo per il popolo palestinese e per chi vuole giustizia. Hind sarà per sempre una piccola Anna Frank, legge o non legge, perché se non vuoi farti paragonare ai nazisti la prima mossa è non comportarti come i nazisti. Ecco, per Israele è un po’ tardi: già fatto.

Chiarimenti

 

Il gioco Usa è sempre sporco, eppure noi ci roviniamo da soli
DI DANIELA RANIERI
Ma veramente qualcuno credeva che a Trump potessero interessare il Donbass e la Crimea? Che alla Casa Bianca qualcuno potesse credere alla frottola del “c’è un aggressore e un aggredito”, all’Ucraina che “difende anche la democrazia europea difendendo sé stessa”? Qualcuno ancora crede che interessassero a Biden? A malapena i due anziani sapranno dove si trova Kiev sulla cartina. Adesso forse è chiaro anche ai più fanatici tra i bellicisti a oltranza che l’Ucraina, col suo popolo eterogeneo, era solo una pedina dello sporco gioco degli americani in Europa.
Trump, come già altre volte, ha solo esplicitato quello che gli altri presidenti americani, sedicenti democratici, dissimulavano dietro coltri di perbenismo e finta bontà: gli Usa considerano l’Unione europea un mero strumento burocratico per tenere a bada i mercati della provincia occidentale e non farli confliggere con quello imperiale; un simulacro, nato dopo la ricostruzione (saremo sempre in debito per il piano Marshall), per intortare i cittadini europei con la favoletta della pace e dei valori superiori della liberal-democrazia. Con il documento che delinea la Strategia di sicurezza nazionale, Trump ha reso palese l’obiettivo degli Usa: disunire i 27 paesi dell’Unione Europea, che in realtà avrebbero dovuto iniziare a smettere di credere a Babbo Natale già dalla Brexit, a favore di un’ondata sovranista e autarchica che li renda più deboli sul piano economico e militare. L’Ue aveva già rinunciato alla dignità scegliendo di appoggiare lo scellerato progetto della Nato a guida Usa di muovere guerra alla Russia usando l’Ucraina, un Paese oggi distrutto, con 6 milioni di emigrati, una generazione falcidiata sul campo, una classe dirigente decimata dalla corruzione, un presidente delegittimato a cui resta solo di obbedire a ciò che Trump e Putin decideranno per lui. La Disunione Europea, dopo aver acconsentito a dare il 5% del suo (nostro) Prodotto Interno Lordo alla Nato e di ingrassare l’industria delle armi, soprattutto americane, a scapito dello Stato sociale (un’invenzione europea), sta progettando di mandare i figli delle sue patrie al macello, ciò che completerà la sua parabola nella Storia.
Intanto i giornali padronali si sgolano: “Putin minaccia l’Europa”; quando Putin ha detto l’esatto contrario: “Non abbiamo intenzione di andare in guerra con l’Europa. Ma se l’Europa volesse combattere contro di noi, saremmo pronti fin da subito”. Putin ha detto l’ovvio: cari europei, visto che vi state riarmando allo spasimo e state insufflando i vostri popoli di retorica bellicista, anche se essi sono refrattari a fare la guerra a un Paese che non è loro nemico, sappiate che, se proprio volete, ci troverete pronti” (al contrario dell’Italia, come confessò il ministro Crosetto).
Meloni, che ha preso i voti promettendo guerra alle potenze sovranazionali, ubbidisce a Trump perché ciò le consente di fingersi coerente (“siamo sempre stati per la sovranità nazionale, non europea”), in realtà autodenunciandosi quale capo di un governo-colonia. Il ministro della Guerra italiano, già mercante di armi, fa la colomba: non istituiremo proprio una leva volontaria, come in Francia (Macron, distruttore di welfare e pensioni, promette ai “volontari” 800 euro lordi per 10 mesi) e in Germania (dove, se i volontari saranno pochi, si ricorrerà ai proscritti, come fosse in vigore la legge marziale); si tratta di una “riserva selezionata e meccanismi per attirare le persone, incentivi economici”; una cinica mossa che affonda il coltello nella disuguaglianza di classe che domina l’Occidente, giacché si sa che in assenza di un lavoro dignitoso, ed escludendo la carriera ecclesiastica come in epoca feudale, saranno i giovani poveri a dover accettare lo stipendio da militari, e allora, non potendo essere dignitosamente lavoratori “salariati” come sognarono i nostri padri, saranno a tutti gli effetti soldati.

Furbiscemi

 

Furbi di guerra
DI MARCO TRAVAGLIO
Forse, col titolo del libro Scemi di guerra, ho contribuito a diffondere un tragico equivoco: che, cioè, gli sgovernanti europei terrorizzati dalla pace e arrapati dalla guerra permanente con la Russia siano stupidi. Lo sarebbero se il loro scopo fosse fare gli interessi dell’Europa, visto che ogni giorno fanno gl’interessi di tutti – degli Usa, della Russia, di Zelensky e della sua cricca – fuorché quelli dei loro popoli. Ma il loro scopo è fare i loro interessi, che sono opposti ai nostri. Quindi sono furbissimi. Gli scemi sono quelli che continuano a votarli e ad appoggiarli, pensando che il pericolo per l’Europa venga da fuori (dagli Usa, dalla Russia, dalla Cina) e non da dentro, anzi dall’alto.
Se “siamo in guerra” – come ci dicono, aggiungendo l’aggettivo “ibrida” (che si porta su tutto e indora la pillola) – noi paghiamo il riarmo, gli “aiuti” a Kiev, l’energia più cara, la crisi economica e industriale, i salari più bassi, i tagli ai servizi e allo Stato sociale, ma lorsignori ci guadagnano. Governare in stato di guerra, cioè di eccezione, è una pacchia. Netanyahu insegna: finché c’è guerra c’è speranza. In guerra i governi non si discutono, non si contestano, non si processano, non possono cadere. Vale tutto: governi tecnici di larghe intese (Italia), governi di minoranza per non far governare la maggioranza (Francia), elezioni rinviate (Ucraina), voto annullato se vince quello sbagliato, con arresto e messa al bando del favorito (Romania), partiti di opposizione aboliti (Ucraina e Moldova), vittoria negata a chi prende più voti (Georgia), Parlamenti aggirati (Von der Leyen sul riarmo). Le opposizioni devono smettere di opporsi, se no è disfattismo. Chi critica è un agente ibrido dell’Impero del Male: va isolato e imbavagliato con appositi “scudi democratici”, incriminato per intelligenza col nemico, indotto a tacere o a cantare nel coro. I giornalisti devono osservare la censura di guerra e passare solo le veline giuste (“Taci, il nemico ti ascolta”), altrimenti sono accusati di prendere soldi e ordini dal nemico (“omnia sozza sozzis”, per dirla con Massimo Fini) e banditi dai media, dai festival, persino dai teatri privati. In compenso gli sgovernanti e i loro trombettieri possono fare tutto ciò che vogliono: se prendono tangenti o truccano appalti, è colpa dei russi che rubano di più oppure pilotano i magistrati; se perdono consensi, è colpa di Putin e della sua guerra ibrida; se perdono la guerra, tutti dicono che la vincono; se qualcuno gli chiede conto di qualche balla, è un nemico della Patria; se le loro condotte sono contro le leggi o le Costituzioni, non si cambiano le condotte, ma le leggi e le Costituzioni; e se poi la guerra, a furia di inventarsi nemici inesistenti, scoppia davvero, al fronte ci mandano gli altri. Chi sta meglio di loro?

L'Amaca

 

Almeno guardare le figure
di Michele Serra
La Crimea è «circondata dall’oceano sui quattro lati», dice Trump. Forse l’Atlantico, forse il Pacifico, forse il vago luogo della Terra nel quale gli americani incolti collocano, tutta quanta, la non-America, un resto del mondo immeritevole di approfondimento. Insulso e a volte dannoso.
Non che non esistano anche europei incolti, non che alcuni di loro non siano approdati, tra gli applausi, a posizioni di potere: ma insomma, l’aspettativa sarebbe che un capo di governo, nonché del governo più potente del mondo, almeno per fare finta di essere all’altezza del ruolo, prima di parlare di Crimea, o di Ucraina, o di quant’altro, trascorresse una manciata di secondi su Google Maps. Ma no, nemmeno quello. Nemmeno la fatica di verificare, con fatica quasi nulla, che la Crimea è una penisola dell’Ucraina affacciata su Mar Nero e Mar d’Azov.
Lo scrupolo di sapere di che cosa si sta parlando minaccia di diventare antico, obsoleto, come i centrini da tavolo e i bicchieri da cognac. Si parla a vanvera, si parla per parlare, chi se ne frega di quel pur vago interesse per i fatti che si chiamò — prima di Trump — cultura. Che non è erudizione, non è ostentazione di conoscenza, è molto banalmente curiosità del mondo. Chi vuole conoscere, può almeno provarci. Chi se ne frega (per esempio Trump) se ne frega.
Poi dice che sei antiamericano. Ma quella mancanza di pensiero e di rispetto, delle quali Trump è il campione di ogni epoca (John Wayne, al confronto, era Spinoza), quello spensierato provincialismo secondo il quale America è tutto, il resto è niente, come fai a far finta che non siano quello che sono? Come fai a fare finta che sia normale che un uomo che, tra pochi altri, ha nelle mani il futuro dell’umanità, non sappia nemmeno cliccare “Crimea”, e leggere ciò che appare? O almeno guardare le figure?

martedì 9 dicembre 2025

Forza Adrien!

 Problemi per il fortissimo giocatore rossonero che ha ricevuto un invito a comparire per provocato allarme e attentato alla sicurezza pubblica, avendo scagliato il pallone oltre i limiti stabiliti dalla comunità europea. Forza Adrien ti siamo vicini!



Gran primario!

 



L'Intervista fisica

 

Carlo Rovelli: “Chi non vuole armare Kiev è demonizzato: sia benedetto il piano Usa”
DI LORENZO GIARELLI
Riconosce che chi non si allinea sull’Ucraina viene “demonizzato”, ma avvisa: “Gli italiani sono ragionevoli, e la censura aumenta la visibilità degli eventi censurati”. Il fisico teorico Carlo Rovelli è tra i più noti uomini di scienza in Italia. Oggi avrebbe dovuto partecipare in video all’evento “Democrazia in tempo di guerra” organizzato a Torino dallo storico Angelo d’Orsi. I Salesiani hanno però revocato la sala all’ultimo minuto dopo le solite denunce di “propaganda filorussa”. Rovelli ne parla col Fatto mentre assiste ai colloqui dei leader europei con Zelensky: “La convergenza di Trump e Putin è un passo indietro rispetto alla terza guerra mondiale”.
Professor Rovelli, oggi avrebbe dovuto partecipare all’evento a Torino, ma i Salesiani si sono tirati indietro.
Sono grato ai Salesiani. Hanno portato l’attenzione sull’evento, aumentandone la visibilità. Quello che intendevo dire l’ho messo in un video su Facebook.
La preoccupa il clima intorno a temi e voci scomode?
Mi preoccupa la sudditanza della maggior parte dei media alle direttive di una intera classe politica, destra e sinistra, che non va nella direzione che vorrebbero gli italiani.
Però da quasi 4 anni sembra esserci una campagna di demonizzazione di chiunque si discosti dalla linea del sostegno militare a oltranza all’Ucraina.
Sì, non c’è dubbio. Anche quando queste persone sono invitate nelle televisioni, si mette loro intorno un recinto di critiche e risolini.
Da quando ha espresso pubblicamente le sue idee sul riarmo e sul conflitto in Ucraina, ha percepito un cambio di atteggiamento nei suoi confronti?
No, esprimo idee e proposte da sempre, e ho sempre ricevuto assenso e dissenso, come naturale. Partecipo come posso al dibattito civile.
I sondaggi ciclicamente confermano che gli italiani temono un’escalation e vorrebbero un ruolo di pace per l’Italia e l’Europa. Ha l’impressione ci sia ancora una società fermamente ancorata al pacifismo?
Gli italiani non vogliono il riarmo, non vogliono il sostegno alle guerre. Gran parte dell’Italia sinceramente cattolica, per esempio, non lo vuole.
Fa bene l’Ue a respingere il piano di Pace americano per tutelare i propri interessi?
È curioso che si parli di interessi europei, ora. Non eravamo in guerra contro la Russia, dando armi a Kiev, solo per una generosa e disinteressata difesa dei poveri ucraini? Cos’è successo? È cascato l’asino? Adesso quello che conta sono diventati i nostri interessi. I giovani ucraini devono morire per i nostri interessi.
Il tema dei territori è centrale: l’Ue teme che concedere troppo alla Russia adesso possa avere conseguenze nefaste per il futuro della nostra sicurezza.
Chi sarebbe l’Europa per “concedere”? Sono forse suoi, quei territori? Prima dell’invasione Russa, in quei territori c’erano abitanti in guerra civile, con migliaia di morti, perché lì molti volevano indipendenza da Kiev. La Russia mandava armi, come ora noi a Kiev. Facciamo, come la Russia, i nostri sporchi giochi di potere sulla pelle degli ucraini. Che il confine sia dieci chilometri più a destra o più a sinistra non ha alcuna importanza. Il margine fra l’influenza Nato e Russa si è spostato a Est di migliaia di chilometri. Per arrivare fin là, gli occidentali hanno organizzato un colpo di stato a Kiev. Non è certo una tragedia per l’Europa se la Russia ha impedisce qualche chilometro di questa avanzata.
Dunque ci sono colpe europee per come sono andate le cose?
Tutti giocano sporco. Era meglio quando con la Russia costruivamo una pacifica convivenza, come voleva Angela Merkel. Ad alterare l’equilibrio non sono stati i russi, ma gli occidentali, accecati dalla hubris di essere i totali signori del mondo, quelli che ora discutono se “concedere” territori altrui.
La spaventa la convergenza tra Putin e Trump sul piano americano?
Spaventarmi? Che sia benedetta dal Signore! È un passo indietro rispetto alla Terza guerra mondiale.
Crede che gli scandali ucraini incidano sui negoziati?
Non ne ho idea. Spero di sì.
Su di lei che effetto hanno fatto le notizie sugli scandali?
Nessuno. Basta guardare le vecchie statistiche delle organizzazioni internazionali, per sapere che l’Ucraina è fra i paesi più corrotti del mondo. Qualcuno pensava che fosse guarita perché l’hanno invasa i russi?
Il ministro Crosetto ha ammesso che l’Ucraina combatte per “guadagnare tempo”. Crede possa funzionare la tattica di prolungare il conflitto, confidando che la Russia debba trattare da una posizione peggiore di quella attuale?
Stanno morendo come mosche giovani ucraini e giovani russi, perché qualcuno fa tattiche o “guadagna tempo”.
Presto l’Italia dovrà decidere se mandare armi a Kiev anche per il 2026. La Lega minaccia di sfilarsi. L’Italia potrebbe dare un segnale diverso, rispetto al passato?
La nostra presidente del Consiglio potrebbe per una volta seguire gli Stati Uniti, ora che vanno nella direzione giusta, invece di farlo quando vanno nella direzione sbagliata.
Non ci sono dubbi invece sul riarmo italiano ed europeo. Necessario?
L’obiettivo dichiarato è il 5% del Pil. Ho i dati del 2022. Gli unici paesi nel mondo che spendono il 5% del PIL per spese militari sono Ucraina (in guerra), Arabia Saudita (in guerra), Qatar, Togo e Oman. La Russia spende il 4%, gli Stati Uniti il 3,45%, la Cina l’1,6%. Perché mai dovremmo spendere più di tutti i 200 paesi del pianeta? Più di tre volte la Cina, che accusiamo di destabilizzare il mondo perché si arma.