mercoledì 16 marzo 2022

L'Amaca

 

Quando il tempo sarà migliore
di Michele Serra
Difficile parlare della siccità, con la guerra che ci sovrasta e la pandemia ancora tra noi.
È come cedere a un umore fosco, sommando nomi di piaghe bibliche — guerra, pestilenza, sete — che tutte assieme mettono a dura prova le nostre provviste di coraggio e di vitalità. Eppure è così che accade nel Nord-Ovest, dove da mesi le perturbazioni atlantiche, quelle che contano, hanno smesso di bagnare la terra, innevare le Alpi, riempire i laghi e i fiumi.
E marzo non promette niente di meglio.
Nelle città non si percepisce come funziona la filiera dell’acqua, come se il rubinetto fosse una scontata cornucopia. Del resto nessuna filiera è ben percepibile dai consumatori, a cominciare da quella energetica (l’energia idroelettrica dipende dalle precipitazioni).
Il funzionamento della natura — di questo si tratta — nella civiltà dei consumi è un fenomeno occulto, o meglio occultato, i prodotti alimentari sono ciò che si vede negli scaffali e si paga alla cassa, la vita e il lavoro (di uomini e animali) che stanno a monte scompaiono e nessuna etichetta basta a raccontarli.
Da molte settimane ci sono contadini, su al Nord, che ogni giorno scorrono sui cellulari le previsioni meteo, illudendosi che il sito B dica qualcosa di differente dal sito A. Per loro la peggiore delle beffe è quando, in tivù, sentono annunciare con un sorriso “una
bella giornata
di sole”, come se non fosse la più luttuosa delle notizie.
Non è che si possa fare molto, se non piove.
A meno che Elon Musk non annunci che ha messo nel suo libro paga anche le nuvole.
Ma almeno una piccola cosa, anche per solidarietà con gli agricoltori, la si potrebbe fare: adeguare il linguaggio alla realtà delle cose e annunciare, quando sarà il momento: “finalmente arriva il bel tempo, domani diluvia”.

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