giovedì 31 marzo 2022

Antò

 

La “premessite” contagiosa, o delle assurde domande a Conte
di Antonio Padellaro
L’altra sera, a DiMartedì, Giovanni Floris ha chiesto a Giuseppe Conte se fosse anche lui d’accordo che in questa guerra “ci sono un aggressore e un aggredito”. Più della risposta colpiva l’espressione al limite dello sgomento dell’ex premier, che ho interpretato con un oddio perché mi chiede questo? Infatti, era come se da Conte si pretendesse un supplementare esame patriottico del sangue. Ora, non userò lo stucchevole espediente retorico che consiste nel parlare bene di qualcuno per poi criticarlo, ma sulle qualità professionali di Floris parlano i dati di ascolto e il gradimento del pubblico. Il che semmai accresce il peso dell’interrogativo iniziale, considerato il profilo istituzionale dell’ospite, un ex presidente del Consiglio che sul concetto Putin aggressore e Zelensky aggredito si è più volte espresso senza equivoci.
Una prima ipotesi è che Floris volesse davvero puntare il dito sulle cosiddette ambiguità del Movimento, di cui Conte è stato riconfermato leader. Una roba del tipo: vediamo come reagisce a una domanda secca sul punto, se cioè la richiesta appena fatta a Mario Draghi di procrastinare quel 2% di Pil in spese militari, con il rischio di una crisi di governo, non nasconda anche da parte sua un pregiudizio anti Nato o pro Putin, o entrambe le cose. Oppure, al contrario, Floris ha posto una domanda volutamente provocatoria proprio perché convinto che la risposta sarebbe stata la più netta. Per dimostrare che la richiesta di Conte sui circa 14 miliardi annui in più di spese per la difesa (ritenuti eccessivi rispetto all’emergenza sociale in cui versa il Paese) non nascondesse alcun retropensiero sulle tremende responsabilità del “macellaio” Vlad.
In ogni caso va riconosciuto a Conte, come a ogni leader di partito e tanto più al capo del partito di maggioranza relativa, il sacrosanto diritto di rappresentare le ragioni dei propri elettori sul surplus di spese militari (così come il premier Draghi ha il dovere di manifestare a Sergio Mattarella i relativi rischi connessi alla stabilità del governo). Senza per questo essere ogni volta costretto a quella che Luca Ricolfi chiama “premessite”. Ovvero, le “autocertificazioni di anti-putinismo per tutelarsi dal rischio di essere crocifissi”, se non in linea, pancia a terra, con la Nato. Perché di questo passo sarà richiesto anche a Papa Francesco (che sulle spese per gli armamenti non l’ha mandata a dire) un pubblico mea culpa, oltre a quello del Venerdì Santo.

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