Il
tempo non esiste più
L’idea dello scorrere lineare delle ore è un retaggio
culturale che, con la pandemia, è stato definitivamente messo in crisi
di Gianrico Carofiglio
I mesi appena trascorsi hanno messo in movimento molte riflessioni sui temi
più vari. Fra questi il concetto di tempo che, attraverso la lente di
ingrandimento di queste settimane irreali, ci è parso, più del solito, ambiguo
e inafferrabile.
Anni fa i linguisti George Lakoff e Mark Johnson proposero un esperimento
mentale: cercate di parlare del tempo – dello scorrere del tempo – senza usare
metafore; appena il caso di notare che "scorrere del tempo" è una
metafora, il riferimento cioè a una entità nota e sensibile (il fiume che
scorre) per alludere a un’entità che i sensi non sono in grado di percepire,
cioè appunto il tempo. In ogni caso, provateci. Il risultato sarà sorprendente
e anche un po’ inquietante: non abbiamo parole per descrivere il tempo, per parlarne,
per pensarlo, che non siano riferimenti analogici ad altre entità.
L’idea di un tempo lineare – quello che scorre come un fiume – non è
infatti una constatazione, ma un retaggio culturale. In molte civiltà, come in
molte riflessioni filosofiche, troviamo concezioni e punti di vista del tutto
differenti. Per esempio gli indigeni Papua delle isole Trobriand o i pellerossa
Hopi non pensano il passato come una fase precedente del presente, ma come
parte di un ampio presente unitario. La lingua parlata dalla popolazione
brasiliana dei Piraha non contiene quasi nessuna espressione che alluda al
tempo, che è dunque una categoria quasi inesistente in quell’orizzonte
culturale. Ernst Mach, fisico, filosofo, pioniere degli studi sulla percezione,
diceva che non siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli
al tempo. Al contrario desumiamo l’esistenza del tempo proprio per via della
constatazione del mutamento. Per Sant’Agostino è inesatto dire che i tempi sono
passato, presente e futuro: più corretto sarebbe parlare di presente del
passato, presente del presente e presente del futuro. L’idea di un tempo
lineare è psicologicamente e culturalmente collegata ai concetti di
prestazione, di competizione, di successo e di fallimento. La procedura, il
modo in cui si fanno le cose, non conta in questa (dominante) visione
interessata solo ai risultati e alla loro misurabilità, soprattutto economica.
Un atteggiamento alternativo è quello che di fronte a un nuovo compito non
produce la modalità dell’ansia rivolta solo al risultato, e propone invece una
domanda procedurale: come farò questa cosa, seguendo quale percorso, osservando
quali regole tecniche ed etiche? Consapevolezza, leggerezza e (con una
contraddizione solo apparente) rapidità sono le modalità di questo diverso
atteggiamento che porta con sé una conseguenza paradossale e affascinante: la
nostra percezione del tempo ne risulta mutata; cominciamo a dubitare della sua
linearità e della sua opprimente finitezza.
Tutti hanno sperimentato, almeno qualche volta, l’esperienza di venire
completamente assorbiti da una attività: leggere, disegnare, scrivere, potare
una siepe, ascoltare musica, praticare un’arte marziale, costruire o riparare
un oggetto, cucinare. In questi casi, quando siamo assorbiti dal processo e non pensiamo al risultato, si ridefiniscono la percezione e la
misura del tempo; esso si altera, si dilata, si estende in molte direzioni,
mostra anfratti sconosciuti. In questi casi ci rendiamo conto – per poi,
purtroppo, dimenticarcene – delle possibilità che derivano dall’azione
consapevole, cioè dal vivere totalmente nel momento presente. Anzi, per dirla
con Sant’Agostino: nel presente del presente.
Ma approfondiamo la nozione di rapidità in contrapposizione a un altro
concetto solo in apparenza affine: la fretta. La rapidità è il risultato della
competenza e della padronanza; implica preparazione, studio, pratica. Si
racconta che una volta Picasso fosse seduto in un bistrot parigino e,
distrattamente, mentre chiacchierava con gli amici, avesse fatto un rapido
schizzo sul tovagliolo di carta. Una signora seduta a un tavolo vicino, notata
la cosa, chiese al maestro di poter comprare il disegno. Picasso acconsentì, ma
quando la signora domandò il prezzo, si sentì chiedere una cifra spropositata. «Ma
come, le ci è voluto solo qualche secondo» disse la donna. Picasso rispose:
«Signora, si sbaglia. Mi ci è voluta tutta la vita».
La fretta al contrario della rapidità, non consente il controllo delle
azioni, delle dichiarazioni, dell’elaborazione delle opinioni. Essa dipende
dall’impreparazione, ostacola l’approfondimento e la comprensione, impedisce la
precisione; produce, nel migliore dei casi, delle mezze verità, nel peggiore e
più frequente dei casi, un totale e pericoloso fraintendimento delle idee e dei
fenomeni.
Che attinenza hanno queste riflessioni su tempo, rapidità e fretta con la
crisi che abbiamo vissuto e nella quale ancora ci troviamo? L’epidemia ha reso
particolarmente visibile un fenomeno che a qualsiasi osservatore attento era
già noto: la fretta, il ritmo ossessivo, un presentismo insensato unito a
una sostanziale assenza sono frequenti, pericolosi connotati dell’azione
politica a tutti i livelli. Molti uomini e donne di potere sono davvero
presenti solo di rado. Non amano allontanarsi dal lavoro perché sul lavoro
hanno emergenze, urgenze e soprattutto un numero infinito di distrazioni cui
possono abbandonarsi senza alcun senso di colpa perché – raccontano a sé stessi
prima ancora che agli altri – si tratta sempre di cose importanti. In realtà
sono spesso urgenti, solo di rado importanti. Cogliere la differenza fra le due
categorie – urgenza e importanza – è fondamentale nella riflessione su un modo
diverso di occuparsi di politica, maneggiare il potere, pensare il presente
nella prospettiva del futuro.
La fretta di molti politici e, più in generale di molti potenti, esprime un
carente contatto con la realtà e con gli altri a causa di un eccessivo,
narcisistico contatto con sé stessi. Il narcisista in politica è perseguitato
dall’ansia e non dalla colpa, sottolinea Christopher Lasch nel suo capitale
testo La cultura del narcisismo . Il narcisista, in politica come in
altri ambiti, vive per soddisfare i propri bisogni psicologici immediati, si
muove in uno stato di accelerazione continua e nevrotica, intrappolato in un
presente privo di significato, che si riproduce in maniera ossessiva sempre
uguale a sé stesso. Da questo deriva fra l’altro l’incapacità di progettare il
futuro in un racconto coerente, inclusivo e munito di significato. In sostanza,
dunque, l’incapacità di cambiare il mondo in una prospettiva di progresso, di
convivenza pacifica con la natura, di solidarietà fra gli umani.
L’idea di una politica diversa su cui molti di noi hanno riflettuto in
questo periodo, passa anche attraverso la ridefinizione del nostro rapporto,
individuale e collettivo, con il tempo. Un pensiero ben sintetizzata da un
famoso aforisma di James Freeman Clarke (spesso attribuito ad Alcide De
Gasperi): «Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alle
prossime generazioni».
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