mercoledì 27 maggio 2020

Carissimo Carofiglio!


Il tempo non esiste più

L’idea dello scorrere lineare delle ore è un retaggio culturale che, con la pandemia, è stato definitivamente messo in crisi

di Gianrico Carofiglio

I mesi appena trascorsi hanno messo in movimento molte riflessioni sui temi più vari. Fra questi il concetto di tempo che, attraverso la lente di ingrandimento di queste settimane irreali, ci è parso, più del solito, ambiguo e inafferrabile.

Anni fa i linguisti George Lakoff e Mark Johnson proposero un esperimento mentale: cercate di parlare del tempo – dello scorrere del tempo – senza usare metafore; appena il caso di notare che "scorrere del tempo" è una metafora, il riferimento cioè a una entità nota e sensibile (il fiume che scorre) per alludere a un’entità che i sensi non sono in grado di percepire, cioè appunto il tempo. In ogni caso, provateci. Il risultato sarà sorprendente e anche un po’ inquietante: non abbiamo parole per descrivere il tempo, per parlarne, per pensarlo, che non siano riferimenti analogici ad altre entità.

L’idea di un tempo lineare – quello che scorre come un fiume – non è infatti una constatazione, ma un retaggio culturale. In molte civiltà, come in molte riflessioni filosofiche, troviamo concezioni e punti di vista del tutto differenti. Per esempio gli indigeni Papua delle isole Trobriand o i pellerossa Hopi non pensano il passato come una fase precedente del presente, ma come parte di un ampio presente unitario. La lingua parlata dalla popolazione brasiliana dei Piraha non contiene quasi nessuna espressione che alluda al tempo, che è dunque una categoria quasi inesistente in quell’orizzonte culturale. Ernst Mach, fisico, filosofo, pioniere degli studi sulla percezione, diceva che non siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli al tempo. Al contrario desumiamo l’esistenza del tempo proprio per via della constatazione del mutamento. Per Sant’Agostino è inesatto dire che i tempi sono passato, presente e futuro: più corretto sarebbe parlare di presente del passato, presente del presente e presente del futuro. L’idea di un tempo lineare è psicologicamente e culturalmente collegata ai concetti di prestazione, di competizione, di successo e di fallimento. La procedura, il modo in cui si fanno le cose, non conta in questa (dominante) visione interessata solo ai risultati e alla loro misurabilità, soprattutto economica.

Un atteggiamento alternativo è quello che di fronte a un nuovo compito non produce la modalità dell’ansia rivolta solo al risultato, e propone invece una domanda procedurale: come farò questa cosa, seguendo quale percorso, osservando quali regole tecniche ed etiche? Consapevolezza, leggerezza e (con una contraddizione solo apparente) rapidità sono le modalità di questo diverso atteggiamento che porta con sé una conseguenza paradossale e affascinante: la nostra percezione del tempo ne risulta mutata; cominciamo a dubitare della sua linearità e della sua opprimente finitezza.

Tutti hanno sperimentato, almeno qualche volta, l’esperienza di venire completamente assorbiti da una attività: leggere, disegnare, scrivere, potare una siepe, ascoltare musica, praticare un’arte marziale, costruire o riparare un oggetto, cucinare. In questi casi, quando siamo assorbiti dal processo e non pensiamo al risultato, si ridefiniscono la percezione e la misura del tempo; esso si altera, si dilata, si estende in molte direzioni, mostra anfratti sconosciuti. In questi casi ci rendiamo conto – per poi, purtroppo, dimenticarcene – delle possibilità che derivano dall’azione consapevole, cioè dal vivere totalmente nel momento presente. Anzi, per dirla con Sant’Agostino: nel presente del presente.

Ma approfondiamo la nozione di rapidità in contrapposizione a un altro concetto solo in apparenza affine: la fretta. La rapidità è il risultato della competenza e della padronanza; implica preparazione, studio, pratica. Si racconta che una volta Picasso fosse seduto in un bistrot parigino e, distrattamente, mentre chiacchierava con gli amici, avesse fatto un rapido schizzo sul tovagliolo di carta. Una signora seduta a un tavolo vicino, notata la cosa, chiese al maestro di poter comprare il disegno. Picasso acconsentì, ma quando la signora domandò il prezzo, si sentì chiedere una cifra spropositata. «Ma come, le ci è voluto solo qualche secondo» disse la donna. Picasso rispose: «Signora, si sbaglia. Mi ci è voluta tutta la vita».

La fretta al contrario della rapidità, non consente il controllo delle azioni, delle dichiarazioni, dell’elaborazione delle opinioni. Essa dipende dall’impreparazione, ostacola l’approfondimento e la comprensione, impedisce la precisione; produce, nel migliore dei casi, delle mezze verità, nel peggiore e più frequente dei casi, un totale e pericoloso fraintendimento delle idee e dei fenomeni.

Che attinenza hanno queste riflessioni su tempo, rapidità e fretta con la crisi che abbiamo vissuto e nella quale ancora ci troviamo? L’epidemia ha reso particolarmente visibile un fenomeno che a qualsiasi osservatore attento era già noto: la fretta, il ritmo ossessivo, un presentismo insensato unito a una sostanziale assenza sono frequenti, pericolosi connotati dell’azione politica a tutti i livelli. Molti uomini e donne di potere sono davvero presenti solo di rado. Non amano allontanarsi dal lavoro perché sul lavoro hanno emergenze, urgenze e soprattutto un numero infinito di distrazioni cui possono abbandonarsi senza alcun senso di colpa perché – raccontano a sé stessi prima ancora che agli altri – si tratta sempre di cose importanti. In realtà sono spesso urgenti, solo di rado importanti. Cogliere la differenza fra le due categorie – urgenza e importanza – è fondamentale nella riflessione su un modo diverso di occuparsi di politica, maneggiare il potere, pensare il presente nella prospettiva del futuro.

La fretta di molti politici e, più in generale di molti potenti, esprime un carente contatto con la realtà e con gli altri a causa di un eccessivo, narcisistico contatto con sé stessi. Il narcisista in politica è perseguitato dall’ansia e non dalla colpa, sottolinea Christopher Lasch nel suo capitale testo La cultura del narcisismo . Il narcisista, in politica come in altri ambiti, vive per soddisfare i propri bisogni psicologici immediati, si muove in uno stato di accelerazione continua e nevrotica, intrappolato in un presente privo di significato, che si riproduce in maniera ossessiva sempre uguale a sé stesso. Da questo deriva fra l’altro l’incapacità di progettare il futuro in un racconto coerente, inclusivo e munito di significato. In sostanza, dunque, l’incapacità di cambiare il mondo in una prospettiva di progresso, di convivenza pacifica con la natura, di solidarietà fra gli umani.

L’idea di una politica diversa su cui molti di noi hanno riflettuto in questo periodo, passa anche attraverso la ridefinizione del nostro rapporto, individuale e collettivo, con il tempo. Un pensiero ben sintetizzata da un famoso aforisma di James Freeman Clarke (spesso attribuito ad Alcide De Gasperi): «Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alle prossime generazioni».

 


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