venerdì 22 maggio 2020

Gli sticazzosi culturali


E no cari miei giullari eruditi! Non ci siamo proprio direi! La Scala del Calcio non avrebbe in sé afflati culturali? Parlo naturalmente per la mia sponda, tralasciando, pur ammettendone l'arte pallonara, l'altra. 
Quindi mi state dicendo che non trasuda nulla in quei sacri spazi ove un tempo chiunque entrasse rimaneva allibito da cotanta sacralità? Certo, il pallone riesce difficile accostarlo ad un Monet, ad un Caravaggio, ad uno scritto manzoniano; per certi versi però è anch'esso arte. Un gioco naturalmente, che da certe disfide, da certe caracollate, da illuminazioni inconcepibili riusciva ad agguantare, per lo più nei tempi addietro ora non lo darei per scontato, un qualcosa di geniale conformante in cultura l'apparente teatrale banalità. 
Il ricordo del Genio Abatino, il numero 10 per eccellenza, al secolo Gianni Rivera, colui che con le finte e gli occhi posizionati pure sulle scapole, attirava l'attenzione delle Muse, la sua visione di gioco difficilmente riscontrabile in seguito, la sua personalità in campo, lo smarcamento inusitato dei suoi compagni verso la gloria del gol, e poi Schiaffino, Pierino la Peste, il Ragno Nero, il Biondo Tedesco, il Trio Olandese con lui, il Cigno di Utrecht simbolo della bellezza, Sheva l'ammaestratore delle fasce, il prePirlo pittore, Pippo il Gonfiatore di Reti. Cari i miei saccenti: se non è cultura, se non è bellezza questa allora diteci dove la dovremmo trovare? 
Nel nuovo stadio da costruire assieme a tonnellate di nuovo cemento per commercio e grattacieli? 
Se demolirete la Scala del Calcio toglierete qualcosa di fondamentale, annichilendo la dea Eupalla, trasformando sempre più questo meraviglioso sport in ricettacolo di traffici più o meno leciti, colpo finale alla liturgia pallonara di cui eravamo un tempo innamorati folli.   

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