L’egemonia di Duro e il cinepanettone della finta “sinistra”
CORTOCIRCUITO - Il comico, la destra e le battute
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Angelo Duro spiega sinteticamente come tutti gli indignati che in questi giorni sono preoccupati per il successo del suo film “Sono la fine del mondo”, rappresentino la sua fortuna. Una fortuna basata sul nulla, tra l’altro, perché per ritenere la comicità di Angelo Duro qualcosa di “scorretto”, qualcosa che possa rappresentare “il faro dell’egemonia culturale della destra”, qualcosa – perfino – che somigli al Vannaccismo, bisogna essere molto impressionabili. O, in alternativa, Stefano Cappellini (che appunto ritiene Duro un riferimento della cultura di destra, quella che legittima il pensiero scorretto).
Qualcuno, tra i commenti a un suo video, ha scritto che Duro sembra “uno stand-up comedian americano ordinato su Temu”. Neanche su Whish, su Temu. Come a dire che nella classifica dei comici innocui non è neppure sul podio con Panariello, ma con Martufello. E in effetti le battute di Duro fanno sembrare Vannacci un nazista dell’Illinois. Per esempio, nel film un’ambientalista che fa volantinaggio si avvicina al comico e gli chiede: “Lo sai che mentre ti parlo si sta sciogliendo un ghiacciaio al Polo Nord?”. Riposta: “E allora non mi parlare, stai zitta!”. Sempre nel film Duro nota un fiocco rosa sul portone del palazzo e “Un’altra cagacazzi è nata!”. O dice a un tizio obeso, in aeroporto: “Vai a piedi a Palermo, così dimagrisci!”. Insomma, comicità ruvida e scorretta, un film violentemente anti-woke che si fa portavoce dei pensieri più biechi, razzisti, macisti e pure ageisti, visto che Duro, nel film, odia i due anziani genitori.
Certo, il fatto che la famiglia tradizionale esca piuttosto malconcia dalla storia sembrerebbe tradire la vocazione vannacciana del film, ma facciamo finta di niente, che altrimenti a Cappellini cade tutto l’impianto accusatorio. La verità è che Angelo Duro non è – prevedibilmente – Ricky Gervais, non è – prevedibilmente – Louis C.K. e, qui sta il vero dramma, non è – imprevedibilmente – neanche Pio e Amedeo. Le battute del suo film sono deboli, polverose e innocue e al massimo Duro che fa una battuta al ciccione o alla femminista può risultare un faro della prevedibilità e dell’antipatia, non certo dell’egemonia culturale della destra. Che si fa spazio utilizzando mezzi molto meno grossolani che qualche battuta scema al cinema. In realtà – questo Cappellini non l’ha realizzato – c’è molto più ammiccamento al pensiero vannacciano nei suoi editoriali che nel film del comico. Sono molto più utili al radicamento dell’egemonia culturale della destra i suoi “narcisista etico” indirizzati a Zerocalcare perché protestava contro Chiara Valerio e il suo ormai noto invito a Caffo alla fiera sui libri, o il suo dileggiare un podcast che parlava di violenza psicologica su una donna minimizzando la questione come roba da “egotici vittimisti” visto che non c’era neppure un briciolo di violenza fisica. O quando accusava Amnesty di organizzare finti presidi pacifisti che in realtà – secondo lui – nascondevano una simpatia per Hamas. E così via. Insomma, se fossi stata Giorgia Meloni io il ministero della cultura l’avrei dato più a Cappellini che a Giuli o a Duro. Giuli, presunto intellettuale, suona il flauto di Pan in mezzo a un campo di grano. Duro, presunto comico del politicamente scorretto, è l’evoluzione cinica del Cinepanettone. Cappellini è la presunta sinistra e basta. Quella che incanta e trascina più gente a destra che il piffero magico di Giuli.
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