Libertà per Azizi
DI MICHELE SERRA
Cecilia Sala ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma la sua ingiustificata detenzione a Teheran è servita a riaccendere qualche lampada nel buio. Tra le detenute dell’ormai famigerato carcere di Evin c’è anche Pakhshan Azizi, attivista curda condannata a morte per “ribellione”.
Più di cento deputati italiani, di tutti i partiti, hanno firmato un appello per la sua scarcerazione.
Si sa quanto valgono gli appelli: poco.
Valgono, però, quanto basta a non lasciare che certi nomi, certe storie, finiscano in quell’immenso ripostiglio polveroso che è l’indifferenza. Se oggi ci ricordiamo di Azizi — e qualcuno, magari, legge il suo nome per la prima volta — è per merito di quell’appello.
Tra le cui righe campeggia un principio, “diritti umani” (nella variante: libertà di espressione e di manifestazione pacifica) tra i meno praticati dagli umani medesimi, eppure di facile comprensione e immediata lettura: perfino l’emotività, quando la ragione faccia difetto, consente di capire all’istante l’arbitrio e la prepotenza.
Azizi, nei suoi primi cinque mesi di carcerazione, non ha potuto avere contatti con nessuno: né familiare né avvocato.
Chiunque può cogliere la ferocia di un sequestro di persona che niente ha a che vedere con un procedimento giudiziario e perfino con la carcerazione. Ci sarà pure un giudice, a Teheran, del tutto conscio dell’illegalità di una legge che cancella diritti e dignità, e si accanisce con le donne.
Se quel giudice esiste, faccia presente ai sacerdoti del suo regime che Guantanamo, in Occidente, è una vergognosa eccezione, comunque non europea. In Iran, Guantanamo è la regola. Forza Azizi, forza libertà.
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