E se il postmoderno fosse premoderno
di Michele Serra
La parola “fascismo” — con buona pace dal braccio teso schizzato fuori dal corpo sovreccitato di Elon Musk, tal quale Peter Sellers nel Dottor Stranamore — mi sembra troppo facile e soprattutto troppo vecchia, se il problema è definire quello che sta accadendo in America. Una formidabile, inedita saldatura tra potere tecnologico, potere economico e potere politico, e una ristretta oligarchia di maschi bianchi che celebrando se stessa celebra una nuova maniera di concepire il mondo.
A giudicare dalle mire quasi annessionistiche nei confronti di Canada, Panama, Groenlandia, occhio al Messico che è il prossimo della lista, e dal disprezzo conclamato per le istituzioni sovranazionali al completo (Ocse, Oms, Onu, tutta robaccia smidollata che Trump detesta) è piuttosto “imperialismo” il termine che potrebbe rivelarsi più calzante. Il mondo intero come orizzonte, così come lo vedono, tutto quanto, i satelliti di Musk e così come lo vedeva, tre secoli fa, la Compagnia delle Indie, che aveva diviso il mappamondo, per comodità, in “Indie Orientali”, Asia e Africa orientale, e “Indie Occidentali”, Americhe e Africa Occidentale. Tutto il pianeta a disposizione, anche se qualche problemino con la Cina, ieri come oggi, i maschi bianchi ce l’hanno.
Non il fascismo, ma l’Ancien Régime e l’assolutismo sono le pietre di paragone. Il postmoderno, con Trump e Musk, si colora di premoderno. I tifosi della modernità si consolino: non siamo indietro, siamo avanti. Ai convenuti alla corte di Trump mancava solo la parrucca, e i valletti che la incipriano. Noi la parrucca l’abbiamo tolta due secoli fa.
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