Come dice il Papa, i ladri di regime se la scampano
DI MASSIMO FINI
Papa Francesco, che non per nulla si è dato il nome del Santo protettore dei poveri dei miserabili, degli “umiliati e offesi”, parlando dalle carceri di Rebibbia nell’ambito delle cerimonie per l’apertura del Giubileo, riferendosi ai detenuti ha detto: “È molto importante essere qui. Perché dobbiamo pensare che tanti di questi non sono pesci grossi, i pesci grossi hanno l’astuzia di rimanere fuori”. Questa affermazione Bergoglio non l’ha fatta nelle dichiarazioni ufficiali ma parlando, come spesso gli succede, in modo libero (“C’è già troppa frociaggine”) ai presenti, soprattutto giornalisti. Che cosa intendeva dire, di fatto, Bergoglio? Che i ladri di regime quasi sempre, in un modo o nell’altro, se la scampano, i poveracci no. Quasi tutti i media italiani non hanno ripreso questa “voce del sen fuggita” (Orazio e Metastasio). Mentre nei bar non si parlava d’altro, questa possente affermazione è stata ignorata o trattata in modo del tutto superficiale, credo non a caso, dai media, con la lodevole eccezione del Corriere della Sera, una volta tanto benemerito.
Ma vediamo di chiarirci le idee con alcuni dati relativi all’Italia, anche se il discorso del Papa è valido, se così possiamo esprimerci, urbi et orbi. Ma in Italia siamo e in Italia, “purtroppo o per fortuna”, viviamo. In Italia i carcerati per reati finanziari ed economici, cioè i reati tipici di ‘lorsignori’, sono solo lo 0,9% dei carcerati totali, mentre in Germania è il 10%. Il rapporto è quindi di uno a dieci. Si sostiene che i cosiddetti “reati da strada” provocano un maggior allarme sociale. E certamente se un manigoldo deruba una vecchietta che è appena andata a ritirare la pensione, e la mette così sul lastrico, il fatto è grave e va punito. Ma, come ha ricordato Piercamillo Davigo, una bancarotta fraudolenta mette sul lastrico, d’un sol colpo, non una vecchietta ma cento.
La scarsa presenza di “colletti bianchi” in carcere si spiega anche col fatto che a costoro la galera, in attesa di un giudizio definitivo che vista la lentezza della giustizia italiana probabilmente non arriverà mai, ghigliottinata dalla prescrizione, viene risparmiata in favore degli “arresti domiciliari”. Si ritiene infatti che ai delinquenti di diritto comune, che fanno anda e rianda dalle prigioni, il carcere non sia particolarmente pesante, ci sono abituati, mentre per chi fin lì ha vissuto nel lusso e nell’agio la punizione sarebbe troppo severa. È uno dei tanti esempi di quel ‘razzismo sociale’ così diffuso nel nostro Paese. Vai in carcere stronzo che forse imparerai qualcosa perché il carcere è anche teso alla rieducazione del condannato e quei pochi lorsignori che l’hanno sperimentato, penso, tanto per fare un esempio, a Sergio Cusani, noto brasseur socialista negli anni del Craxi imperante, condannato a quattro anni di galera, scontati per intero, che ne è uscito migliore e dedito al volontariato. Daniela Santanchè, ministro del Turismo, finanziario, sotto processo per bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e truffa aggravata ai danni dello Stato è ancora al suo posto. Naturalmente per la Santanchè, come per tutti, vale il principio della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, ma è la stessa Santanchè che ha affermato per i reati da strada: “in galera subito e buttare via le chiavi”, cioè senza nemmeno un processo. Può anche accadere che un grande imprenditore o un importante uomo politico finisca per essere condannato, ma sconta la pena ai servizi sociali. È il caso di Silvio Berlusconi (ci spiace citarlo ancora una volta, ora che è morto, ma è il principale responsabile di quelle leggi ad personam e ad personas che praticamente hanno messo al sicuro, in questi anni, i colletti bianchi) condannato a quattro anni per una colossale evasione, di cui grazie a un indulto finì per scontarne uno solo andando a raccontare, una volta alla settimana, le sue barzellette alla Fondazione Sacra Famiglia, ricovero di anziani, i veri condannati. Nella vicina Francia Nicolas Sarkòzy, ex Presidente, condannato a tre anni per corruzione e traffico di influenze, ne deve scontare almeno uno con il braccialetto elettronico, cosa particolarmente umiliante. Sembra di capire che in Francia le regole valgono per tutti, senza distinzione di censo.
Detto quanto ho detto, e non rinnegando nulla, io penso però si debba avere per tutti, anche per gli avanzi di galera, misericordia, quella che i latini chiamano pietas, perché in loro e in tutti la condanna c’è già: la condanna di vivere in questo Universo inesplicabile.
“Se t’inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”
(“La città vecchia”, De André)
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