sabato 14 dicembre 2024

L'Amaca

 

Terrorista a chi?
DI MICHELE SERRA
Se c’è una parola che, più di altre, ha perduto molto del suo significato negli ultimi anni, questa parola è “terrorista”. Termine che definiva, storicamente, i bombaroli, gli attentatori, i gruppi armati clandestini, i dirottatori di aerei e insomma i sabotatori violenti, a qualunque titolo, dell’ordine costituito.
Da ultime le vicende mediorientali, ma ancora prima il progressivo disgregarsi degli assetti politico-militari novecenteschi, dimostrano che “terrorista” non è più un termine “tecnico”, immediatamente comprensibile da tutti. Non è più Gaetano Bresci che spara al Re, i brigatisti rossi che ne colpivano uno per educarne cento, i bombaroli fascisti che ne ammazzarono cento, scelti a casaccio, per educarne nessuno.
Terrorismo non è più Torri Gemelle, non è più Bataclan, non è più Charlie Hebdo. È l’epiteto generico, molto ricorrente, che si rivolge al nemico quando si vuole sottolineare la sua efferatezza. È l’aggravante che anche fior di eserciti regolari (i russi in Ucraina, gli israeliani a Gaza) si attirano quando calpestano le vite e i diritti. È un punto esclamativo da mettere o levare a seconda del momento e della convenienza, così come sta accadendo per i freschi conquistatori di Damasco, fino a ieri ufficialmente terroristi, oggi interlocutori da trattare con le molle.
Vista la crescente difficoltà di attribuire lo status di terrorista a ben precise minoranze, viene voglia di dire che terrorista è l’attributo che merita, sul campo, chiunque faccia la guerra. Così, almeno, si restituisce un senso alla parola.

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