I ragazzi stiano a casa
DI MICHELE SERRA
Risparmio le ovvietà contro le brutalità poliziesche dei giorni scorsi. A parte i leghisti, che sono sempre in prima fila quando si tratta di esaltare i modi bruschi e la giustizia sommaria (la Lega resta pur sempre il partito del cappio in Parlamento e dei sindaci e deputati pistoleros), tutti o quasi sono d’accordo nel sostenere che la polizia, in una democrazia, deve cercare di darsi criteri democratici. I celerini di Scelba erano i figli di un’altra Italia: nei Cinquanta e nei Sessanta si sparava sui cortei degli operai e dei braccianti. Qualche passetto in avanti lo abbiamo fatto, teniamocelo stretto. Né vale, come alibi politico di chi alza le mani indossando una divisa, l’idea che i ragazzi in corteo siano “estremisti”, e gridino cose sconvenienti. Anche a me non garba che si inneggi ad Hamas, e molte delle cose (non tutte) che gridano quelli dei centri sociali mi sembrano scioccamente feroci.
Ma è raro, da che mondo è mondo, che i cortei siano azzimati, gli slogan equilibrati e i manifestanti non calpestino le aiuole. Specie se si è ragazzi, il tempo a disposizione per diventare conformisti è ancora tanto. Gestire l’emotività della piazza non è facile, ma è uno dei compiti fondamentali delle forze dell’ordine.
Sono anni che si sente dire: i giovani se ne fregano della politica, sono chiusi in casa a cincischiare con i social, non hanno più passioni e idee forti… Certo, se quando poi mettono il naso fuori li manganellano, non c’è molta speranza di invertire la tendenza; o meglio, significa che la vera speranza di molti adulti è che rimangano in casa e non si impiccino di cose che non li riguardano. Si iscrivano al liceo del Made in Italy (fiasco totale) e scrivano letterine patriottiche. Invece di fare politica facciano regime, e più nessuno si farà del male.
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