Quando la patria è in coda
DI MICHELE SERRA
Piuttosto divertente (e insolitamente civile nei toni) la polemica social nella quale è incappata la ministra Santanchè. Si è lamentata (giustamente) dell’assurda attesa, di circa un’ora, per trovare un taxi alla stazione Termini; in parecchi le hanno fatto notare che è il governo di destra, del quale fa parte, a considerare con molta comprensione l’indole corporativa dei tassisti italiani. Ne consegue l’esitazione a concedere nuove licenze: che sarebbero indispensabili per abbreviare le code.
Si conosce, per sommi capi, la replica: non bisogna cedere alle multinazionali (vedi Uber e dintorni) che usano le liberalizzazioni per imporre la loro egemonia! La Patria impone di proteggere le nostre eccellenze! Io sarei anche d’accordo: ma se la Patria costringe a un’ora di coda, significa che le nostre eccellenze non sono abbastanza eccellenti. Vale per i taxi, vale per i trattori. Non si vince per protervia, tanto meno si vince per retorica o per protezionismo: si vince per merito e per abilità.
La corporazione dei tassisti romani (e negli ultimi tempi, anche milanesi) si faccia questa dura, e però inevitabile domanda: se il servizio è di merda, come possiamo pretendere che rimangano inalterate le sue condizioni? L’ho già scritto più volte: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che si riformi il servizio delle auto pubbliche a favore del cittadino-cliente. La sola speranza è che non solo Santanchè, ma tutti i ministri, tutti i sottosegretari, tutti i deputati e di senatori, facendo un’ora di coda a Termini, vadano da Meloni e le dicano: ma a parte i voti dei tassisti, siamo sicuri di non voler puntare anche ai voti dei clienti dei tassisti, che sono molti di più?
Nessun commento:
Posta un commento