Ghali e Dargen, la pace è censurata dai vertici Rai
DI DANIELA RANIERI
Volete una fotografia ad alta definizione dell’Italia mentale del 2024, nella finta contesa tra l’egemonia culturale di una misera destra e di un’inesistente sinistra? Il ballo del qua qua sì, ben venga, preferibilmente con star di Hollywood scopertesi in Riviera esimie marchettare; la guerra, i bombardamenti di ospedali e le condizioni degli immigrati assolutamente no, perché sono temi che “ci mettono in difficoltà”, come disperatamente confessato da un’agitatissima Mara Venier nella Domenica In post-Sanremo.
Il bambino che nella fiaba di Andersen vede il re sfilare nudo e dice “il re è nudo!” non viene arrestato, imbavagliato, né gli viene tagliata la testa. A Sanremo sono bastate due nitide frasi pronunciate da due giovani artisti, Ghali e Dargen D’Amico, per far crollare il carrarmato di cartapesta di un’informazione servile, faziosa e tremebonda; ma loro, a differenza del candido ragazzino, sono stati subito redarguiti con zelo maldestro, insieme censorio e patetico.
Nel comunicato che l’ad della Rai Roberto Sergio ha fatto leggere in diretta a Mara Venier “in merito a un’affermazione su Israele e Palestina fatta da un artista durante il Festival di Sanremo”, dove l’artista era quel Ghali che la sera prima aveva con educazione artistica pronunciato le parole “Stop al genocidio”, si intuisce come il potere debba sempre obbedire a un potere più grande, e come quindi ogni intento censorio sia un’ammissione di impotenza. È come rimettere il dentifricio nel tubetto o recuperare il cellulare dal water di un autogrill stigmatizzando vibratamente l’entropia. Povero Sergio! “Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano, e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas, oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta”, ha scritto, praticamente confessando di raccontare sulla Tv pubblica solo una parte della verità, cioè il massacro di 1300 ebrei da parte di Hamas, omettendo per quanto possibile la rappresaglia indiscriminata decisa dal governo israeliano contro 2 milioni e mezzo di civili palestinesi che ha provocato 28.430 morti di cui più del 70% donne e bambini. Per questi ultimi, e per quelli che moriranno nell’imminente strage di Rafah appena annunciata da Netanyhau, non una parola gli è uscita dal cuore, ma nemmeno dai neuroni, almeno per salvare la forma e fingere di essere all’altezza del ruolo. La parola “genocidio” ha fatto scattare il Mose conformista dei censori di corte, che nel pomeriggio si erano già agitati perché avevano sentito Dargen parlare di immigrazione, subito zittito manco avesse bestemmiato in diretta come Leopoldo Mastelloni.
Eppure tanto zelo della Rai non è stato ripagato: l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, guardando Sanremo e trovandolo degno finché a nessun artista è venuto in mente di esprimere il proprio pensiero, ha scritto su X: “Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo venga sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”, come se gli italiani pagassero il canone per guardare ciò che piace all’ambasciatore di Israele, molto simile, in quanto a rispetto della Costituzione italiana, a quell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede che voleva dare lezioni al Papa su come si fa la Via Crucis, trovando sconveniente che fossero una donna russa e una ucraina a portare insieme la croce.
E chissà dove l’ambasciatore, col seguito dei filo-Netanyhau Gasparri, Fassino, etc., ha visto “odio e provocazioni” nella frase di Ghali, già attenzionato perché in un verso della sua canzone parla di ospedali bombardati: forse avrebbe dovuto dire “fate i genocidi” e “bombardate più ospedali” per non essere accusato di diffondere linguaggio d’odio; forse, come ai tempi dell’obbligatorio lasciapassare anti-putinista “c’è un aggressore e un aggredito”, doveva premettere la condanna per la strage del 7 ottobre, tutto in due secondi.
Conosciamo l’obiezione: non si sa tecnicamente se a Gaza sia in atto un genocidio; posto che questo lo stabilirà la Corte di Giustizia Internazionale, che comunque ha già ravvisato “prove sufficienti” per valutare la causa intentata dal Sudafrica sulla base della Convenzione sul Genocidio del 1948, l’obiezione riguarda i cavillosi burocrati della contabilità mortuaria, non gli artisti. La viltà conformista, la libidine bellicista e la correità con la violenza hanno già sostituito il coraggio intellettuale sui media; ora si pretende che anche gli artisti, da sempre voci critiche, si allineino agli ordini. Invece è nobile usare la propria popolarità per mandare messaggi di pace. Chi ha un pubblico ha il dovere morale di farlo. Invece di rivoltarsi contro le parole, i censori dovrebbero rivoltarsi contro la giustificazione dell’illimitato orrore e smetterla di fare i servi stipendiati da noi.
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