Troppi puntini su troppe “i”
DI MICHELE SERRA
Di fronte alla carneficina di Gaza e al pogrom del 7 ottobre, le polemiche nazionali su questa o quella frase pronunciata in televisione sono veramente imbarazzanti. Nessuno ha inneggiato alla strage o esaltato la violenza (ingredienti che abbondano nei social), dove sta dunque lo scandalo, perché la stizzosa trafila di comunicati, repliche, correzioni, con quale centimetro questo Paese si è ridotto a misurare la sua piccola indignazione, i suoi cavilli retorici, le sue beghe, di fronte ai chilometri di sangue che scorrono laggiù?
Nella fase (insperata) in cui il Parlamento trova per miracolo un suo momento di decenza, e sospende il gioco delle parti per chiedere il cessate il fuoco, non potrebbero cessare il fuoco anche le fazioni mediatiche, che si accapigliano da quattro mesi a costo zero, giusto per il piacere di mettere i puntini sulle “i” dell’altro? E se ognuno si limitasse a occuparsi delle “i” proprie? Se anche un trapper o un giornalista o chiunque abbia parola pubblica (dunque: molte migliaia di persone) dice la sua, in base a quale strambo principio gli si chiede di correggere, emendare, aggiungere, come se si dovesse sempre arrivare a una specie di “pensiero comune” proprio su un argomento sul quale un pensiero comune non esiste?
La buona vecchia frase, anche cortese, “non sono d’accordo”, non basta? Ogni volta che uno dice “Gaza” bisogna sgridarlo perché non ha detto “sette ottobre”, e ogni volta che uno dice “sette ottobre” bisogna sgridarlo perché non ha detto “Gaza”? E accettare che no, non esiste una opinione condivisa, su quel macello, non sarebbe una novità interessante?
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