venerdì 23 febbraio 2024

Attorno al fulcro

 

Fate con comodo
di Marco Travaglio
Da due anni, da quando Putin ha invaso l’Ucraina, riceviamo accuse di putinismo da chi fino al 2022 era putiniano. E attendiamo con ansia che questi paraculi ci indichino una sola riga pubblicata dal Fatto in 15 anni a favore di Putin: attesa vana, visto che a Putin e alle sue cheerleader abbiamo riservato sempre e soltanto feroci critiche. Siccome abbiamo tanti difetti, ma non l’incoerenza e l’ipocrisia, non abbiamo atteso l’Ucraina per capire che Putin è un guerrafondaio (cioè un perfetto allievo della Nato, che scatena massacri in giro per il mondo senza neppure chiamarli guerre): ci bastavano la Cecenia (1999), la Georgia (2008), la Crimea (2014) e la Siria (2015). E non abbiamo atteso la morte di Navalny per capire che chiunque si opponga a Putin finisce male: Anna Politkovskaja, per tacer degli altri, fu uccisa nel 2006.
Dov’erano intanto i politici (non solo Salvini: quasi tutti) e i giornalisti che oggi si ammantano di antiputinismo? Pochissimi dicevano ciò che dicono oggi. Moltissimi scrivevano l’opposto, o si trinceravano dietro la realpolitik. E intendiamoci: ci sono rapporti istituzionali e commerciali che vanno mantenuti con tutti i regimi, anche i peggiori, come del resto continuiamo a fare con tiranni perfino peggiori di Putin (basti pensare da quali canaglie compriamo gas e petrolio da quando non li compriamo più da Putin contro i nostri interessi). Ma qui parliamo degli amorosi sensi per l’autocrate russo che travalicano la doverosa diplomazia. Mattarella distribuì cavalierati e onorificenze a 30 boiardi putiniani. B. faceva bisbocce con “l’amico Volodia”, “uomo di pace” e “dono di Dio” (tra gli applausi dei forzisti, inclusi quelli vivi). Il premier Letta affiancò Putin alle Olimpiadi di Sochi 2014 mentre gli altri leader occidentali disertarono contro le persecuzioni ai gay. Renzi (con Calenda) autorizzò la vendita di “Lince” Iveco dopo l’embargo militare post-Crimea e aumentavano la dipendenza dal gas russo, fece pappa e ciccia con Putin in vari vertici, si batté contro le sanzioni e finì in bellezza nel Cda di una società di car sharing partecipata da una banca di Stato russa. Di Maio inviò il fido Di Stefano al congresso di Russia Unita, con cui Salvini firmò un accordo di partnership mai disdetto. Meloni, nel libro del 2001, esaltò la Russia che “difende l’identità cristiana e combatte il fondamentalismo islamico”. Giornale, Libero e Foglio leccavano B. che leccava Putin, e viceversa. Repubblica ospitò per sei anni la propaganda putiniana a pagamento nell’inserto Russia Today. Poi, con calma, intuirono tutti chi è Putin. Quindi adesso potrebbero persino capire che i regimi che arrestano e perseguitano Assange non sono democrazie. Ma con comodo: fra una ventina d’anni.

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