martedì 20 febbraio 2024

Controcorrente: il Giornalismo

 

A targhe alterne
di Marco Travaglio
Le uniche certezze su Navalny, unico oppositore superstite di Putin, sono che è morto in un gulag artico e che la responsabilità della sua prigionia e dei feroci trattamenti subiti (incluso l’avvelenamento del 2020) ricade tutta sull’autocrate russo. Non si può escludere, viste le decine di personaggi scomodi morti ammazzati o vittime di strani incidenti, che sia stato ucciso e che l’ordine sia partito da Putin. Ma al momento, senza elementi certi, non si può neppure affermarlo, anche se i governi di mezzo mondo si sono affrettati a farlo un minuto dopo, senza prove. Gli opposti complottismi si esercitano nel giochino del cui prodest: per gli anti-russi, Putin non vedeva l’ora di tappare la bocca per sempre al grillo parlante; per i filorussi quel cadavere eccellente serve al mondo Nato per scagliarlo addosso a Putin ora che sta vincendo la guerra in Ucraina e gli Usa e l’Europa si sono abbondantemente stufati di svenarsi per quella causa persa. A lume di naso, un autocrate intelligente ha poco da guadagnare e molto da perdere – a un mese dalle elezioni che stravincerà per mancanza di rivali e nel momento più difficile per il fronte pro Kiev – dalla morte di un oppositore più popolare qui che là e sepolto vivo a 2 mila km da Mosca. Tantopiù se è vero, come sostiene la Bild, che Navalny gli serviva vivo per scambiarlo con un agente russo recluso in Germania.
Ma le indagini non si fanno a lume di naso: se bastasse il cui prodest, i fratelli Kennedy sarebbero gli assassini di Marilyn, Schmidt dei capi della Raf, Marcinkus di Calvi, Andreotti di Pecorelli, Sindona e tanti altri, per non parlare delle stragi mafiose che aprirono la strada a FI ecc. Ogni Paese, democratico o autoritario, ha i suoi cadaveri eccellenti in cerca d’autore. Ed è curioso che chi denuncia i complottismi altrui ci si tuffi a pesce solo con la Russia. E poi taccia sui 30 mila civili ammazzati da Netanyahu a Gaza. O su Assange arrestato e torturato psicologicamente dall’Uk per conto degli Usa per il delitto di giornalismo. O su Darya Dugina fatta esplodere in un’autobomba a Mosca dai servizi di Zelensky solo perché figlia di un filosofo putiniano. O su Gonzalo Lira, il blogger cileno con cittadinanza Usa arrestato in Ucraina perché ne criticava il regime, malato, mai curato e morto in carcere senza uno straccio di protesta. Il fatto poi che persino la fiaccolata per ricordare giustamente Navalny (oppositore coraggioso al di là delle idee xenofobe e fascistoidi, che in Italia l’avrebbero portato in carcere per istigazione al razzismo in base alla legge Mancino) diventi uno spot per spedire altre armi a Kiev e far ammazzare altre migliaia di ucraini autorizza i peggiori sospetti. Ma li lasciamo volentieri ai complottisti un tanto al chilo garantisti a targhe alterne.

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