martedì 4 ottobre 2022

Marco e le tresche

 

I conti senza Conte
di Marco Travaglio
Chi finge di non capire la distanza siderale che oggi divide i 5Stelle e questo Pd dovrebbe ripassare la storia degli ultimi tre mesi e mezzo. A partire dal 19 giugno, quando Luigi Di Maio, ministro 5S degli Esteri, accusò il suo capo Giuseppe Conte di “disallineare l’Italia da Nato e Ue” e di “mettere a rischio la sicurezza nazionale” citando una falsa risoluzione 5Stelle contro l’ennesimo invio di armi a Kiev. Né il premier Draghi né i ministri Pd difesero Conte e il partito di maggioranza relativa. Il Nazareno già sapeva dell’imminente scissione di Di Maio&C., che da settimane (dalle Presidenziali di febbraio, quando con Renzi e Guerini fece saltare l’opzione Belloni concordata da Conte, Salvini, Letta e Meloni) reclutava segretamente truppe grilline e cercava pretesti per andarsene. Ne erano informati alcuni consiglieri del Colle, con cui Di Maio ha sempre concordato ogni mossa. Senza il loro avallo e quello dello staff draghiano, ma soprattutto senza la promessa di collegi dal Pd in caso di voto anticipato, mai un calcolatore come lui avrebbe fatto il salto nel buio. Pensava di rafforzare Draghi e dunque se stesso, ma anche di acquisire altri meriti presso Usa, Nato e Ue vampirizzando il M5S, che chiedeva di discutere in Parlamento di armi e negoziati e invocava misure contro lo tsunami sociale. La scissione fu annunciata da Di Maio + 64 il 21 giugno sera. Draghi sostiene di averla appresa quel mattino: ma anche chi gli crede sa che sarebbe bastato un suo cenno per fermarla. Invece non fece nulla. Anzi provocò i 5S infilando nel dl Aiuti la norma Pd sull’inceneritore di Roma e altre contro il Rdc e il Superbonus, e ci impose pure la fiducia.
Non solo. Grillo raccontò a Conte che in quei giorni il premier non si limitava – come suo solito – a chiedergli di scaricarlo: gli suggeriva pure di portare a Di Maio i grillini rimasti per isolarlo. Grillo rifiutò e, sceso a Roma, lo riferì anche a De Masi e ai parlamentari. Il 15 luglio il M5S non votò la fiducia in Senato per l’inceneritore e Draghi si dimise pur avendola ottenuta: il Pd sperava in una seconda scissione nel M5S e promise altri seggi ai draghiani rimasti, da D’Incà a Crippa. Mattarella rinviò il governo alle Camere e il 20 luglio Draghi fece l’harakiri-bis: attaccò Lega, FI e M5S per farsi sfiduciare, sempreché i governisti grillini e leghisti non mollassero Conte e Salvini. Non lo fecero (a parte Crippa, D’Incà e pochi altri geni) e addio governo. BaioLetta bandì subito Conte per la gioia degli Usa e regalò collegi uninominali a Di Maio, Spadafora, Azzolina, Crippa&C.. Che li persero tutti, mentre Conte rimontò fino al 15,5%. Se lui avesse fatto al Pd ciò che il Pd ha fatto a lui, oggi qualcuno si domanderebbe perché non tornano insieme a tarallucci e vino?

Nessun commento:

Posta un commento