martedì 4 ottobre 2022

Daje Andrea!

 

Calenda, l’uomo che sussurrava alle coratelle (in tv)
di Andrea Scanzi
Probabilmente, di fronte all’imitazione di Crozza che lo raffigura come un mitomane intento a vendere “aria fritta, non contiene niente, nessun attaccamento alla realtà”, Carlo Calenda fingerà pure di divertirsi. Orgoglioso in qualche modo di essere preso così bene in giro. Non sa, o finge di non sapere, che in quella riuscita imitazione c’è tutto il suo smisurato niente politico.
Bugiardo per abitudine e arrogante per una sorta di dna coatto, Calenda continua ad atteggiarsi a fenomeno nonostante i risultati mediamente stitici alle elezioni. Prima ha rotto con Letta dopo aver garantito amore pressoché eterno al Pd. Poi si è alleato con Renzi dopo avere garantito che non lo avrebbe fatto mai e poi mai. La sua, più che incoerenza, è propensione costante al caos trucido. Passa la vita a sportellarsi in quel sottoscala di nicchia morta che è Twitter. Va in tivù a sciorinare verità inattaccabili, sebbene abbia perso tutto quel che c’era da perdere in politica. Insulta gli avversari e – già che c’è – deride pure gli spettatori, colpevoli a suo dire di votare come se fossero dentro un reality col televoto e così imbecilli da non regalare il 100 per cento alla sua Armata Brancaleone fatta di residuati forzisti, scappati di casa Ztl e renziani decadutissimi. Calenda non ne indovina una, ma continua ad atteggiarsi a Churchill. O se preferite a Stocazzo (con rispetto parlando).
Calimero che si credeva Gastone e Luther Blissett convinto d’esser Maradona, Calenda è un punching ball di seconda mano che gioca al Cassius Clay. Un quasi-statista che sussurrava alle coratelle. Quattro giorni prima del voto ebbe a dire: “Vorrei prendere un voto che sia robustamente sopra le due cifre. Dodici, tredici, quattordici per cento. Vediamo. Penso che dobbiamo arrivarci e come è successo a Roma ci arriveremo. Sotto il 10 per cento sarebbe un insuccesso”. E “insuccesso” è stato, avendo preso il 7,8 per cento. Lui però non si arrende e, non più tardi di due giorni fa, esultava perché gli ultimi sondaggi lo davano al 7,9, fiero di un +0,1 per cento post-voto che non vale nulla e con cui al massimo può farci il brodo di pollo (o di cigno, animale di cui pare andar ghiotto).
Calenda voleva giganteggiare alle elezioni ed è riuscito giusto a far rientrare tutti i renziani talebani (tranne Nobili, Bellanova, Annibali e Genny Migliore): son soddisfazioni. Un sondaggio Ixè lo ha dato però come più votato dai più giovani: tra gli elettori della fascia 18-24 anni avrebbe preso addirittura il 17,6 per cento. Qualora ciò corrispondesse al vero, saremmo di fronte a una gioventù così bruciata che in confronto James Dean era un chierichetto. Del resto lui sognava il 20 per cento o giù di lì. Primo agosto: “Abbiamo tolto a FI la sua parte migliore, Gelmini e Carfagna. Possiamo ripetere il 19 per cento di Roma e battere il sovranismo”. Due agosto: “Portiamo via voti a FI e al Senato può venir fuori un pareggio”. Nove agosto: “Sarò io a sottrarre voti a Meloni, prenderò consensi in uscita dal centrodestra, posso mandare FI sotto il 3 per cento”. 21 agosto: “Servirà un nuovo governo Draghi isolando le estremità di FdI e 5Stelle”. Primo settembre: “La nostra missione è cancellare i 5Stelle”. 5 settembre (mattina): “No accordi col Pd, sì a un governo di unità nazionale, anche con FdI”. 5 settembre (sera): “La linea non cambia, stop a populisti e sovranisti”. 21 settembre (questa è un capolavoro): “Prenderemo più voti della Lega. E la Meloni non governerà mai”.
Potremmo andare avanti in eterno, ma noi a Calenda vogliamo bene. A differenza di Calenda stesso, che deve odiarsi così tanto da inventarsene una al giorno pur di sputtanarsi sino in fondo. Daje Carle’!

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