martedì 25 ottobre 2022

L'Amaca

 

Per la libertà di articolo
DI MICHELE SERRA
Decidere se chiamare Giorgia Meloni la presidente del Consiglio (in italiano corretto) o, come lei preferirebbe, il presidente del Consiglio (con una forzatura logica e grammaticale) è esclusiva facoltà di chi sta parlando. Levati gli insulti e le falsità, che sono biasimevoli prima ancora che perseguibili per legge, l’uso delle parole non può che essere libero, frutto di scelte che definiscono chi parla, specie se lo sta facendo in sede professionale.
È anche per questo che il linguaggio servile, o conformista, non è solamente meno libero, è anche meno responsabile.
È un ricalco di scelte altrui, è una forma di passività intellettuale. Si spera dunque che siano malevole, o esagerate, le voci di un possibile “allineamento” dei notiziari della televisione pubblica al desiderio (legittimo) della presidente Meloni di essere chiamata il presidente. Chi vuole chiamarla “il” ne ha diritto, chi vuole chiamarla “la” ne ha diritto alla stessa maniera, con l’ulteriore vantaggio di un uso più calzante della lingua italiana.
A meno che valga — e sarebbe una sorpresa — una specie di “politicamente corretto” alla rovescia, con una sorta di perbenismo di destra che soppianta il perbenismo di sinistra ma finisce per esserne il ricalco. E dunque diventi obbligatorio, o fortemente suggerito, declinare il potere al maschile, perché della differenza di genere non sanno che farsene, le donne di destra. Avendo scritto spesso contro le costrizioni lessicali e grammaticali “di sinistra” mi sento a buon diritto autorizzato a dire malissimo di quelle “di destra”.
Ognuno chiami dunque Giorgia Meloni come considera giusto, il presidente o la presidente. Io non ho mezzo dubbio, è la presidente del Consiglio, ma mi auguro che nessuno si prenda la briga di dare direttive nel merito.

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