lunedì 24 giugno 2019

Casualmente


Casualmente, solo casualmente ieri sera ho avuto la sfortuna, o fortuna non saprei, forse il fatto che oggi ne scrivo potrebbe essere ascrivibile alla buona sorte e poi menoxmenofapiù, di assistere ad un breve passaggio su Rai Uno di uno spettacolo, classico dispensatori di premi, musicale presentato da Carlo Conti, abbronzato al solito. 
Chiamava sul palco personaggi strani, mai sentiti, per via che sto invecchiando o per il fatto che la spazzatura la guardo solo per differenziarla? Non lo so ma credo che il brutto sia brutto ad ogni età, tutti tatuati, uno vestito con un pantalone e giubbotto rosso paonazzo aperto con sotto niente se non una serie globale di scritte perenni, disegni al solito spavaldi della spavalderia divenuta normalità visto l'altissimo numero di corpi trasformati in taccuini di questa stolta era, e nell'attimo in cui è stato accolto da applausi ho creduto, sperato, implorato che la sua esibizione finisse lì, come dire "ecco mi sono pure fatto una scritta sulla testa pelata, che ne pensate? Dai applauditemi che il mio numero finisce qui e rientro nel camerino!" E invece no: ha preso il microfono ed ha iniziato a sciorinare frasi sconnesse, al ritmo meschino che ora va tanto di moda, e non ho nulla contro i suoi estimatori, rivendico solo il diritto sacrosanto di critica, assatanata ma pur sempre critica, e quello che più mi ha rattristato è stato vedere ragazzine andar dietro a quelle parole pescate in una cesta poco fornita, a voler significare che costui ha dei fans, del seguito, che frasi come "guardami mentre sto tamponando, mi chiamo Fernando per gli amici Nando" hanno proseliti, qualcuno le canticchierà al mattino. Esterrefatto per tanta sconcezza, mi sono domandato dove fosse finita l'arte e se questo folcloristico rumore possa aver un seguito, un ricordo, un archivio da cui, tra dieci anni, attingere tali, a mio parere, nefandezze. 
Se piace, a me non interessa. Sono libero di criticare come meglio mi pare e dir la mia senza fronzoli, né remore. 
Questi dispensatori di fetecchie, per me, per me, sono avanguardia di un tempo senza spessore, senza arte né parte. Non voglio zittirli, credo nella libertà, non sono qui a spernacchiare i giovani adoranti questi scarabocchi parlanti. Ho il diritto di evidenziarne la vacuità, il futuro anonimato, la mancanza di storia. Che potrebbe essere un requisito di questi tempi, ci mancherebbe. Ma che a me non piace. Punto.    

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