domenica 6 marzo 2016

Domenica

Sfido chiunque a non parteggiare per il figlio maggiore, quello che lavorando con il padre si è fatto un mazzo così e per ricompensa non ha avuto nenche un capretto per far festa con gli amici!

Eppure il brano del Vangelo di questa domenica, stravolge risentimenti, rancori, figli nobili, anfratti ove sentirsi salvi e al riparo, logiche notarili, combutte, giustizialismo sommario. Un rimescolamento provocante dissapori ed invidie, condiviso solo perché scritto nel Libro e a noi non appartenente, rivolto com'è a quella sfera tanto comoda ed usata da fungere da ottimo sentiero praticato dal nostro pressappochismo: "gli altri".

Immaginarsi un tale ragionamento da presentare a qualche riunione famiiare ove ci si scanna per un pugno di terra o ad un Rotary, ad un incontro massonico, ma anche in un semplice ambiente vieppiù genuflesso, dona certezza di derisione, di scherno simile a quella di S.Paolo all'Areopago ateniese.

La parabola del Padre Misericordioso riesce a flashare nell'animo nostro il suo Amore senza limiti, l'enormità della sua ricerca, la pazienza per il ritorno a casa di tutti coloro che, dissipando fortune e talenti, svuotandosi di ogni dignità, sono disposti a tutto per risentire l'Affetto, l'insenatura gratificante, la carezza senza fine, che riportando alla dimensione di figli, sprona il cuore ad intravedere bellezza e soavità. Quel braccio al collo gioioso, quell'abbraccio paterno al ritornante, squarciano il nostro buio al pari della manifestazione sul Tabor, ove Pietro uscendo fuori di testa, straparla godendo della visione. Cosi in questa parabola, dopo aver travalicato la prima reazione di diniego, percepiamo tutta l'immensa accoglienza, la voglia di far festa che il Padre ci proporrà, indistintamente, senza remore né preconcetti.

E quel fratello maggiore, che chiama "tuo figlio" e non "mio fratello" il dissipatore di fortune ritornante a casa, siamo noi quando non ci capacitiamo che i nostri pensieri non siano i suoi pensieri. La nostra giustizia, il giudicare gli altri dall'alto di chissà cosa, è anch'esso un partire, un distaccarsi dal regno del Padre, dissipando altresì ogni dono acquisito nel mare scuro del rincrescimento, della differenziazione generatrice caste, disparità, sofferenza e povertà. Ogni tanto occorrerebbe guardare alto, sfrondando muri e concetti ancoranti noi stessi nella mefitica e soporifera normalità. Guardare lontano per intravedere il Padre che ci sta attenendo per mangiare, assieme, il vitello più grasso. Per far festa per il ritorno di noi, ancora qui in preda ad un'atavica fame inconcludente, senza più risorse e oramai già distolti dalle ghiande destinati ai porci.



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