mercoledì 7 settembre 2022

Mondo pallonaro di m...

 

L’esonero di Mihajlovic, malato di leucemia
Lasciarsi proprio ora L’addio imperfetto fra Sinisa e il Bologna
DI GABRIELE ROMAGNOLI
All’inizio avevano tutti ragione. Arrivati in fondo hanno tutti dei torti. Non bisognerebbe mai rovinare una bella storia con il finale, ma è quasi inevitabile.
Il tempo corrompe ogni cosa, anche la sensibilità, il coraggio e li riduce a desiderio di sopravvivenza, esclusivamente personale e alle proprie condizioni. Tra l’allenatore Sinisa Mihajlovic e la società Bologna Football club, ma in parte anche la squadra e la città, si conclude così un’avventura umana e sportiva senza precedenti né probabilmente repliche. La sua unicità è testimoniata anche dalla raggiunta difficoltà di proseguirla, che varrà da monito dovesse ripresentarsi un caso analogo. Sarebbe stato meraviglioso fosse continuata, sospinta da ottimi risultati, ma non era possibile. Bisognava scegliere: o scrivere una grande storia fino all’ultima riga, esaurire il contratto di Mihajlovic restandogli fedele a qualunque costo, dopo qualsiasi eventuale sconfitta, perché la vita consiste nella sua rappresentazione, nei valori che indica e nel sacrificio a cui si è disposti; oppure giocare un campionato di calcio, cercando di fare punti, schierando i calciatori nella maniera migliore e ottenendo da loro prestazioni in linea con gli investimenti. Tenere insieme queste ipotesi era come camminare su rette divergenti: prima o poi il sogno si spezza. Intuire il punto di rottura e precederlo consente un’estrema salvezza.
Invece si è andati avanti, arrivando al momento peggiore e al modo peggiore.

Da ieri l’Italia che segue distrattamente il calcio, oltre alla famiglia Mihajlovic e ai suoi amici e sostenitori e agguerriti, accusano chi l’ha esonerato di crudeltà. La figlia Victoria ha condiviso un messaggio evangelico: “Non sanno quello che fanno”, non preceduto da “Padre, perdona loro”. È evidente che si è intervenuti fuori tempo e in campo come nella vita il tempismo è tutto: se entri nell’attimo giusto prendi la palla, se lo fai un istante dopo falci l’avversario e commetti una scorrettezza. L’effetto è anche oscurare quanto di buono fatto fin lì.
L’esordio era stato straordinario da parte di tutti. L’allenatoremalato aveva dimostrato una forza di volontà non comune. La società lo aveva confermato in condizioni mai sperimentate. La città aveva invocato protezione con una processione in salita fino alla basilica dove si depositano voti e speranze. La squadra aveva giocato per lui che la guidava a distanza e il coro sotto la sua finestra d’ospedale, al rientro dopo una vittoria, rimarrà una delle immagini più disperatamente felici mai prodotte dall’esito di una partita. Proprio la straordinarietà era la dannazione di questa vicenda. Nulla poteva essere riportato nell’alveo della banalità in cui scorrono le conferenze stampa pre partita, le esistenze quotidiane in cui sai per certo che “domani ti sveglierai”, i rapporti umani e di lavoro. Mihajlovic si è ed è stato proiettato in una dimensionediversa e superiore in cui tutto era possibile e ogni contraddizione era annullata, anzi si trasformava in una doppia occasione di vita. Poteva occuparsi della squadra e a ndare al festival di Sanremo, aspettare una chiamata da altre società ma tenersi il posto fisso, assumersi la piena responsabilità e poi darla ai giocatori, chiedere un giudizio scevro da considerazioni extra-sportive per respingerlo. La recidiva del suo male è giunta inattesa. Ha trovato impreparati sia lui che l’ambiente che lo circondava.

La ripetizione di un gesto è sempre meno convinta dell’originale. Diventa mimesi, riflesso condizionato in uno specchio già più opaco. Non è mai stata una vicenda di calcio, se non in minima parte. Sennò bisognerebbe annoiare il lettore con le statistiche poco gioiose del 2022 (5 vittorie in 23 partite di cui una propiziata da un comico infortunio del portiere dell’Inter), il saldo in pari tra giocatori lanciati e venduti e altri svalutati, l’incapacità di decollare di una squadra in cui non sembrava credere più, forse ricambiato, anche se lo stesso Arnautovic che esprimeva i dubbi di molti, ha provato a tirarla fuori dai guai, insieme con gli altri.
C’erano gli estremi per lasciarsi prima e meglio, ammettere i limiti nel dare e le pretese nell’avere. Il gesto di ieri è stato un intervento falloso perché apparentemente privo dei crismi dell’inevitabile. Il Bologna non è ultimo a zero punti. Ha davanti due partite casalinghe che sono altrettante armi a doppio taglio: ripartire o affondare. Soprattutto la separazione non è consensuale. Mihajlovic può aver perso peso e capelli, ma non carattere. Il suo vocabolario non contiene la parola “dimissioni”, anche se remunerate fino all’ultimo giorno. Non toglie dalla panchina del successore il peso del dilemma morale e delle sue conseguenze. Quel che succederà da qui in avanti, molto più fuori che dentro gli stadi, è un’incognita e già tocca chiedersi quanto la decisione di ieri peserà sul futuro. Il buono dell’avvenire è che è sempre lontano, ma ci arriveremo e dovremo guardarci indietro e chiederci: se non si sia fatto di un’anomalia un modello, se affrontare la sofferenza non sia una sfida ma un destino.

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