venerdì 17 giugno 2022

Fatevi un'opinione

 

Il suicidio assistito di Federico Carboni
Muoiono solo i vivi
DI CHIARA VALERIO
Di un essere umano con nome e cognome non si può dire ciò che si dice della Regina o del Re – la Regina è morta, viva la Regina – gli esseri umani, con i loro nome e cognome, e al netto delle omonimie, non sono funzioni, non possono essere sostituiti. Nei loro limiti, nelle loro eccezionalità, e nelle loro rinunce e nelle loro ambizioni gli esseri umani sono irripetibili. Non possiamo dunque dire oggi Federico Carboni è morto, viva Federico Carboni. Anche se dovremmo. Perché Carboni è tra i cittadini che hanno donato il proprio corpo alla giurisprudenza italiana.
Lo ha fatto Cloe Bianco, professoressa trans, lo fanno i migranti nel Mediterraneo, lo fanno le madri senza sufficienti infrastrutture sociali, lo fanno i padri ai quali viene negato il congedo parentale, lo fanno i cittadini che chiedono la liberalizzazione della cannabis, lo fanno le coppie omosessuali che non hanno possibilità di adozione, o le coppie che non riescono ad avere figli, lo fa chi combatte per lo ius soli. Opponiamo i corpi alla mancanza di immaginazione politica in una democrazia occidentale che prospera in tempo di pace. Opponiamo i corpi sottolineando che nessuno dovrebbe promettere nulla che non abbia già mantenuto. E che non sia già nei fatti. E che nel suo essere già nei fatti non leda le possibilità di vita di nessuno ma solo viete ideologie. Prima di opporre il corpo, ovviamente, chi può, paga. E pagare per un diritto è la fine di una democrazia.
Là dove le leggi possono essere fermate, per questioni di capannelli parlamentari o mancanza di immaginazione politica, i corpi no. I corpi rinchiusi, con le loro possibilità, pensieri e competenze, non possono essere fermati, i corpi possono ancora morire, e morendo trasformarsi. E speriamo sia sempre così.
L’esperienza del corpo ci tocca perché ne abbiamo uno.
L’esperienza del corpo ci tocca perché lo sentiamo solo quando qualcosa disfunziona. L’esperienza del corpo ci tocca perché col corpo tocchiamo.
Racconta Marguerite Yourcenar, in Novelle orientali(BUR, traduzione di M. L. Spaziani), che il pittore Wang-Fo, non potendo scappare, abbia dipinto una feluca e un fiume e su quella sia fuggito. Federico Carboni non poteva dipingere, ma poteva ancora spingere un bottone, e lo ha fatto ieri mattina, abbandonando quella gabbia che pure, talvolta, è il corpo. Ha dichiarato che non era una decisione facile da attuare. Federico Carboniha detto, con una voce che viene descritta sui giornali come stentorea e chiara: “Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico”. Wang-Fo avrebbe potuto disegnare altro, Federico Carboni avrebbe potuto non spingere il bottone, ma vivere è ancora sinonimo di valutare le proprie possibilità. Federico Carboni ha valutato che nelle proprie possibilità ci fosse il suicidio. Quando, da bambina, chiedevo a mia nonna Tina “sei vecchia, non hai paura di morire?” (non lo era, aveva cinquantacinque anni), nonna rispondeva “muoiono solo i vivi”.
Federico Carboni era vivo abbastanza da aver conservato la forza per morire. Nonostante non fosse autonomo in niente, era vivo abbastanza da ricordare la vita prima dell’incidente.
Non in generale, la sua vita. Se è difficile essere meno felici con le persone con le quali si è stati molto felici, quanto è complicato, insopportabile addirittura, rimanere in una vita nella quale non è possibile riconoscere alcuna felicità? Non in generale, ma in particolare, sé stessi rispetto a sé stessi.
Se la medicina e un maggiore benessere economico hanno consentito un allungamento della vita media e la possibilità di riparare i viventi, allora la giurisprudenza deve occuparsi di garantire a quei viventi che vogliono abbandonare la vita che è stata riparata, di poterla abbandonare. Senza pagare. Non il privilegio di morire, il diritto.
Federico Carboni ha portato avanti le sue istanze insieme all’associazione Luca Coscioni che lo ha affiancato nelle questioni legali successive alla sentenza della Consulta su DjFabo. E l’associazione ha raccolto i fondi per il dispositivo che ha consentito a Federico Carboni di agire il proprio suicidio medicalmente assistito.
I romanzi e i racconti di Fleur Jaeggy (tutti pubblicati da Adelphi) sono pieni di suicidi e avendoli letti da quando sono molto giovane, e rileggendoli sovente, ho appreso – questo fanno i romanzi, e per questo bisogna leggerli – che capire e perdonare sono sinonimi, che la fede e la speranza senza la carità sono la cosa peggiore del mondo, che se non si può guarire si cura, e se non si può curare, si consola. Parlo di romanzi perché, ribadisco, non c’è immaginazione in una democrazia che non abbia ancora legiferato, nonostante le promesse, per garantire il suicidio medicalmente assistito.
C’è stata immaginazione però in Federico Carboni. E in questo sì, viva Federico Carboni.

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