venerdì 10 giugno 2022

Per opinione personale

 

La Asl chiede 5000 euro per il suicidio assistito
La burocrazia del fine vita
DI MICHELE SERRA
Si possono vincere quasi tutte le guerre. Non quella contro la burocrazia. Ditemi se esiste un’altra sintesi della lunga storia di Mario, il primo italiano che, avendolo scelto, potrà porre fine alla propria esistenza (distrutta da un grave incidente, e governata dal dolore fisico e psichico) senza che questa sua scelta sia un crimine.
Mario, con l’aiuto dell’Associazione Luca Coscioni, aveva superato diversi ostacoli. Il più evidente è l’assenza di una legge sul diritto di andarsene quando non si è più in grado di sopportare la sofferenza. È insabbiata in Senato. È ben nota l’opposizione etica del mondo cattolico, che è il fondamentale ostacolo, se non l’unico, alla sua approvazione. A questo vuoto legislativo, che forse sarebbe meglio definire omissione legislativa tramite resistenza passiva, si è ovviato con tenaci e fantasiosi espedienti (lo dico con pieno rispetto e solidarietà politica agli artefici degli espedienti) che hanno portato — miracolo italiano — a consentire finalmente il suicidio assistito anche in un Paese nel quale il suicidio assistito non è previsto dalla legge.
Se volete farvene una ragione, leggetevi le tonnellate di materiale disponibile on line, a partire dalle vicende di Eluana Englaro e dj Fabo. In sostanza — mi scuso per eventuali approssimazioni, ma la materia è complicatissima — il diritto di andarsene è depenalizzato e perfino consentito, ma non ancora legalizzato. Manca l’iter, per dirla burocraticamente.
Manca il protocollo.
E difatti, sempre per dirla burocraticamente, l’Azienda sanitaria competente, quella della Regione Marche, fa sapere a Mario che deve pagarsi il decesso: circa cinquemila euro tra apparecchiature e farmaci. È molto probabile, se non certo, che la ragione formale sia dalla parte dell’Azienda sanitaria delle Marche: non risulta, per legge, che esita una scartoffia, o un rosario di scartoffie, corrispondenti alla richiesta del cittadino Mario. C’è per le dentiere, per le protesi, per gli occhiali, per il cancro, per il diabete, non c’è per la morte. Chi proprio vuole morire, paghi il suo biglietto e non si sogni di farlo a spese dello Stato. Magari, chissà, qualche impresa dipompe funebri vorrà mettere in catalogo, oltre al trattamento del defunto, anche la fase immediatamente precedente.
Privatizzare ciò che il pubblico non è più capace di fare, non è forse questa la regola aurea degli ultimi trent’anni?
Sta di fatto che la voce della burocrazia, in coda a una estenuante guerra etica e politica che ha ingaggiato costituzionalisti, religiosi, sapienti di ogni risma, è l’ultima a pronunciarsi, e si pronuncia con l’indifferenza che le è connaturata.
Non è ancora stato istituito lo sportello giusto per lei, signor Mario. Provveda per suo conto, noi non siamo attrezzati, non sappiamo, non vediamo, non possiamo, non sentiamo, non ci siamo.
Dunque Mario è un passo dal suo addio: alla madre, agli amici, ai tanti che hanno condiviso il suo dolore, e forse proprio per questo hanno condiviso anche la sua scelta di andarsene. Ma non sarà un addio a carico dello Stato. Del resto la sua vicenda, esattamente come quelle che l’hanno preceduta, dal primo all’ultimo istante non ha potuto fare affidamento alcuno sullo Stato, in alcuna sua forma. Tutto è accaduto per iniziativa volontaria, e volontaria solidarietà di medici, di associazioni, di singoli italiani.
Chi parla con ammirazione del volontariato, che in effetti è il corpo vivo della solidarietà e del soccorso a chi soffre, sappia che uno dei più tipici e rispettabili esempi di volontariato è proprio questo: ogni singolo passaggio della lunga, dolorosa vicenda della morte assistita ha visto come attori cittadini e associazioni, mobilitati attorno al capezzale di chi pregava, spesso sorridendo come Mario, di lasciarlo andare. La fantasia, la passione, l’impegno dei volontari e delle associazioni hanno costruito umanità attorno a quei capezzali anche per ovviare alle amnesie e alle viltà di uno Stato incapace di ascoltare la voce di chi vuole andarsene. Uno Stato silente non può che avere per sua voce terminale la burocrazia sanitaria, che a Mario è capace solamente di presentare il conto.

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