La solitudine che salva
di Michele Serra
Sono responsabile solo di quello che dico, non di quello che gli altri non capiscono.
Sono parole di Emma Marrone (intervistata ieri da Silvia Fumarola), e se il concetto fosse condiviso almeno dalla metà dei naviganti, il mare dei social sarebbe un posto migliore. Anzi, il mondo intero sarebbe un posto migliore, molto migliore.
Per una moltitudine di persone funziona esattamente al contrario: NON si sentono responsabili di quello che dicono, e danno un peso esorbitante al giudizio degli altri. Il meccanismo del successo (anche del successo politico) piega le proprie parole alla questua quotidiana di "mi piace", e produce depressione, a volte disperazione, se prevalgono i "non mi piace". Per gli adulti non soccombere è più facile, ma mi chiedo quanti ragazzini e ragazzine abbiano pagato un prezzo grave, anche tremendo, a questa micidiale conta, che concede alla malignità o anche solo alla distrazione degli altri un ruolo di governo del tutto immeritato.
Certo ci vuole coraggio, per sentirsi gli unici veri autori delle proprie parole, della propria vita, di se stessi. C’è un passaggio di solitudine, anche di silenzio da attraversare.
Immagino (posso solo immaginarlo) che Emma Marrone questo passaggio l’abbia compiuto. Ci si sente più forti, dopo, e più responsabili non solo delle proprie parole: anche della propria felicità. I tribunali del popolo sono infiniti, vanno dalla folla distratta alla piccola cricca biliosa, dalle gang di haters prezzolati a ondate di ostilità casuali come un temporale. Passano, passa quasi tutto, non passa quello che si è, o si cerca di essere, in tenace solitudine.
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