Una chiave che apra la porta del tempo
di Eugenio Scalfari
Fino ad oggi la mia vita di vecchio giornalista e scrittore è andata avanti, durante il weekend, commentando i fatti politici, economici e perfino filosofici della settimana. Tornerò ancora a questo modo di proseguire il mestiere, ma sono anche tentato di cambiare l’approccio fin qui adottato. Sono un supervecchio, l’ho già detto e ridetto più volte ai miei lettori ed amici. Credo perciò che sia più opportuno esaminare il vivere, il crescere, l’invecchiare piuttosto che intrattenersi con i fatti della giornata. Talvolta continuerò a parlarne e a commentarli, ma ora vorrei dedicarmi alla vita. Non la vita mia che vale quel che vale, ma quella più generale: il vivere, il pensare, il conoscere, l’amare, l’odiare e insomma la vita e la morte che significano occuparsi della propria specie.
La specie umana vive da molti millenni, da quando nacque con l’influenza di alcuni animali: il cavallo, il falco, il pescecane, la scimmia, l’aquila, il serpente e tanti altri che le scienze enumerano.
A noi conviene soprattutto riconoscere il noi stesso.
Siamo tra le specie esistenti da milioni di anni. Nel corso di questo vivere ci sono stati molti cambiamenti ma la radice continua ad essere unitaria e una vita ricevuta dalla luce riflessa e a noi trasmessa, che proviene dal sole e da uno dei suoi più interessanti pianeti che vivono alla sua luce. La chiamiamo stella, viaggia da millenni circondata da astri minori che spesso scompaiono. Talvolta sono scomparse transitorie che si chiamano eclissi, ma questi sono fenomeni secondari. Il principale è il tramonto che determina la nostra vita. Il sole non è di nessuno e nessuno lo può guardare se non tramonta. I tramonti: quando il giorno muor… tramontate son le Pleiadi (Deduke men a selanna kai Pleiades mesai de nuktes…).
Il sole è appena uscito di vista alla fine della giornata, il cielo ha stinto il suo rosso nel blu. “Mi illumino di immenso”: qualcuno l’ha detto, Cole Porter l’ha scritto con le note musicali e Ella Fitzgerald l’ha cantato insieme a Louis. Vuoi un consiglio? Accenditi una sigaretta, hai accanto una vodka ghiacciata e la finestra aperta sul mare. Il mare di Matisse dietro le palme dell’Avenue de la Méditerranée. Io non c’è quando il disco suona con la polvere di stelle e la loro ombra. L’anima ha fotografato tutto e l’ha consegnato alla Memoria, ma la Memoria fugge a nascondersi nella soffitta sulle cima dei tetti; non è soffitta ma rifugio di rondini e colombi. Memoria è vestita da principessa: un velo di raso sulle spalle e cento pieghe nel manto abitato dai fatti accaduti che il tempo attraversa. Io si illumina di immenso.
“ Abat jour che diffondi la luce blu” e la luna scompare dietro la nuvola d’argento vestita. Batte il tempo, il tempo, il tempo e lo sentiamo battere nel cervello e nel cuore.
Dio è il tempo oppure il tempo è Dio? “Passa tutto, tutte le cose attraverso di me”. Ma per capire il dentro e il fuori devi avere la chiave che apre quella porta. Non è facile usarla perché è fatta di nomi e ogni nome contiene un rebus. I nomi sono tanti ma ne basteranno alcuni: Malte Laurids Brigge, Abelone, Alfonso Quijada che poi diventerà Don Chisciotte della Mancia, Gregor Samsa, Bernardo Soares, Zarathustra e l’immaginario villaggio di Macondo dove tutto è finzione e verità. Ma ricordatevi anche di Ignacio Sanchez Mejias che morì a las cinco de la tarde tra l’odore dei gigli e della canfora. Ma Dio è il tempo o il tempo è Dio?
*** Noi non sappiamo quando il tempo è cominciato e non sappiamo quando finirà. Forse c’è stato sempre e sempre ci sarà. Gli animali non lo percepiscono e i vegetali neppure e neppure i sassi, le rocce, le montagne, la sabbia, il mare. Però tutti siamo marcati dal tempo, ognuno a suo modo, con la durata e con la morte e con quanto accade dentro e fuori di loro. Noi riusciamo a misurarlo con gli strumenti che abbiamo inventato. In teoria sappiamo che corre inarrestabile tra il presente e il futuro, ma nuove ricerchedelle scienze affermano che lo si può far scorrere anche dal presente al passato o farlo girare intorno a se stesso con un percorso circolare. Ciò che ancora è ignoto riguarda che cosa accade scorrendo dal presente al passato: noi restiamo come siamo ora, oppure ridiventiamo bambini, neonati e addirittura usciamo dalla vita perché non siamo mai venuti al mondo? Personalmente mi auguro che sia così ma se invece restiamo come siamo ora, allora il Dio tempo sarebbe una divinità imperfetta. Dunque il tempo a ritroso non può esistere senza cancellare la nostra esistenza altrimenti la divinità sarebbe imperfetta. Questo è un enigma molto difficile ed io sto studiando per risolverlo. I pensieri senza il tempo non ci sarebbero e il tempo senza pensieri sarebbe vuoto, anzi riempito dagli altri perché il tempo è mio e tu hai il tuo e se i tuoi pensieri invadono il mio io divento un plagiato, un servo, uno schiavo. Io comunque sono stupito per come sono stato fatto: sono dominato dai sogni, vivo nel sogno e nell’immaginazione e quello che sogno lo immagino, è la mia verità. Sono un personaggio inventato ad a mia volta immagino un personaggio. M’affaccio alla finestra e vedo il me stesso sulla strada bagnata dalla fitta pioggia che cade dal cielo. Lampeggiante. Quel me stesso io l’ho inventato ed a me l’ha inventato l’Autore dandomi voce, fattezze, pensieri e desideri. L’Autore ha dovuto mettere dentro di me anche Narciso. Poteva fare diversamente? No, non poteva. Senza la presenza di quel giovane che era di se stesso innamorato, nessuno può vivere e nessuno può esistere, l’Autore per primo. La questione è di capire se il suo Narciso è normale o dirompente. Secondo me tutto dipende da come è fatto il Narciso dell’Autore. Se è normale anche il tuo lo sarà, ma se è dirompente forse lo sarai anche tu. Forse l’Autore mi concepirà come privo di Narciso per farmi vivere come uno schiavo che lui domina, burattinaio con un pupazzo in mano.
E se il pupazzo burattino rompesse i fili che lo rendono schiavo e conquistasse la sua indipendenza rispetto all’Autore? Questo accade e l’opera dell’Autore può dimostrarsi splendida oppure sconclusionata.
Questo saranno gli spettatori dello spettacolo a giudicarlo. Ed ora once upon a time. Grazie e addio.
*** Capita spesso che la mia memoria scappi via da me.
Quando questo avviene io cado in una sorta di letargo, non ho alcun pensiero, non sento alcun bisogno, ma non sono solo, sono con l’Altro che con me convive.
“Ma tu chi sei?”, gli ho più volte domandato. E lui ha risposto: “Sono il tuo Io che si guarda”. “Stai dicendo che l’Io è diviso in due?”. “Certo, io guardo te che sei me stesso. Siamo tutti fatti così, noi uomini: abbiamo tutti un Io che si vede vivere, si vede agire, si sente soffrire o godere”. Però ci sono momenti in cui non mi sento guardato. E verosimilmente avviene quando sei al massimo della felicità o della sofferenza o dell’emozione. Quando tocchiamo col dito il cielo o l’inferno cessiamo di guardarci, siamo un organismo pervaso dalla vita, ma quando quell’urlo di dolore o quella sorprendente emozione o quell’orgasmo di sofferenza o di piacere si attenuano, allora l’Io ricomincia a guardarsi e l’Altro che con me convive ricomincia a porsi domande.
Mi è venuto in mente un sentimento che la mia età e il mio passato ampiamente giustifica, la melanconia: è il rimpianto di una vita non vissuta, un’assenza, un bivio del quale avevo scelto un sentiero anziché l’altro. Certo poteva cambiare, ma la vena melanconica non sarebbe scomparsa: avrebbe dovuto percorrere contemporaneamente i vari sentieri della vita, ma questo era molto difficile e forse impossibile. E poi a lui piaceva la malinconia anzi ne era innamorato. Per immaginare una pluri-vita dove lussuria, castità, malinconia, vivano insieme occorre uno spirito che ti invada, un linguaggio che ti esprima, una poesia dell’anima che emerga dalla caverna del tuo inconscio. Quando questo sentimento mi fu presente avvenne che mi capitò un vecchio libro d’un poeta che mi è sempre molto piaciuto: Gabriele D’Annunzio, ed ecco come mi sono imbattuto in uno dei suoi libri sentimentali: «Come ci dissetammo! Quante volte ci dissetammo! E tanto era soave il dissetarsi che desiderammo l’ardente sete. Al par di noi chi seppe distinguere il sapore d’ogni frutto e la maturità dal suo colore?
distinguere d’ogni acqua la freschezza e ritrovar la sua più fredda vena?
e regolar le labbra al vario bere e il sorso modular come una nota?
Ma la melancolia venne e s’assise in mezzo a noi tra gli oleandri, muta guatando noi con le pupille fise.
Ed Erigone ch’ebbe conosciuta la taciturna amica del pensiero chinò la fronte come chi saluta e poi visse la Notte e il suo mistero.
Un’altra era con noi, ma restò muta tra gli oleandri lungo il bianco mare».
Cari lettori ed amici l’articolo che avete letto questa mattina spero sia stato di vostro gradimento. È il primo di quelli che seguiranno in questa chiave letteraria. Debbo confessarvi che la mia tarda età mi induce molto a rivisitare la poetica di trenta o quarant’anni fa ed anche più. A quell’epoca ero preso molto dalla politica e in qualche modo lo sono ancora. L’incontro di pochi giorni fa con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato molto interessante per un futuro che riesca finalmente ad uscire dai malanni di quest’epoca pestilenziale e a portare l’Italia e l’Europa verso mete opportune, moderne e culturalmente affascinanti. Ci incontreremo ancora su questi sentieri le prossime settimane. Grazie.
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