Avevo promesso la seconda parte di commenti sulla relazione di Pluto Bonomi di Confindustria-trallàllà, ma depongo le armi per non cadere in tentazione di abbracciare la via della querela. Ritengo infatti Pluto uno sformato ad hoc di tutto quanto si dovrebbe evitare di compiere per non equipararsi ai migliori ribaldi della storia. E mi fermo qui.
Lascio quindi la parola al giornalista Carlo di Foggia che ci narra l'ultimo episodio delle malefatte di Pluto. Il rischio di rovinarsi la giornata è alto a leggere le tremebonde gesta dell'insalubre, ad iniziare dalla frase che a parer mio dovrebbe venir scolpita nel marmo quale monito per le generazioni future, con tanto di avvertimento del tipo "guardate di studiare bene ed in letizia, perché è un attimo rovinarsi interiormente e degenerare come Pluto. La frase? "Il blocco dei licenziamenti è il blocco delle assunzioni."
Un'ultima cosa: Pluto vorrebbe fare il furbo, ma lo abbiamo sgamato: vuole portare il rinnovo dei contratti nazionali, tra cui quello dei metalmeccanici al periodo in cui, terminato il blocco, i suoi compari inizieranno con i licenziamenti. Un desiderio da gerarca, signor Pluto!
Ed ora leggetevi, cercando di star lontano da vasi e bicchieri, l'articolo di Di Foggia.
Di Carlo Di Foggia dal Fatto Quotidiano
Una prima indicazione dovrebbe arrivare in serata, quando il Consiglio dei ministri licenzierà il Documento programmatico di bilancio, una sorta di bozza della manovra, che l’esecutivo invierà a Bruxelles. Ma la guerra per superare il blocco dei licenziamenti è già partita. La campagna martellante della Confindustria, guidata dal neo presidente Carlo Bonomi – arrivata a punte di vero folclore tipo “il blocco dei licenziamenti è il blocco anche delle assunzioni” (lo ha detto davvero all’assemblea di Assolombarda) – ha ovviamente trovato ascolto sui media e in parti rilevanti del governo e riacceso le tensioni mentre salgono i contagi da Coronavirus.
Ieri è toccato alle parti sociali avvertire il governo. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto di prorogare il blocco in vigore da marzo scorso, ma alleggerito nel decreto agosto, oltre la scadenza di fine anno e fino alla durata dello stato di emergenza. È la risposta all’uscita del ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli: “Ritengo che il percorso fatto fino adesso, Cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, non possa essere prorogato ancora”. Un atteggiamento “irresponsabile” per i sindacati, che annunciano battaglia. “Patuanelli immagina un futuro senza occupazione”, l’ha fulminato la leader della Fiom Francesca Re David. L’uscita del ministro divide la maggioranza (LeU e pezzi del Pd sono contrari) ma la strada sembra tracciata. Al ministero del Lavoro, guidato dalla grillina Nunzia Catalfo, puntano a prorogare il blocco dei licenziamenti solo per quelle aziende che useranno la cassa integrazione (come già accade oggi, d’altronde) o la decontribuzione targata “Covid”.
La norma e i numeri
Fino ad agosto scorso il divieto di licenziare era totale, a prescindere dall’uso della cassa integrazione con causale “Covid”, disposta dal governo per fronteggiare l’emergenza. Col decreto Agosto la Cig è stata prorogata per altre 18 settimane e il blocco è stato esteso fino a metà novembre per le aziende che hanno usufruito di tutta la Cig e fino a fine anno per le altre. Si può licenziare però in caso di fallimento, cessazione attività o accordo con i sindacati. Che può succedere da gennaio se salta il blocco? Stime attribuite alla Cgil, che però non le conferma, parlano di un milione di posti di lavoro a rischio. L’ufficio studi della Uil, a luglio, ha stimato che senza rinnovo del blocco sarebbero stati a rischio 850 mila posti nel solo 2020, mentre col blocco la stima scende tra 530 mila e 655 mila posti. Vale la pena ricordare che con la crisi del 2008 si è perso un milione di posti di lavoro in 5 anni. E la crisi attuale sembra, nel medio termine, peggiore (il crollo del Pil stimato nel 2010, -9%, non ha eguali in tempo di pace).
Le vere ragioni
Le stime della Uil sono al netto delle aziende che hanno aperto o apriranno procedimenti di crisi, che devono ricorrere alla Cig straordinaria. La voglia di licenziare sbandierata dalla nuova razza padrona della Confindustria, come se le imprese non potessero reggere senza, nasconde altre esigenze. Nel 97% dei casi, la Cig usata nel 2020 è quella con causale “Covid”, che non aveva costi per l’azienda (per le altre tipologie si paga una sorta di ticket) fino all’estate: insomma è stata usta la Cassa integrazione a costo zero, anche senza aver avuto cali di fatturato (è successo per un terzo delle ore autorizzate, dice Inps). Ad agosto, quando il governo l’ha resa (un po’) onerosa per quelle aziende che non sono in difficoltà è partita la campagna per poter licenziare.
La crisi morde, ma l’impressione è che Confindustria sia più interessata a scaricare sulle casse pubbliche la riduzione del costo del lavoro via esuberi. Bonomi lo ha detto chiaramente all’assemblea di Assolombarda lunedì: “Riorganizzare vuol dire ristrutturare: vuol dire mandare qualcuno fuori dall’impresa perché non è più compatibile coi nuovi processi e assumere chi è necessitato”. Cioè lavoratori con meno tutele (senza l’articolo 18 eliminato dal Jobs act) e, per così dire, “necessitati” ad accettare salari più bassi. Per chi esce ci sono i sussidi di disoccupazione. È questa la “ristrutturazione” di cui parla Confindustria ed è lo scontro speculare a quello che Bonomi ha ingaggiato coi sindacati sui rinnovi contrattuali, a cui non vuol concedere aumenti salariali. L’unica certezza è l’epilogo. Bonomi ha ammesso che dopo il 31 dicembre quel che verosimilmente avverrà sarà “un numero molto importante di licenziamenti”.
L’obiettivo finale
L’aumento dell’intensità dello scontro svela anche la seconda partita in campo. È probabile che l’andamento dell’epidemia costringerà il governo a tornare sui suoi passi prorogando in parte il blocco. Ad ogni modo nella prossima manovra il capitolo imprese si annuncia come la parte più corposa. La proroga per un anno del taglio del 30% dei contributi dei lavoratori dipendenti dovuti dalle imprese del Sud vale 5-6 miliardi nel 2021, altrettanto vale la torta degli incentivi alle imprese (cosiddetta “transizione 4.0”), a cui vanno aggiunti a 2-3 miliardi di sgravi sulle assunzioni. Sul fronte ammortizzatori sociali, il governo ha intenzione di prorogare di altre 18 settimane la Cig Covid (estendendo pure il blocco dei licenziamenti per chi la usa) con uno stanziamento di circa 5 miliardi: la cifra più o meno equivale ai risparmi che – salvo sorprese o nuovi lockdown – si registreranno sugli stanziamenti messi in campo finora (13 miliardi in totale).
In audizione sul dl Agosto Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (una sorta di Autorità dei conti pubblici), aveva avvertito il governo di conservare sul capitolo ammortizzatori sociali gli eventuali risparmi proprio per fronteggiare gli aumenti di spesa in sussidi che saranno necessari dando alle imprese libertà di licenziare.
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