L’elettricista crivellato mette a nudo la politica
DI DANIELA RANIERI
L’anno è appena iniziato, ma il premio per il miglior editoriale del 2024 sulle condizioni in cui versa l’onorabilità della classe politica italiana se lo aggiudica senza gara Luca Campana, 31 anni, elettricista, destinatario del proiettile partito dalla pistola del deputato di FdI Emanuele Pozzolo durante il veglione di Capodanno.
L’operaio, genero di un agente della scorta del sottosegretario Delmastro – il quale, presente anch’egli alla festa della Pro Loco di Rosazza (BI), ha riferito di non aver assistito allo sparo perché stava caricando in macchina i tupperware con gli avanzi di cibo, hai visto mai Putin ci invade e il governo decreta il razionamento alimentare – ha detto di averci pensato quattro giorni prima di denunciare Pozzolo, per il semplice motivo che colui che gli ha infilato un proiettile nella coscia è “un politico”. Cioè: il fatto che il detentore dell’arma fosse un parlamentare della Repubblica non ha per niente rassicurato il ferito, che anzi si è visto addebitare da Pozzolo pure la colpa di essersi sparato da solo raccogliendo l’arma da terra; invece di dargli la forza di andare in Procura a raccontare l’accaduto sicuro del fatto che un parlamentare della Repubblica avrebbe confermato la sua versione dei fatti, lo status di Pozzolo ha spaventato il cittadino impallinato: le forze dell’ordine, dice, lo hanno dovuto “rassicurare” circa possibili “ritorsioni”, presumibilmente messe in atto dal Pozzolo stesso. Ormai dire “un politico” è come dire “un malavitoso del Brenta”, “un picciotto”, “un camorrista” (e del resto Cognati d’Italia è il partito che vanta più arrestati per ‘ndrangheta), un tizio poco raccomandabile con cui non è saggio entrare in conflitto pure se ti ha rifilato una pallottola e che non conviene denunciare perché: 1) non ti crederà nessuno; 2) se anche ti credono, affronti processi costosi e infiniti in cui rischi che danno ragione a lui perché è potente e tu sei un umile lavoratore, come ne Il marchese del Grillo.
Entrando claudicante alla procura di Biella, lo sparato ha composto un trattato di antropologia e di filosofia del Diritto. Fateci caso: sono i potenti e i politici, quando li beccano a fare reati, a consegnare ai media frasette come “sono sereno”, “confido nella Giustizia”, “il tempo è galantuomo” etc.; i poveracci, da innocenti o da vittime di angherie e soprusi da parte di qualche potente, sono terrorizzati, confidano poco nella Giustizia e temono per la loro incolumità, oltre che di doversi accollare l’onere della prova contro chi ha una forza incommensurabilmente superiore (basta leggere Kafka); non a caso al “politico” ormai si attribuisce l’arroganza impunita, definitivo stemma del potere, giammai la disciplina e l’onore connessi al suo ruolo.
Ma a cosa si deve questo degrado? Intanto, come insegnano i classici, un potente è tale perché e finché c’è una società che lo sostiene, lo riverisce e lo giustifica. E più è scarso, più trova servi disposti a riconoscersi in lui.
Nella nostra società neo-feudale quanti valvassori e valvassini garantiscono ai potenti agi, prepotenza, sicurezza d’impunità per sé e i loro congiunti? Quanto è incistata la mentalità per cui il politico è un cittadino privilegiato e legibus solutus, e l’unico modo per sfangarla e far valere i propri diritti non è appellarsi alla Costituzione, ma mettersi nelle mani di qualche vassallo o signorotto e averne i favori di fronte alla legge e allo Stato?
Esempi di vassallaggio: i giornalisti presenti alla conferenza stampa della Meloni che, siccome lei ha promesso di imbavagliarli impedendo loro di pubblicare gli atti degli arresti che riguardano i politici e i loro amici e parenti, la ringraziano con un applausone, facendole moine e domande che non metterebbero paura a un chihuahua; i tribunali, quando danno ragione ai politici che querelano giornalisti per mere opinioni, cioè non per aver riportato fatti falsi; persino la Corte costituzionale quando cavilla su immunità e autorizzazioni parlamentari, come nel caso, di cui ha scritto ieri Davigo sul Fatto, della sentenza con cui ha dichiarato illegittime le intercettazioni a carico dell’allora senatore Stefano Esposito, annullando il rinvio a giudizio disposto nei suoi confronti dalla Procura di Torino. Tutto questo l’elettricista crivellato “per errore” (piuttosto, perché Pozzolo doveva mostrare il revolverino da borsetta a una festa con dei bambini) lo sa; e solo per caso l’episodio non si è trasformato in tragedia, per cui sarebbe ricaduto sulla vedova il compito di far condannare un deputato; provvidenzialmente (e paradigmaticamente), il suocero-agente stava scortando Delmastro nella pericolosa operazione del trasporto viveri, altrimenti si sarebbe potuto assistere a una bella sparatoria stile Tarantino in baita tra un agente della scorta e un parlamentare dello stesso partito dello scortato, che tutto sommato potrebbe essere un’idea.
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