mercoledì 5 aprile 2023

L'Amaca

 

Il tribunale del popolo
DI MICHELE SERRA
Nessuno si chiede se Trump meriti l’arresto, oppure no, per ragioni strettamente giudiziarie. Ovvero se sia un crimine, oppure no, per un candidato alla Casa Bianca, comperare il silenzio di un’amante e farlo senza rendicontare, come la legge americana prevede, una “spesa elettorale” così anomala.
Il dibattito è attorno a tutt’altro: se la sua incriminazione convenga a lui o ai democratici. Ovvero, quale ricaduta politica abbia la vicenda giudiziaria.
Ci siamo già passati, noi italiani. E abbiamo potuto sperimentare quanto la sostanza giudiziaria sia debole, minima, ininfluente rispetto al peso micidiale della politica. Se è Cesare, a uscire dalle regole, cambia tutto. Non è più sulle regole che ci si accapiglia: è su Cesare.
Il nostro Trump l’abbiamo avuto, in brillante anticipo sui tempi, e l’Italia si divise non a seconda del giudizio sui suoi atti, ma a seconda che il giudicato le fosse simpatico o antipatico, utile per i propri comodi oppure no. Per i suoi sodali, la nipote di Mubarak era davvero la nipote di Mubarak, lo sancirono fior di rappresentanti del popolo in Parlamento.
Cosa volete che conti, la verità, di fronte alla devozione politica. Per i suoi avversari, le “cene eleganti” non erano imbarazzanti adunate di cafoni arricchiti e di ragazzette aspiranti, erano veri e propri crimini.
Il vero dramma — anche nella vicenda di Trump — è che la volgarità e la pretesa di impunità (“io so’ io, voi non siete un cazzo”) arrivano al potere perché piacciono a moltitudini di persone. Ben prima che la giustizia agisca, e anche dopo che ha agito, la sentenza la emette il popolo quando vota, determinando il corso delle cose più di qualunque tribunale.

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