sabato 8 aprile 2023

L'Amaca

 

La democrazia, grosso modo
DI MICHELE SERRA
Mancano più di due settimane, ma già si affastellano pretesti e scuse per disertare il 25 aprile, con la grossa novità che a disertarlo, per la prima volta, saranno molti dei nuovi governanti del Paese, figure istituzionali comprese.
Diciamolo da subito, scuse e pretesti sono superflui, niente è più normale che chi ha la fiamma nel simbolo (ed è il primo partito del Paese) non abbia alcuna voglia di festeggiare la caduta del fascismo: perché è questo che si festeggia il 25 aprile, la cacciata dei neri e la conseguente vittoria di tutti gli altri. La democrazia, grosso modo.
Approfittando del clima di nuova schiettezza — tutto quello che puzza di cortesia istituzionale e di correttezza politica è visto come un giogo da abbattere — devo dire che, nel mio piccolo di cittadino italiano senza incarichi, sono più contento se non vengono. Dal presidente del Senato al capo del governo giù giù fino ai ministri lagnosi e agli intellettuali di destra perseguitati (molti dei quali con cattedra, o pubblico incarico), penso sia meglio che rimangano a casa, con un gesto di chiarezza che infine restituirà senso, e nettezza umana, tanto alla presenza, da sempre schietta, degli antifascisti, quanto all’assenza di chi antifascista non è mai stato, e non si vede perché dovrebbe diventarlo proprio adesso che comanda.
Meglio una vistosa assenza di una presenza ipocrita. Pretendere che festeggi il 25 aprile chi ha il busto del Duce in casa non è sensato, forse nemmeno rispettoso.
Penso e scrivo da una vita che l’antifascismo è — da sempre — un sentimento di minoranza, tutelato per decenni dall’élite repubblicana (vedi Mattarella). Meglio saperlo, meglio — sempre — fare i conti con la verità.

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