mercoledì 21 agosto 2024

Vannacci sui!


Generalissimo. Che lavoraccio essere Vannacci: se ne inventa una al giorno

di Alessandro Robecchi

Bei tempi quando il voyeurismo nazionale dibatteva del giallo dell’estate, del calciomercato, delle ondate di caldo, delle ondate di freddo, di amorazzi dei vip, di corna e controcorna. Ora la società è peggiorata e si dibatte su Roberto Vannacci. Farà un partito? Non lo farà? Lo farà nei giorni pari? Solo al giovedì? In che orari, esattamente? Ecco, prendere un piccolo elemento e guardare le mosche che ci girano intorno sembra il gioco di fine estate. Chi lo fa per ego ipersviluppato, chi per difesa d’ufficio, chi per distrazione, tanto per non parlare di decine di miliardi da trovare nelle tasche degli italiani, segnatamente dei poveracci, da qui a qualche mese; oppure soltanto perché Vannacci è un caso mediatico, come i tutorial su come si sbuccia il mango o si cucina l’uovo sodo. Insomma, uno spettacolo modernissimo.
Nega il Salvini, ovvio, che già ha i suoi problemini con un partito in picchiata. Tra un’elegia per il suo mirabolante ponte e un video di istruzioni culinarie, è anni che sposta la Lega verso destra, più a destra della destra estrema di Giorgia, e ora vedere uno che mette la freccia e va più a destra ancora lo infastidisce non poco. Di questo passo – sorpasso a destra dopo sorpasso a destra – avremo presto il partito di Gengis Khan, il club “amici di Pinochet”, il “Nosferatu fan club”, e quanto a “Hitler non era poi così male” ci siamo già quasi arrivati, basta aspettare.
Ma insomma, Vannacci. L’impressione è che sia un alunno di seconda media che gioca a fare Proust, surfando sul vocabolario, depistando significati e significanti, inneggiando alla “Decima” per poi dire che non era quella Decima là, invece sì, invece no. E ci pensano i suoi sodali e gerarchetti a spiegare il pensiero del capo: “Era uno dei più gloriosi reparti d’Italia”, dice un tale Filomeni, anche lui parà come il generale, che però tranquillizza tutti: “Se mi chiede se ci sarà un golpe le assicuro che non lo stiamo preparando”. Brividino, eh!
Ma andiamo con ordine. Il “movimento culturale” (ossignur, ndr) di Vannacci Roberto diventa un “movimento politico”, e questo è sempre il Filomeni. Più criptico il generale (che Filomeni chiama “la nostra Bibbia”) che dice e non dice. Smentisce di voler fare un partito, ma poi racconta l’evoluzione del suo “popolo” (una parola su cui ci vorrebbe una moratoria di una decina d’anni): questo “movimento” che prima seguiva il generale, poi lo scrittore e ora segue il politico, “quindi sta cambiando la sua ragione sociale”. Bello. Cosa vuol dire? Niente, come quasi tutte le cose che dice Vannacci, ma senza l’eleganza sopraffina e democrista delle “divergenze parallele” o del vecchio caro politichese, più come il ripetente che litiga col professore e pretende di aver ragione perché ha conosciuto al bar uno che la pensa come lui. Poi dicono del populismo.
Intanto, è un duro lavoro, deve inventarsene una al giorno, chiamare “camerati” i suoi sodali – una parola che persino gli ex missini hanno dovuto ammorbidire in “patrioti” – o presentarsi come “attivista eterosessuale”, che fa ridere un bel po’, ma non come crede lui. Insomma, fare il Vannacci è un lavoraccio, perché parlare alla pancia del Paese sono buoni tutti, ma per la pancia costipata, coi crampi identitari, con spasmi ipernazionalisti, metà complottisti e metà razziali, ci vuole uno come lui, uno capace di parlar chiaro senza dire niente, un calembour vivente, una distrazione ambulante. Tipo quei tiktoker che “spaccano”: guarda come taglio le zucchine! Cinquemila follower! Me’ cojoni!

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